Il figlio preferito esiste? Molti genitori risponderebbero di no, eppure le ricerche affermano il contrario. La preferenza, però, scientificamente chiamata trattamento differenziale preferenziale(PDT), viene percepita non solo dalla gelosia dei fratelli che si sentono i brutti anatroccoli di casa, ma anche dal figlio prediletto. In ognuno dei casi, il diverso trattamento ha delle conseguenze sullo sviluppo cognitivo e sui rapporti sociali che il bambino, una volta adulto, intesserà. Uno stretto rapporto tra fratelli, può però alleviarne i sintomi.
La nascita del secondo figlio spaventa molti genitori, le domande “sarò in grado di amarlo allo stesso modo del primo” affollano la testa, sono preoccupazioni del tutto normali, poi appare evidente che invece l’amore si moltiplica quando si parla di figli.
Una recente ricerca, però, condotta nel 2020 in Cina su 760 adolescenti, da un team di psicologi, ha dimostrato che invece il 65% delle famiglie volontariamente o involontariamente mette in atto quello che si chiama “trattamento differenziale parentale”, insomma ha un figlio preferito.
I bimbi, secondo la ricerca, iniziano a percepire il trattamento differenziale dei fratelli prediletti, già a 8 anni, manifestando difficoltà a esternare le proprie emozioni, bassa autostima e sintomi depressivi. Questa condizione di malessere diffuso, però, tende a migliorare se nel frattempo si rafforza il rapporto con i fratelli al punto tale da superare anche quella competizione che un trattamento differenziale potrebbe portare con sé.
I bimbi che si sentono meno considerati dei loro fratelli o trattati in maniera diversa, e percepiscono questo trattamento differenziale come ingiusto, sembrerebbero in età adulta sviluppare comportamenti aggressivi, delinquenza, sintomi depressivi, minor fiducia nelle relazioni e essere a maggior rischio dipendenza da cellulare, droga o alcol.
Ma quali sono i figli che le famiglie tendono a privilegiare? La ricerca mette in luce come nelle famiglie monogenitoriali e in quelle invece con molti figli si tenda a mettere in atto con maggiore probabilità questa differenziazione tra figli. I preferiti sembrerebbero essere gli ultimi nati, coccolati da genitori e fratelli, e nelle famiglie con una sola figlia femmina, questa sembrerebbe essere percepita dai fratelli maschi come la preferita dalla madre, perché più in sintonia.
La situazione, specificano gli studi, va analizzata ascoltando il punto di vista di tutti i membri della famiglia, perché essere più permissivi con un figlio piuttosto che con un altro, magari dai bimbi è visto come atteggiamento preferenziale ma non è così. Semplicemente accade, tra persone, che anche per i genitori alcuni figli siano più “semplici” da gestire, altri meno, alcuni più simili a loro, altri incapaci di comprenderne il linguaggio, e che per questo cambi il loro modo di comportarsi.
I bambini tendono a pensare che i loro genitori preferiscano un fratello perché magari trascorrono più tempo con lui, lo ascoltano di più. Una volta cresciuti, invece i rapporti preferenziali sembrerebbero molto legati agli aiuti economici che i genitori riescono a dare ai figli. In ogni caso la soluzione rimane una: parlarne. A volte i genitori si dedicano di più a un bambino perché è più piccolo, ha maggiori difficoltà nell'apprendimento, è giusto ascoltare i malesseri dei propri figli e dare una risposta, senza sentirsi attaccati se dovessero accusare di aver percepito differenze nel trattamento.
Ad essere ascoltato da genitori e fratelli deve essere anche il figliol prodigo, però, per il quale non sono tutte rose e fiori. Una ricerca, condotta nel 2018 da un gruppo di sociologi, ha dimostrato infatti che una volta adulti i bimbi che si sono resi conto di essere stati i preferiti dei loro genitori, sia per vicinanza emotiva che per confidenza, riportano con maggior frequenza sintomi depressivi.