Doveva essere il grande evento dedicato al rilancio della famiglia e delle nascite. Tra uscite improprie, proclami e slogan ritriti però, gli Stati Generali della Natalità si avviano alla loro conclusione con l'amara sensazione che anche questa volta il tiro sia stato spostato un po' troppo verso questioni ideologiche che poco hanno a che fare con un Paese da anni ha cessato di fare figli.
Un vero peccato, anche perché le effettive criticità all'origine dell'attuale inverno demografico sono state evocate più volte nel corso degli interventi della due giorni dell'evento, da Papa Francesco al premier Giorgia Meloni, passando per ministri, politici, analisti e personaggi del mondo dello spettacolo.
Salari troppo bassi, precarietà dei contratti, impossibilità di accedere ai mutui per l'acquisto della prima casa, asili e scuole d'infanzia inaccessibili, difficile conciliazione lavoro/famiglia e disuguaglianze di genere nella distribuzione dei carichi di cura.
Tutti temi che raccontano di problemi reali, vicini ai cittadini, ma che rischiano di finire eclissati dalle solite sparate contro non ben precisati nemici del popolo o inesistenti complotti ideologici.
Ad aprire le danze è stato il ministro per l'Agricoltura Francesco Lollobrigida che dopo le polemiche di qualche settimana per i riferimenti al pericolo di sostituzione etnica è tornato sull'argomento parlando nuovamente di «etnia italiana» e della necessità del difenderla.
Un messaggio oggettivamente inquietante e che, soprattutto, poco si sposa con la questione.
Siamo davvero convinti che gli immigrati che un tempo venivano accusati di rubarci il lavoro ora occupino anche i nostri posti in sala parto? I dati dicono di no, anche perché la crisi dell'inverno demografico nostrano risulta talmente profonda che da qualche anno nemmeno il contributo delle famiglie di origine straniera appare sufficiente a tamponate l'emorragia di nuove nascite.
Meno incendiarie è ben più concrete sono state invece le parole della Presidente del Consiglio Meloni che in occasione dello speech congiunto con Papa Francesco è partita snocciolando le iniziative intraprese dal governo e chiamando in causa criticità concrete per le famiglie moderne.
«Noi vogliamo restituire agli italiani un Paese in cui essere padri e madri sia un valore socialmente riconosciuto e non un fatto privato – ha dichiarato – Una nazione in cui fare un figlio è una cosa bellissima, che non ti toglie niente e non ti impedisce niente e che ti dà tantissimo».
Bene, brava, bis.
Ma perché allora ricascare nuovamente nel vizio di accostare contenuti condivisibili con vecchi cavalli di battaglia buoni solo strappare l'applauso del pubblico conservatore?
«Noi vogliamo una nazione nella quale non sia più scandaloso dire che, qualsiasi siano le legittime, libere scelte e inclinazioni di ciascuno, siamo tutti nati da un uomo e da una donna e che non sia un tabù dire che la natalità non è in vendita, che l'utero non si affitta e i figli non sono prodotti da banco che puoi scegliere e poi magari restituire» ha infatti aggiunto la premier nell'ultimo minuti del suo intervento, rinnovando gli strali contro le famiglie arcobaleno e i tanti genitori che vorrebbero solo godere del diritto di sentirsi tali.
C'era davvero bisogno presidente? Era davvero necessario buttare sul tappeto i soliti tormentoni annacquati? Per quale motivo in un Paese dove non nascono figli, chi vuole diventare genitore, benché non seguendo il modello "tradizionale", dovrebbe rappresentare un pericolo?
La risposta, forse, ce l'ha data lo stesso Papa Francesco qualche minuto dopo: «La famiglia – ha detto il Santo Padre – non può essere il problema, ma parte della soluzione».