Negli ultimi anni si sta assistendo ad un cambio di rotta riguardo a ciò che si pensa e si consiglia sul tema dell’aumento di peso durante la gravidanza. Se un tempo era comune il suggerimento di “mangiare per due” e non era raro assistere ad aumenti di peso ben superiori a quelli dati fisiologicamente dal feto in crescita, attualmente da parte di alcuni ginecologici c’è una prescrizione piuttosto rigida ad aumentare il minimo indispensabile. Quale suggerimento quindi è più corretto?
Rischi di un aumento di peso non adeguato
Entrambe le situazioni descritte sopra possono portare a conseguenze, sia fisiche che psicologiche: se un aumento di peso importante può contribuire al rischio di patologie quali gestosi, ipertensione, pre-eclamspia e diabete gestazionale, anche un’eccessiva preoccupazione riguardo ai cambiamenti fisiologici del corpo potrebbe portare a stati di ansia e conseguente alimentazione restrittiva, situazione assolutamente da evitare in un momento in cui il proprio nutrimento dovrebbe soddisfare anche le esigenze del piccolo.
Si assiste infatti sempre di più alla diffusione di un nuovo disturbo del comportamento alimentare definito pregoressia, dall’unione delle due parole inglesi pregnancy + anorexia. Nonostante questo comportamento non compaia ancora nella classificazione del DSM-5 (Manuale diagnostico dei disturbi mentali) può configurarsi a tutti gli effetti come una patologia a sé, essendo caratterizzato da angosce riguardanti il cambiamento della propria forma fisica che inizia proprio con l'arrivo della gravidanza.
I rischi di tale situazione sono quelli di un iper-controllo alimentare che può portare ad una restrizione di tipo qualitativo e/o quantitativo e all’eventuale comparsa di metodi compensativi quali vomito, uso lassativi o pratica di eccessiva attività fisica. Le conseguenze saranno quindi una malnutrizione sia della futura mamma che del nascituro, il quale sarà esposto a maggior rischio di aborto, condizione di prematurità o sottopeso ed una presumibile difficoltà maggiore ad instaurare un legame affettivo e di accudimento stabile con la mamma.
Aumento di peso consigliato
Le linee guida del 2009 dell’Institute of Medicine hanno stabilito un range di aumento di peso dipendente dallo stato nutrizionale di partenza della donna, come indicato in tabella:
Solitamente l’aumento di peso del primo trimestre è limitato a 0,5-2 kg totali, a seguito di un fabbisogno energetico solo leggermente superiore al periodo pre-gravidico (+70 kcal/gg, es. una mela).
Nel 2° e 3° trimestre invece si dovrebbe assistere ad un aumento medio di 0,2-0,4 kg/settimana, conseguentemente ad un aumento più importante di richiesta di energia, specie da proteine:
- + 260 kcal/gg e + 8 g proteine nel 2° trimestre, ottenibili ad esempio con l’inserimento di una merenda a base di uno yogurt intero bianco, 4 noci e un cucchiaino di miele;
- + 500 kcal/gg e + 23 g proteine nel 3°trimestre, ottenibili ad esempio con l’inserimento in uno dei due pasti principali di una porzione di carne, pesce o formaggio fresco cucinata o condita con un cucchiaio d’olio, sempre in aggiunta alla merenda descritta prima.
Perdita di peso dopo il parto
Molte donne si aspettano di perdere tutti i kg accumulati durante la gravidanza con il parto, ma questo non è sempre detto. Ci sarà sicuramente una perdita fisiologica di 6-8 kg dati dal peso del bimbo, dal liquido amniotico e da quello accumulato nel sangue. Il restante peso mantenuto potrebbe essere dovuto all’iniziale ritenzione di liquidi nei tessuti e ad un aumento di massa grassa durante la gestazione, che, se moderata, sarà comunque utile nel periodo di allattamento, qualora fosse scelto.
L’allattamento infatti comporta un elevato dispendio energetico per un fabbisogno giornaliero aggiuntivo di circa 500 kcal come nell’ultimo trimestre, motivo per il quale non è consigliabile attuare subito una restrizione calorica con l’obiettivo di una perdita di peso, ma sarà più importante ristabilire l’equilibrio psicofisico nei primi mesi post-partum e posticipare qualsiasi trattamento dietetico ad allattamento concluso (o ridotto).