Quando si parla di autismo, la prima cosa da chiarire riguarda il fatto non ne esiste un solo tipo, con sintomi e atteggiamenti standardizzati, ma tantissime forme diverse che, pur mantenendo alcuni importanti tratti comuni, si manifestano secondo modalità a volte anche molto differenti tra loro.
Meglio parlare dunque di disturbi dello spettro autistico, ossia un insieme di alterazioni del neurosviluppo e che vanno ad influenzare le capacità e le modalità d'interazione sociale, portando chi ne soffre ad avere grandi difficoltà nel comunicare con altre persone e ad assumere comportamenti limitati e ripetitivi.
Cos'è l'autismo
I disturbi dello spettro autistico vengono definiti in questo modo perché ne esistono molte tipologie differenti sia per l'impatto sui comportamenti di chi ne è soggetto, sia per la gravità con cui vengono compromesse alcune funzioni a livello linguistico, cognitivo e d'interazione sociale.
Esistono infatti persone autistiche che riescono a condurre una vita quasi normale e altre che invece incontrano molte più difficoltà nell'affrontare le piccole sfide della vita quotidiana.
Come già accennato, simili condizioni rientrano nei disturbi del neurosviluppo e si manifestano solitamente già in tenera età, intorno ai due/tre anni di vita, che poi è l'età nella quale un bambino inizia ad acquisire le abilità fondamentali per agire e relazionarsi con il mondo che lo circonda.
Cos'è l'Asperger?
La Sindrome di Asperger, che ad oggi non rientra più nella Classificazione del DSM-5, è probabilmente la forma di autismo più conosciuta, anche perché ne soffrono alcune celebrità come il regista Tim Burton o la paladina dell'ambiente Greta Thunberg. Si tratta di un Disturbo dello Spettro Autistico cosiddetto "ad alto funzionamento" poiché in questa condizione appaiono ridotte la capacità di comunicare e socializzare, tuttavia le competenze cognitive e linguistiche appaiono in linea con le attese previste per la fase di sviluppo. Anzi è spesso legata a successi in campo accademico o nell'arte proprio per la tendenza ad approfondire determinati argomenti e dedicarvisi per la maggior parte del tempo.
Breve storia dell'autismo
Prima del XX secolo l'autismo non era riconosciuto da nessuna branca medica o scientifica. La parola comparve per la prima volta negli anni '10 e venne coniata dallo psichiatra svizzero Eugene Bleuler attingendo dal greco (autòs e histemi, "stare solo con sé stesso") per descrivere alcuni sintomi della schizofrenia.
Fu solo dagli anni '40 però che l'autismo iniziò ad essere studiato come un fenomeno a parte da due medici, Leo Kanner e Hans Asperger, i quali iniziarono quasi contemporaneamente (ma in modo indipendente) ad occuparsi di bambini che mostravano spiccate difficoltà comunicative e di socialità, individuando una causa comune a livello psichico.
Nei decenni successivi gli studi si affinarono sempre più, arrivando a definire con sempre maggiore accuratezza casistiche e implicazioni del disturbo. Ancora molte caratteristiche della condizione restano piuttosto oscure e necessitano di nuove ricerche.
I sintomi dell'autismo
Benché i disturbi dello spettro autistico presentino un'ampio ventaglio di caratteristiche differenti, esistono tratti comuni riscontrabili in gran parte delle persone definibili come "autistiche".
- Difficoltà di comunicazione e interazione sociale (difficoltà nel avviare o sostenere una conversazione, difficoltà nell'utilizzo dei gesti comunicativi e difficoltà nell'utilizzare e comprendere la comunicazione non verbale e le intenzioni sociali dell'altro)
- Interessi assorbenti, ristretti e ripetitivi (interesse per numeri, lettere, altre lingue, targhe delle auto, bandiere, capitali del mondo) e movimenti stereotipati delle mani o del corpo (flapping/sfarfallio e dondolamento)
- Iper o iporeattività agli stimoli di natura sensoriale (interesse per elementi di tipo sensoriale per es: luci, colori, suoni e odori).
Cause e fattori di rischio
Simili disturbi si sviluppano in seguito anomalie del neurosviluppo, tuttavia la Scienza non ha ancora individuato cause certe e ben definite. Da tempo però sono stati individuati alcuni fattori genetici correlati ad un rischio maggiore di sviluppare un disturbo autistico.
Oltre alla presenza di alcune supposte anomalie cromosmiche (microdelezioni e microduplicazioni) che interessano un pool di geni che sembra coinvolto nella maggior parte dei disturbi del neurosviluppo, anche il fatto di aver già avuto figli con Disturbo dello Spettro Autistico risulta un elemento statisticamente rilevante. Un altro fattore di rischio sembra associato all'elevata età paterna e all'utilizzo di alcuni farmaci durante la gravidanza.
Da escludere dunque la possibilità che l'autismo maturi per questioni puramente ambientali o educative come affermava la teoria della "madre frigorfero"- un tempo si temeva che madri poco affettuose o poco ematiche fossero la causa dell'autismo dei loro figli, per non parlare della questione legata ai vaccini.
La comunità scientifica ha infatti ripetutamente smentito qualsiasi correlazione tra vaccini e autismo. Questa gigantesca fake ebbe origine nel 1998, quando il medico inglese Andrew Wakefield scosse il mondo con uno studio che addossava ai vaccini l'impennata di casi di autismo. Poco tempo dopo si scoprì che l'intera ricerca di Wakefield si reggeva su dati contraffatti, ma la bufala aveva ormai trovato terreno fertile nel complottismo internazionale.
Come capire se un bambino è autistico?
Uno dei grossi equivoci che per un certo periodo alimentò la tesi di Wakefield riguardava il fatto che i bambini mostravano i primi segnali dell'autismo introno ai due/tre anni, ossia proprio l'età nella quale i piccoli vengono sottoposti alla vaccinazione. In realtà però quello è il periodo in cui i bimbi iniziano ad interagire di più con gli altri e le difficoltà comunicative e razionali risultano maggiormente osservabili ed evidenti.
Alcuni segnali precoci di autismo (intorno ai 2 anni) da poter osservare:
- Il bambino non sempre stabilisce un contatto visivo con l'altro (non guarda negli occhi)
- Non si gira quando viene chiamato per nome
- Ha un tasso ridotto di sorriso e affettività condivisa con l'altro
- Mostra una espressività facciale ridotta
- Non utilizza o presenta un ridotto utilizzo di gesti comunicativi (fare "ciao" con la mano, annuire o dire "no" con la testa ecc)
- Tende a osservare gli oggetti con uno sguardo di sbieco ed utilizza alcuni giochi in maniera ripetitiva
- Non gioca in maniera funzionale con la maggior parte dei giocattoli, ma preferisce focalizzarsi su alcuni elementi (per esempio: gioca con le ruote della macchina invece di fargli fare una corsa).
Il ritardo cognitivo è un fattore spesso associato all'autismo, tuttavia non è sempre presente anche perché i bambini autistici possono essere molto intelligenti, come nei già citati casi di Sindrome di Asperger o nei soggetti autistici ad alto funzionamento.
Come già accennato tali segnali iniziano ad essere leggibili tra i due e i tre anni di vita, anche se per essere certi della situazione occorre sottoporre il bambino ad un esame diagnostico approfondito.
«Secondi i dati del Centre for Disease Control del 2019 i vari segni e sintomi del Disturbo dello Spettro Autistico iniziano ad emergere nel primo anno di vita e possono essere rilevati tra i 6 e i 18 mesi di età, tuttavia l'età media della diagnosi è di 4 anni o più – ci spiega Elisabetta Lupi, psicologa membro del comitato socio-scientifico di Wamily e specializzata in diagnosi e trattamento dei Disturbi del Neurosviluppo – La diagnosi precoce permette di avviare tempestivamente la terapia considerando che guadagni più significativi si osservano nei bambini che iniziano un intervento prima dei 2 anni di età (Ben-Itzchak& Zachor 2007; Landa 2018; MacDonald et al. 2014).
Il nostro Paese però non sembra ancora sufficientemente attrezzato per una simile tempestività d'intervento.
«La diagnosi precoce in Italia è fattibile e possibile – continua Lupi – tuttavia i tempi necessari per attivare la”macchina della diagnosi precoce” sono ancora troppo lenti e sarebbe necessario aumentare la sorveglianza auspicando una maggiore collaborazione tra asili nido, pediatri e centri di Neuropsichiatria Infantile».
Diagnosi di autismo
Quando un genitore o un pediatra sospetta che un bambino possa avere un disturbo dello spettro autistico, le figure professionali predisposte alla diagnosi possono accertare la situazione solo attraverso l'osservazione del comportamento del bimbo (dunque niente TAC, ecografie o risonanze magnetiche ci diranno se nostro figlio è autistico).
La valutazione viene effettuata da un team che di norma prevede la presenza di un neuropsichiatra, uno psicologo e un logopedista. Questi esperti utilizzano una serie di test standardizzati che aiutano l'osservazione del comportamento del bambino durante il gioco e sono utili per valutare le competenze comunicative e linguistiche.
Parallelamente, la valutazione coinvolge anche i genitori del bimbo, con un'intervista approfondita per comprendere il contesto ambientale e ricevere le segnalazioni di eventuali comportamenti rivelatori.
Al momento le diagnosi d'autismo riguardano circa un bambino su 100, ma negli ultimi anni il numero delle certificazioni appare in aumento.
«Nel tempo si è assisto ad un aumento della prevalenza (0.05 % nel 1966 fino al 2% nel 2020) – spiega Lupi – Il motivo? Ve ne sono diversi tra cui un effettivo aumento dell’ autismo nella popolazione generale, una maggiore consapevolezza del fenomeno, un maggiore accesso alle terapie, la tendenza a diagnosticare individui con QI nella norma ed una diminuzione della soglia clinica per effettuare diagnosi».
Dall'autismo si guarisce?
L'autismo non è una malattia, ma una condizione per cui non esiste una "medicina". Ciò che si può fare è aiutare il bambino (o il ragazzo, o l'adulto se la diagnosi arriva tardi) approntando un'efficace trattamento abilitativo per favorire il sostegno e lo sviluppo delle competenze sociali e comunicative, l'adattamento alla vita quotidiana e l'apprendimento.
Nel 2011 l'Istituto Superiore di Sanità ha adottato una Linea Guida per il Trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti che offre le coordinate per stabilire una strategia valida di crescita ed educazione di un bambino autistico. Naturalmente in questo percorso non possono rientrare solo i genitori, ma anche la scuola e le figure educative ausiliarie che hanno il compito di assecondare le esigenze di ogni singolo bambino.
Come vive una persona autistica?
Uno dei maggiori problemi dell'autismo è che innalza una barriera comunicativa ed emotiva tra chi ne è soggetto e il resto del mondo.
Tale barriera infatti non solo rende difficile alla persona autistica di relazionarsi con gli altri – spesso hanno difficoltà nel comprendere i segnali non verbali della comunicazione, i modi di dire e le intenzioni dell'altro- ma non permette nemmeno agli altri di comprendere come vive e si relaziona una persona con autismo.
Questo ci porta spesso a pensare che gli autistici non abbiano emozioni, ma si tratta di un grosso errore: le persone autistiche sono infatti spesso sopraffatte dalle emozioni, ma non sapendole riconoscere e gestire, attuano comportamenti che a noi appaiono incomprensibili.
Insomma, gli autistici non sono alieni, ma semplicemente vedono e interpretano il mondo con occhi diversi dai nostri.
Dal punto di vista pratico, invece, la questione si risolve in base alla gravità della condizione. Gli autistici ad alto funzionamento infatti possono anche imparare a vivere da soli e a convivere con le loro peculiarità, mentre nei casi più complessi sarà sempre necessaria la figura di un aiuto per favorire l'autonomia.