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8 Aprile 2023
12:00

Autosvezzamento: cos’è e cosa cambia rispetto allo svezzamento tradizionale

L’autosvezzamento è una modalità di alimentazione che lascia il neonato, dai 6 mesi in su, libero di sperimentare il cibo solido degli adulti. A differenza dello svezzamento tradizionale, con quello a richiesta il bebè si alimenta autonomamente esplorando i sapori dei più grandi, pur con le dovute cautele. L’OMS non si sbilancia. Ne abbiamo parlato con il pediatra Antonio di Mauro.

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Autosvezzamento: cos’è e cosa cambia rispetto allo svezzamento tradizionale
In collaborazione con il Dott. Antonio Di Mauro
Medico Specialista in Pediatria e Neonatologia
autosvezzamento

L’autosvezzamento (o alimentazione complementare a richiesta) è una modalità di alimentazione che prevede una certa autonomia del neonato, libero di assaggiare spontaneamente i cibi solidi dei grandi sotto la supervisione di un adulto.

A differenza dello svezzamento tradizionale (o alimentazione complementare), che consiste nel sottoporre al piccolo pappe cucinate appositamente per lui e baby food, con l’autosvezzamento il bebé esplora e scopre i piatti che mangiano abitualmente genitori e fratelli più grandicelli, alimentandosi a piacimento con le mani, con le posate o imboccato dall’adulto.

L’OMS non si sbilancia sulla questione, raccomandando di iniziare lo svezzamento dopo i sei mesi di vita del piccolo, mentre il Ministero della Salute precisa che è «oltre l’anno di vita» che «il bambino gradualmente inizia a mangiare i cibi della famiglia».

Il pediatra Antonio di Mauro ha spiegato a Wamily che «ognuno di questi due approcci presenta vantaggi e svantaggi» ma lo svezzamento tradizionale «porta con sé alcune pratiche che non hanno un razionale scientifico (come il cronoinserimento degli alimenti e il passaggio obbligato dai baby food industriali), ma sono solo il frutto della cultura popolare del nostro Paese e della spinta dell’industria per l’infanzia».

In passato la letteratura scientifica era convinta che un’introduzione graduale degli alimenti prevenisse la comparsa di allergie e aiutasse la digestione del piccolo. Oggi la categoria dei pediatri concorda quasi all’unanimità che intorno ai 6 mesi l’apparato digerente del bambino è già in grado di tollerare qualsiasi cibo (con qualche eccezione, come miele, funghi, fritti, crostacei, crudi di mare) e che la strada da intraprendere per avvicinare il lattante agli alimenti solidi è quella dell’autosvezzamento, un processo naturale che segue la fisiologica richiesta del bambino di cibo, pur con le dovute cautele.

Precisiamo, comunque, che in questa fase è raccomandabile confrontarsi con il pediatra di riferimento, che consiglierà al genitore la forma di svezzamento ritenuta più opportuna per la crescita e lo sviluppo del figlio, nonché quali alimenti offrire al bambino e in che modalità prepararli.

Quando iniziare l'autosvezzamento

«Non esiste un momento valido per tutti i lattanti per iniziare lo svezzamento – spiega il pediatra Di Mauro, membro del Consiglio Direttivo Nazionale della Sip (Società Italiana di Pediatria) – bisogna prendere in considerazione diverse variabili: la prima è sicuramente lo sviluppo neurofisiologico del bambino, che deve essere in grado di restare seduto, deve poter controllare i muscoli del collo, deve aver perso il riflesso di estrusione, deve mostrare interesse nei confronti del cibo “dei grandi”, deve essere in grado di afferrare, masticare e deglutire in maniera efficace».

Non esiste un momento valido per tutti i lattanti per iniziare lo svezzamento

«Altre variabili sono le specifiche esigenze nutrizionali e la crescita staturo-ponderale del bambino, le specifiche esigenze della singola diade madre-bambino, nonché il contesto socio-culturale in cui la singola famiglia vive».

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda l’allattamento al seno esclusivo per i primi sei mesi di vita del neonato, un periodo di tempo che garantisce lo sviluppo ottimale del bambino. Solo dopo i sei mesi, l’OMS consiglia di procedere con l’introduzione di alimenti diversi dal latte.

È tra i cinque e i nove mesi di vita, infatti, che il piccolo impara a mantenere il tronco dritto e a masticare e deglutire correttamente il cibo, sviluppando le capacità neuromotorie e digestive.

Esistono una serie di segnali per capire se il bambino è pronto per assaggiare alimenti solidi e semisolidi:

  • Osserva con interesse i genitori quando mangiano
  • Allunga le mani verso la tavola imbandita
  • Ha perso il riflesso di estrusione, il movimento istintivo del neonato per succhiare il latte
  • Emette versi che fanno intuire il suo desiderio di partecipare al pasto
  • Muove la bocca per imitare la masticazione degli adulti
  • Si mantiene autonomamente in posizione eretta sul seggiolone, con la testa dritta
  • Ha acquisito una certa manualità ed è in grado di afferrare con le mani un alimento e portarselo alla bocca

Quella dei 6 mesi, quindi, è un’indicazione standard: il piccolo potrebbe sviluppare le capacità neurologiche, motorie, digestive e comportamentali adeguate con qualche mese di ritardo, e non per questo dobbiamo preoccuparci.

La regola è quella di osservarlo, aspettarlo, lasciargli il tempo che gli occorre: sarà lui ad avvisarci, a gesti e smorfie, quando è giunto il momento di impugnare il cucchiaio e mangiare la pappa dei grandi.

Svezzamento alimentare a richiesta autosvezzamento

Come si fa l'autosvezzamento

Partiamo dal presupposto che non esistono schematismi da seguire per praticare l’alimentazione complementare a richiesta.

Non esistono schematismi da seguire per praticare l’alimentazione complementare a richiesta

Piuttosto, i professionisti suggeriscono ai genitori una serie di accorgimenti e buone pratiche:

  • Accogliere il bambino a tavola con noi: «Sedere il piccolo a tavola con gli adulti è un ottimo modo per avvicinarlo alla “pappa da grandi” – commenta il pediatra Di Mauro – «e questo noi italiani lo sappiamo più di chiunque altro. La convivialità a tavola è sempre una buona pratica che amplia l’esperienza del pasto e rafforza le relazioni interumane».
  • Proporre gli alimenti con cautela, sorvegliando il bambino con estrema attenzione e, qualora occorra, sminuzzando e schiacciando il cibo
  • Scegliere prodotti di qualità: «Gli alimenti da prediligere sono sicuramente quelli non elaborati. Fatevi guidare dalla semplicità del pasto, dal km 0, dalla stagionalità, dalla grande varietà di cibi che abbiamo» raccomanda il pediatra Di Mauro.
  • Fare attenzione a evitare o ridurre pochi specifici alimenti: «Sono davvero pochissimi gli alimenti da evitare – risponde il pediatra – il miele tanto amato dalle nonne, i funghi, zuccheri e sale, i fritti e il crudo di mare».

Da ridurre il più possibile sono i prodotti industriali, i piatti pronti, le carni lavorate e i prodotti in scatola.

Nessun cronoinserimento, ma un pasto completo, col giusto apporto di energia, senza modalità o menù predefiniti

«Per quanto riguarda i piatti da proporre, non è necessario alcun cronoinserimento, possiamo quindi mettere da parte il criterio della progressiva introduzione degli alimenti secondo un “grado di allergenicità”. Piuttosto va offerto un pasto il più completo possibile e che offra il giusto apporto di energia, proteine, ferro e vitamine senza modalità o menù predefiniti» aggiunge il pediatra.

  • Frequentare un corso di disostruzione delle vie aeree, imparando le manovre, per una sicurezza ulteriore
  • Non interrompere, quando possibile, l’allattamento al seno durante lo svezzamento: «Il latte materno, dove possibile, andrebbe sempre offerto anche durante e oltre lo svezzamento, che sia tradizionale o autosvezzamento. – spiega il pediatra Di Mauro – L’allattamento al seno non interferisce negativamente sulla progressione dell’autonomia ma anzi aumenta le probabilità che i bambini realizzino al meglio il loro potenziale genetico».
  • Controllare la quantità di sale presente nel piatto offerto al bambino per prevenire lo sviluppo di ipertensione. L’OMS raccomanda di evitare completamente il sale aggiunto fino ai nove mesi e limitarlo a non più di 2 grammi fino ai 2 anni di età. Per uniformare la mensa familiare e cucinare lo stesso piatto per tutti si consiglia di sostituire il sale con spezie, erbe aromatiche o cipolla, aggiungendo il sale a fine cottura esclusivamente nelle porzioni destinate agli adulti

Ricordiamo che l’autosvezzamento parte dalla famiglia e i genitori sono protagonisti attivi in questo fondamentale momento di crescita del bambino.

«L’autosvezzamento si inizia interrogando i genitori – spiega il medico Di Mauro – solo nelle famiglie in cui si mangia bene, il bambino imparerà a mangiare bene. Per questo vanno dapprima eliminate le cattive abitudini alimentari dei genitori».

Mani o cucchiaio?

In che modo il piccolo dovrebbe portarsi il cibo alla bocca? Il pediatra Di Mauro risponde:

«Nelle primissime fasi dello svezzamento i bambini sono in grado di utilizzare le mani con una prensione palmare, di medializzare gli arti e di portarsi in autonomia alla bocca tutto ciò che riescono ad afferrare, compreso il cibo. Per far sì che questo avvenga è però necessario che il cibo offerto abbia una forma allungata e stretta, come quella del dito del genitore. In alternativa, anche il cucchiaio può essere utilizzato per offrire il cibo, senza che però diventi un’arma nelle mani del genitore per imboccare forzatamente il proprio bambino. Anche nell’uso del cucchiaio è sempre bene che il bambino sia parte attiva, possa sperimentare, giocare, apprendere».

Autosvezzamento alimentazione a richiesta

I vantaggi dell'autosvezzamento

Per decenni la comunità scientifica, nazionale e internazionale, ha proposto lo svezzamento classico (o divezzamento) come unico metodo per introdurre nel neonato i primi alimenti solidi a complemento del latte. Alla luce del cambio di rotta, è lecito domandarsi perché la fetta preponderante di professionisti oggi si sbilanci a favore dell’autosvezzamento e quali siano i vantaggi rispetto all’alimentazione complementare tradizionale.

L’autosvezzamento comporta molteplici benefici. Innanzitutto, prevede un’offerta alimentare ricca e varia, insegnando al piccolo a spaziare fra piatti diversi e a sperimentare sapori nuovi. In questo modo, il rischio che il bambino sviluppi un’alimentazione selettiva è più lontano.

Anche l’ambiente e il portafoglio ne trovano giovamento: evitando l’acquisto di vasetti di vetro, di confezioni in alluminio e di imballaggi di plastica, in cui di norma sono avvolti i baby food, sprecheremo e spenderemo di meno.

Per finire, l’alimentazione complementare a richiesta ha un influsso positivo sull’alimentazione della famiglia, che è incentivata dalle esigenze dell’ultimo arrivato a regolarizzare i pasti e a prediligere piatti sani ed equilibrati.

Sulla questione, è intervenuto il pediatra Di Mauro:

«Lo svezzamento tradizionale porta con sé alcune pratiche che non hanno un razionale scientifico ma sono solo il frutto della cultura popolare del nostro Paese e della spinta dell’industria per l’infanzia. Una su tutte, il cronoinserimento degli alimenti e il passaggio “obbligato” dai baby food industriali».

«Dopo i primi 6 mesi ed una adeguata valutazione dello sviluppo neurofisiologico e anatomo-funzionale da parte del pediatra, il lattante è pronto a ricevere cibi diversi dal latte con consistenze e tagli definiti “sicuri”. Non c’è bisogno per forza di baby food industriali e non c’è necessità di procrastinare l’introduzione di alcuni alimenti, tradizionalmente ritenuti “allergizzanti”, per prevenire lo sviluppo di allergie alimentari».

L'autosvezzamento è sicuro?

Il superamento dello svezzamento tradizionalmente inteso non equivale alla promozione di un autosvezzamento senza regole e sconsiderato

La cautela e la conoscenza dei possibili rischi e delle pratiche da seguire sono aspetti imprescindibili nello svezzamento a richiesta:

«Per “autosvezzamento” non va di certo intesto uno svezzamento privo di regole a tavola. Tutt’altro, fondamentali sono il buon senso, la consapevolezza del rischio di inalazione del cibo, la conoscenza dei tagli sicuri e delle manovre di disostruzione pediatrica, e ovviamente semplici, ma fondamentali, consigli nutrizionali ai genitori sul buon cibo. Al pediatra è attribuito il ruolo fondamentale di guida» conclude il pediatra.

A prescindere dal metodo di svezzamento utilizzato, il rischio di soffocamento nei bambini che iniziano a familiarizzare con il cibo è alto, tanto da costituire la prima causa di morte nei bimbi di età inferiore ai 3 anni. A precisarlo è il Ministero della Salute, che ha pubblicato delle Linee di indirizzo per la prevenzione del soffocamento da cibo.

«È importante che il bambino mangi seduto con la schiena eretta, che il cibo sia servito con i “tagli sicuri” e che i genitori, ma anche i nonni e le babysitter, conoscano le manovre di disostruzione delle vie aeree pediatriche» raccomanda il pediatra Di Mauro.

Prima di offrire al piccolo alimenti solidi, è utile tagliarli per agevolare la corretta masticazione e deglutizione: sono i cosiddetti tagli sicuri. Prima di somministrare un alimento a un lattante, è importante valutarne le caratteristiche, in particolare la consistenza, la forma e la scivolosità. Vediamole:

  • Consistenza: fino a 18 mesi del bambino, sono da prediligere alimenti morbidi, non friabili, né eccessivamente duri (come le mandorle)
  • Forma: è preferibile offrire al piccolo cibi tagliati a bastoncini, a spicchi, a strisce, grattuggiati, tritati, sminuzzati, al contrario sono da evitare cibi tondi (come pomodorini, uva, olive), cilindrici (come i wustel) o tagliati a rondelle (come le carote). Per quanto riguarda la pasta, sono ammessi fusilli, spaghetti e farfalle, mentre i maccheroni e le penne vanno tagliati in lunghezza
  • Scivolosità: non vanno proposti al piccolo i cibi pastosi, che rischiano di attaccarsi al palato o alle vie aeree (come gli gnocchi o la mollica del pane)

E se il piccolo rifiuta il cibo?

Abbiamo scelto con cura le pietanze e la carne per la cena. Con entusiasmo, avviciniamo il piatto al seggiolone del piccolo. Con nostra sorpresa, il bambino lo allontana, esibendo un broncio sul muso. Cosa facciamo se quel cibo da grandi al non piace al bambino, o se lo rifiuta? Ci risponde il pediatra Di Mauro:

«Innanzitutto, nessun dramma. Non forziamo il bambino ma riproponiamo il cibo rifiutato nelle giornate successive, eventualmente preparato in modo diverso. Non cerchiamo prestazioni dal nostro bambino, ma offriamo esperienze sensoriali e gustative in un processo di apprendimento continuo. Prima o poi, anche il cibo scartato verrà accettato».

Fonti mediche
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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