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13 Giugno 2023
15:30

Bimbo di 14 mesi morto in casa dopo la febbre. Ecco perché il pediatra deve essere la figura di riferimento per la salute dei bambini

È stata aperta un’inchiesta dalla procura sulla morte del bimbo di 14 mesi deceduto nel suo lettino lo scorso 7 giugno in provincia di Lecce. I genitori avrebbero chiesto di visitare il figlio febbricitante a un oculista di fiducia, che gli avrebbe prescritto dei medicinali omeopatici. Vediamo perché bisogna affidarsi alle cure di un pediatra fino almeno ai 6 anni di età del piccolo.

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Bimbo di 14 mesi morto in casa dopo la febbre. Ecco perché il pediatra deve essere la figura di riferimento per la salute dei bambini
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Avrebbero chiesto a un oculista di fiducia, anziché a un pediatra, di visitare il figlio di 14 mesi con la febbre alta. Il medico specializzato nella cura delle malattie dell’occhio gli avrebbe prescritto medicinali omeopatici, senza invitare la coppia a rivolgersi a uno specialista o ad approfondire con ulteriori accertamenti lo stato di salute del piccolo. Sul decesso del neonato, trovato morto nella sua culla il 7 giugno scorso in provincia di Lecce, è stata aperta un’inchiesta dalla procura. I genitori sono indagati per omicidio colposo, mentre per l’oculista che ha visitato il bimbo si suppone il reato di responsabilità colposa per morte in ambito sanitario. Nel frattempo, è stata effettuata ieri l’autopsia sul corpo del piccolo, per chiarire le ancora nebulose cause di morte.

Il caso

Quando i soccorsi, allertati dal padre del piccolo, sono arrivati in casa, il bambino non respirava più. La prima ipotesi è stata di Sids, la sindrome della morte improvvisa del lattante che provoca un arresto cardiocircolatorio e che colpisce circa 300 bimbi l’anno solo in Italia. Eppure, qualcosa non convince investigatori e inquirenti.

Il piccolo aveva la febbre da giorni. Secondo quanto si apprende dall’informazione di garanzia, a visitarlo sarebbe stato un oculista che gli avrebbe prescritto un medicinale omeopatico senza suggerire ai genitori di rivolgersi a un pediatra e di eseguire ulteriori accertamenti.

Dalle indagini, inoltre, è emerso che il neonato sarebbe stato sottoposto a una sola visita pediatrica dalla nascita, che risale a oltre un anno fa, quando il piccolo aveva due mesi. Anche gli screening neonatali prescritti in quell'occasione dal pediatra non sarebbero stati mai eseguiti.

Perché il pediatra deve essere la prima figura di riferimento per la salute del piccolo

Le linee guida sono chiare. È il pediatra la prima figura di riferimento specialistica per la salute del piccolo. Una figura indispensabile dalla quale non si può prescindere nei primi anni di vita del minore.

Anche nel caso in cui si confidi in cure alternative, è raccomandabile ricorrere al consulto del pediatra, che è il medico a cui riferirsi fino almeno ai 6 anni di età del piccolo. Dopodiché, dai 6 ai 14 anni, la scelta ricade tra pediatra e medico di famiglia. Il suo ruolo è quello di monitorare gli sviluppi del minore attraverso delle visite periodiche, chiamate “bilanci di salute”, e, allo stesso tempo, intervenire nel caso dell’insorgere di malattie più o meno gravi.

Come sottolinea la Sipps (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale), non è necessario somministrare farmaci al piccolo per qualsiasi tipo di malattia: dipende ovviamente dal disturbo o dall’infezione in corso. Ad ogni modo, è sempre il pediatra a dover prescrivere medicinali nei casi in cui le condizioni del piccolo lo richiedano. Il genitore può, eventualmente, confrontarsi con il medico sulla prescrizione per chiedere delucidazioni sulla cura e valutare insieme eventuali alternative. La Sipps raccomanda anche di «somministrate al bambino solo farmaci prescritti dal pediatra, non dare mai medicine prescritte da persone che non sono medici».

Le informazioni fornite su www.wamily.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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