I capezzoli piatti o introflessi sono una condizione caratterizzata dalla mancanza di prominenza dei capezzoli, che non sporgono all’esterno dell’areola, ma risultano retratti. Lo possiamo notare a occhio nudo. Per essere però sicuri che il nostro capezzolo sia introflesso, va stimolato. Se resta piatto, la “diagnosi” è confermata, altrimenti dovrebbe sporgersi verso l’esterno.
Come sono fatti i capezzoli
Al centro di ogni seno ci sono i capezzoli, composti per lo più da fibre muscolari lisce. Intorno al capezzolo c'è un'area pigmentata della pelle chiamata areola. All'interno delle areole sono presenti numerose ghiandole sebacee che si ingrandiscono durante la gravidanza, secernendo una sostanza oleosa che funge da lubrificante protettivo per il capezzolo.
Il capezzolo per l’esattezza è una formazione cilindrica papillare di dimensioni variabili, larga in media da 10 a 12 millimetri (mm) e alta da 9 a 10 mm. La sua pelle è simile all'areola, ma non ha ghiandole sebacee. Ha da 10 a 20 pori corrispondenti all'uscita dei condotti del latte.
La pelle del capezzolo poggia su un sottile strato di muscolatura liscia, fibre muscolari areolari che sono distribuite in due direzioni: radiale e circolare. Il muscolo di Sappey responsabile delle fibre circolari e il muscolo di Meyerholz, formato dalle fibre radiali.
Il muscolo areolare continua nella papilla con fibre longitudinali e circolari che circondano i condotti del latte insieme al supporto del tessuto connettivo. La sua contrazione è responsabile dell'espulsione della secrezione nei seni lattiferi e del telotismo della papilla, “mimando un'erezione”. Ovvero, l’ inturgidimento del capezzolo.
Cause dei capezzoli introflessi
Alcune persone nascono con i capezzoli piatti, ovvero che non protendo all’infuori rispetto all’areola, nemmeno dopo essere stati stimolati, dal freddo o dal desiderio sessuale. Talvolta sono addirittura ritirali, cioè affondano nel tessuto mammario. È una condizione abbastanza frequente, che può verificarsi nella donna ma anche nell’uomo. Di fatto è un’anomalia, che riguarda circa il 10-20% delle donne, che non causa nessun problema, se non estetico, ma può essere un ostacolo in allattamento.
I capezzoli introflessi possono essere dovuti a cause di origine diversa. Molto spesso sono ereditari, ovvero è una condizione benigna che si eredita dal genitore. In alcuni casi si tratta di una retrazione acquisita, provocata temporaneamente da un’infiammazione o da infezione al seno, come per esempio la mastite. Possono essere causati anche da cicatrici, a seguito di un intervento chirurgico, o dalla presenza di dotti galattofori troppo corti che impediscono al capezzolo di stare in posizione estroflessa o, nella situazione più grave, possono essere il sintomo della presenza di una massa tumorale.
Come allattare con i capezzoli piatti
Avere i capezzoli piatti è principalmente un problema estetico, ma alcune donne trovano difficoltà nell’allattamento al seno. Se dovessimo avere questa piccola anomalia, non dovremmo rinunciare ad attaccare il nostro bimbo. Si consiglia di consultare un’ostetrica o un consulente per l’allattamento perché ci sono delle tecniche e delle posizioni che possono migliorare l’attacco.
Prima di attaccare il bambino si consiglia di comprimere il seno con le dite a forma di V o di C in modo da spingere all’infuori il capezzolo e magari di stimolarlo un pochino con del ghiaccio. Un altro metodo è quello estrarre il latte manualmente o con il tiralatte per qualche minuto prima della poppata, affinché il capezzolo si modelli nella posizione migliore.
Ricordiamo poi che si tratta di allattamento al seno e non al capezzolo. Il bambino deve prendere in bocca l’areola e non la punta, anche perché può essere estremamente doloroso per la mamma e favorire la formazione di ragadi. La posizione più indicata in questo caso è quella semi-reclinata (biological nurturing) che permette un attacco più profondo e bypassa completamente il problema del capezzolo introflesso. Talvolta, potrebbero esserci consigliati i paracapezzoli per facilitare l’allattamento: in realtà, non sono necessari, anzi potrebbero limitare la stimolazione del seno e quindi la produzione di latte.
Trattamento
Molte donne scoprono di avere i capezzoli introflessi durante la gravidanza, quando si preparano ad allattare al seno. In questa fase della vita possiamo prenderci cura del nostro corpo con più attenzione.
Se temiamo che il nostro seno abbia una forma non adatta all’allattamento, potremmo utilizzare dei modellatori, che si possono indossare dalla 32esima settimana, sotto il reggiseno, per diverse ore al giorno. Dopo il parto, invece, si indossano per una mezzora prima delle poppate. Non vanno portati di notte e il latte che si raccoglie al loro interno non deve essere utilizzato. Sono un piccolo aiuto. Ciò che conta veramente, però, è imparare ad attaccare correttamente il bambino al seno e, soprattutto, farlo da subito.
Esiste, poi, la tecnica di Hoffman, una procedura che permette di allentare il tessuto connettivo alla base del capezzolo e può essere utilizzata durante la gravidanza e dopo il parto. Dobbiamo appoggiare i pollici alla base del capezzolo e premere con decisione verso la cassa toracica. Contemporaneamente bisogna allontanare i pollici. È un esercizio che va ripetuto da 2 a 5 volte al giorno.
Può essere un po’ complicato o frustrante per una mamma alla prima esperienza, ma nulla che non si possa risolvere se seguite da un’ostetrica specializzata in allattamento. Di solito ai corsi preparto forniscono informazioni anche in merito al post partum e consigliano di rivolgersi gli sportelli o laboratori per l’allattamento al seno, dove farsi aiutare in caso difficoltà e imparare gli attacchi più indicati.