«Ora userò un termine terribile, che diventerà trash, dobbiamo aiutare le istituzioni, il Vaticano, le associazioni, la maternità a diventare di nuovo cool». Un piccolo stralcio dell’intervento che la senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni ha fatto ieri alla trasmissione mattutina Coffe Break su canale 7, quando si dialogava dei motivi della denatalità che ormai da anni colpisce il nostro Paese.
Una frase un po’ da boomer, direbbero i giovani di oggi, come si evince già da quel tentativo mal riuscito di scimmiottare uno slang giovanile, inserendo una parola inglese “cool”, che ormai non si usa da anni, nel suo slogan. A dire il vero dei termini inglesi si potevano utilizzare per parlare della causa alla denatalità, gender gap per esempio o fertility gap, parole anglofone che parlano di problemi tutti italiani.
Ma la senatrice, in ogni caso, è riuscita nel suo obiettivo, diventare virale come solo i contenuti più trash oggi sanno fare.
Mentre Treccani dichiarava che la parola dell’anno è "femminicidio" e il film di Paola Cortellesi sulla violenza di genere perpetrata da secoli di patriarcato sbaragliava al botteghino, classificandosi film più visto di sempre, lei, insieme ai suoi interlocutori, non ci sta a queste innovazioni. Ancorata al passato e alle tradizioni, sogna che sua figlia diventi un buon medico, sì, senza però dimenticare la sua missione principale: “diventare madre”.
La senatrice poi annovera in ordine i suoi successi, la laurea preceduta dalla prima gravidanza, l’esame di stato di avvocatura preceduta dalla seconda e il ruolo di assessora comunale, preceduto dalla terza, specificando che alla fine se vuoi puoi tutto.
Ma un grazie lei lo deve, alla sua mamma che le ha trasmesso il valore della riproduzione in nome della patria e che ha potuto prendersi cura dei suoi figli insieme a lei, cosa che le nonne di oggi faticano a fare, perché ormai hanno un nipote a 70 anni suonati, a qualche baby-sitter e a suo marito che le concedeva 3 ore al giorni per studiare, mentre si lui occupava dei bambini.
Insomma, per la senatrice Mennuni il problema della denatalità in Italia è culturale: non ci sono più le donne e le famiglie di una volta.
«La mia mamma mi diceva sempre: ricordati che hai l’opportunità di fare ciò che vuoi ma non devi mai dimenticare che la tua prima aspirazione deve essere quella di essere mamma a tua volta. E questa è una cosa che anche le donne della mia generazione, di 46-47 anni devono ricordare alle proprie figlie, perché se no, il rischio che si ingenera, in nome di questa realizzazione personale, è quello di dimenticare che esiste la necessità, la missione di mettere al mondo dei bambini che saranno futuri cittadini italiani. Qui c’è l’approccio culturale».
Questa analisi sembra risalire a epoche lontane, quelle a cui la senatrice rimanda dicendo che le donne di una volta facevano figli anche sotto le bombe. Invece è stata fatta ieri da chi forse non mette il naso fuori casa da tempo. La visione delle donne come incubatrici che sfornano pargoli in nome della patria, sembrava superata da tempo ma a quanto pare non è così. Il punto è che le donne come unica missione, invece, dovrebbero avere quella di essere libere di essere e diventare ciò che vogliono. Dico dovrebbero perché i dati allarmanti sul gender gap, presente tra i banchi universitari, sul posto di lavoro, nell’ufficio paghe, dicono invece che ad oggi le donne libere sono davvero poche.
Mennuni ha fatto riferimento poi a una fascia d'età molto specifica, rivolgendosi alle ragazze e ai ragazzi di 18 anni: «Dobbiamo fare in modo che vogliano sposarsi e mettere al mondo una famiglia».
Alla senatrice forse sfuggono due elementi principali.
Il primo: a 18 anni generalmente si è in quarta superiore e forse le preoccupazioni del momento sono la maturità, la patente e quale percorso di studi o lavorativo intraprendere. Ma non stupisce un simile atteggiamento da parte di un governo che ad oggi elogia solo il merito, dimenticandosi dei danni psicologici che non sentirsi in tempo o all'altezza portano con sé.
Il secondo, forse ancora più rilevante, riguarda il fatto che al netto dei bei propositi, non sarà certo il matrimonio a salvare il Paese dalla denatalità. In Italia un figlio su 3 nasce fuori dal matrimonio.
La verità è che se anche una diciottenne desiderasse ardentemente essere madre, nel nostro Paese non potrebbe, ma non certo per una questione culturale.
Questa ragazza non avrebbe le risorse economiche né aiuti finanziari da parte dello Stato, per poterselo permettere.
I giovani italiani che a livello europeo godono della nomea di bamboccioni, riescono, secondo i dati statistici, a lasciare la casa di mamma e papà solo a 30 anni, dato che supera di più di 4 anni la media europea.
Piegati da anni di tirocini curricolari non pagati, mesi di stage rinnovati con la promessa di un contratto che non arriva mai, fuori sede in città che li risucchiano, facendo pagare loro circa 800€ per un monolocale in condivisione, non serve la sfera magica per capire che anche se lo volessero, un figlio non potrebbero permetterselo.
Il mantenimento di un figlio oggi, tra gli 0 e i 18 anni costa 175.642€, e non stupisce che le famiglie che versano in condizione di povertà assoluta siano proprio quelle con più prole a seguito.
Uno dei più grandi problemi poi legati alla denatalità, infatti, è un altro termine inglese, meno inflazionato di “cool” ma comunque molto importante, il fenomeno del “fertility gap”, ossia la differenza tra i figli desiderati da una potenziale futura madre e quelli che in realtà potrà avere.
In un intervista rilasciata a Wamily nel marzo scorso, la demografa Agnese Vitali, Professore Associato presso l’Università di Trento, ci aveva spiegato come gli italiani, alla domanda “Quanti figli vorresti avere?” rispondano spesso “almeno due”. Nella realtà dei fatti però la media italiana di figli per coppia si aggira attorno all’1.3, 1.4.
Dunque il problema non sta nel desiderio, nemmeno nella cultura, ma nel fatto che il motto “se vuoi puoi” è tossico, sbagliato, irrealizzabile.
Se vuoi un figlio, cara ragazza 18enne, sappi che sarai sola, che forse il tuo datore di lavoro non ti sceglierà proprio a causa di quei 5 mesi di congedo di maternità, che ti terranno lontana dal desk.
Quei 5 mesi di congedo che proprio ieri, mentre la senatrice promuoveva la missione maternità per le 18enni, la leader del Pd Elly Schlein cercava di dare anche all’altro genitore, per parificare questo terribile gender gap, ma che la destra bocciava a pieni voti. 5 mesi in cui lo Stato pretende sia tu a prenderti cura del bambino e della casa. Dolori, depressione post partum, insicurezze, paure, stravolgimento della coppia, desiderio di evadere, mettili da parte dai, hai appena contribuito a migliorare la situazione della denatalità italiana dopo tutto dovresti solo essere felice.
Oppure verrai scelta, andrai in maternità e poi verrai licenziata perché ti assenti di continuo dal lavoro per i malanni del piccolo. Tu e non il tuo compagno per un motivo molto semplice, il gap salariale. Si stima che in media un uomo a parità di mansione guadagni in un anno il 30% in più di una donna. Differenza che si appianerà solo nel 2154, anno in cui però ci auguriamo che anche i posti al nido, che oggi mancano nel 49% delle strutture sul territorio, saranno di più. Secondo l'ultimo rilevamento del 2022, il 71,8% delle dimissioni registrate appartengono a lavoratrici madri, e nel 65,5% dei casi, il motivo è proprio la difficoltà nel conciliare la vita lavorativa con quella familiare.
Cara ragazza 18enne sai cosa sarebbe davvero cool, che ora ti dicessimo che sarai libera, indipendente, che non incontrerai difficoltà, che nessuno ti giudicherà perché non desideri un figlio, che potrai realizzarti sul lavoro e lasciare casa dei genitori quando sarai stufa di essere figlia, e non quando riuscirai ad arrivare a fine mese. Sarebbe cool anche dirti che quel bambino che desideri arriverà, senza troppe complicazioni, legate all'età, al tuo orientamento sessuale, allo stipendio, ai posti nido, alla baby sitter o ad una missione di stato o religiosa.
Arriverà solo perché, se lo vuoi, hai tutto il diritto di averlo. E ti auguro, soprattutto se quel figlio sarà una bimba, di poterle dire senza più usare condizionali o inglesisimi, quando avrà compiuto 18 anni: “Non mi importa che tu sia cool. Voglio che anche tu, come me, sia libera di essere chi desideri diventare”.