«Vuoi massimizzare il tuo impatto positivo sulla crisi del cambiamento climatico? Puoi proteggere i bambini mentre combatti il cambiamento climatico e la corruzione sistematica rifiutandoti di procreare!». Così si apre la pagina Internet dedicata al BirthStrike, il movimento ambientalista creato nel 2019 da Blythe Pepino, musicista e attivista climatica britannica.
Occhio a non confonderli con i Childfree. A differenza di questi ultimi, la scelta antinatalista dei BirthStrikers non è fine a se stessa, ma orientata a generare un impatto sovversivo sull’ambiente, sulla società e sull’economia. Una sfida ambiziosa, se non utopistica, che va controcorrente rispetto alle politiche di contrasto alla denatalità e che tocca da vicino le nuove generazioni.
Cos'è il movimento BirthStrike
BirthStrike è letteralmente uno "sciopero delle nascite". Chi aderisce al movimento ambientalista, ormai di portata globale, è spaventato dal futuro del Pianeta, tanto da rifiutarsi di avere figli.
Nel 2017, due anni prima dell’intuizione di Pepino, due professori universitari, Seth Wynes e Kimberly A. Nicholas, avevano pubblicato uno studio che citava, fra i rimedi contro la crisi climatica, la riduzione delle nascite. Secondo la ricerca apparsa sulla rivista accademica Iop un’ottima strategia per limitare l’impatto ambientale sarebbe quella di avere un figlio in meno, oltre che limitare l’uso dei viaggi in aereo, abbandonare l’automobile e seguire una dieta vegetale. Un'affermazione scientifica utilizzata dai BirthStrikers a supporto della loro causa.
Quella dei BirthStrikers non è una preoccupazione esclusivamente al femminile. Terrorizzati dagli scenari catastrofici che la crisi ambientale ci prospetta, più di un centinaio di uomini sono corsi ai ripari, ricorrendo alla vasectomia, una procedura di contraccezione chirurgica maschile. Ad annunciarlo è stato un medico australiano, Nick Demediuk, che ha testimoniato che almeno 130 dei suoi pazienti hanno ammesso di essersi sottoposti all’intervento contraccettivo per il Pianeta, seguendo, di fatto, la logica promossa dai BirthStrikers.
Perché i BirthStrikers non vogliono avere figli
Nell’ottica di un BirthStriker, mettere al mondo un essere umano con l’inquinamento alle stelle, il consumismo imperante e le risorse che si stanno esaurendo è un atto di egoismo.
Ambiente, società ed economia sono i tre campi di battaglia entro cui il movimento si muove e si batte. I suoi sostenitori concepiscono il BirthStrike come «il rifiuto di procreare fino a quando l'umanità non avrà risolto i propri problemi sociali, ambientali ed economici». Sposare l’ideale dello stop alla procreazione per gli attivisti significa «cambiare l'attuale clima sociale, economico e ambientale nella nostra società con il massimo impatto».
Come si legge sul sito web ufficiale, chi aderisce al movimento:
- Risparmierebbe a un ipotetico figlio un’esistenza «distopica»
- Prenderebbe la scelta «più incisiva in assoluto» per invertire il cambiamento climatico
- Con il suo contributo alla denatalità spingerebbe i leader a dare priorità ai bambini e alle loro famiglie rispetto ai profitti
- Godrebbe di maggiore libertà nella vita per perseguire le proprie passioni e difendere tutta una serie di cause, tra cui quella della libertà dei giovani
La differenza tra BirthStrike e Childfree
Non confondiamo il fenomeno del BirthStrike con quello del Childfree, etichetta in cui si identificano coloro che scelgono deliberatamente di non avere figli. Se per i primi lo stop delle nascite è una decisione motivata dalla crisi climatica, i secondi non si riproducono semplicemente perché non avvertono il desiderio di un figlio.
Aderire al movimento BirthStrike, infatti, non equivale a non volere figli, almeno secondo quanto ha sottolineato la fondatrice. In un’intervista rilasciata a Fast Company nel 2019 Pepino dichiarava:
Sono passati solo un paio d’anni da quando ho conosciuto il mio partner, di cui sono profondamente innamorata, e ho avvertito il desiderio di avere figli con lui. Ero a quel punto della mia vita in cui molti dei miei amici stavano avendo figli e all'improvviso mi è parsa una bellissima idea. Parallelamente a questo, però, è aumentata la mia consapevolezza della sfida climatica. (B. Pepino)
I dubbi delle nuove generazioni
Al di là del BirthStriker – il cui manifesto introduttivo, decisamente radicale ed estremista, è piuttosto discutibile – il numero di persone che si dimostrano sensibili alla tematica della sostenibilità e al destino dell’umanità sta crescendo vertiginosamente. Tra i punti di domanda sollevati, colpisce quello sul senso di responsabilità di diventare genitori nel bel mezzo di una crisi ambientale.
Le nuove leve della lotta al cambiamento climatico provengono principalmente dalle nuove generazioni: migliaia di giovani, tra Millenials e Gen Z, combattono in prima linea per dar voce al disastro climatico in atto, preoccupati del loro futuro. In questo contesto, si fanno spazio, sempre più insistentemente, i dubbi sul futuro del Pianeta e la paura di mettere al mondo dei figli in una Terra che va alla deriva.
L'interrogativo – del tipo «Vale la pena mettere al mondo una creatura con il rischio climatico che stiamo vivendo?» – ha sfiorato e continua a sfiorare attivisti così come persone comuni, specie fra le nuove generazioni.
Nel 2019 aveva destato scalpore la discussione accesa dalla politica statunitense Alexandria Ocasio-Cortez, del Partito Democratico, che in una diretta Instagram aveva posto ai suoi follower una questione non da poco. «La comunità scientifica è concorde sul fatto che la vita dei nostri figli sarà molto difficile (per il cambiamento climatico, ndr) e porta i giovani a porsi una domanda legittima: va bene avere ancora figli?».
Un sondaggio condotto a livello globale da Unicef nel 2021 ha tradotto in numeri la crescente preoccupazione dei giovani in relazione al futuro climatico: per 2 giovani su 5 l'impatto del cambiamento climatico sul Pianeta sta incidendo sul loro desiderio di creare una famiglia.
«Questo sondaggio – aveva commentato in occasione della Cop27 Paloma Escudero, a capo della delegazione Unicef – chiarisce che il futuro dei giovani è incerto: se avranno figli, se lasceranno i loro Paesi, in che modo riusciranno a sopravvivere ai pericoli che devono affrontare».