L'Europa chiama ma l'Italia sembra decisa a non rispondere. Il 14 marzo 2023 la Commissione Politiche europee del Senato ha infatti espresso il proprio parere negativo sulla proposta avanzata dalla Commissione Europea di introdurre nel regolamento UE un rinnovato certificato di filiazione che, tra le altre cose, avrebbe permesso ai figli delle coppie omogenitoriali già riconosciute nei loro Stati d'appartenenza di godere dei medesimi diritti anche in tutti gli altri Paesi dell'Unione.
La risoluzione – approvata con 11 voti favorevoli e 7 contrari – è stata presentata da Fratelli d'Italia nella persona del senatore Giulio Terzi e contestava l'ingerenza dell'Europa nel diritto nazionale, paventando il timore che l'introduzione di una simile norma possa aprire la strada a pratiche attualmente vietate in Italia, come la maternità surrogata e la procreazione medicalmente assistita per le coppie omosessuali o i single.
«I bambini non si comprano, non si affittano, non si scelgono su internet. Su questo non cambierò mai opinione, poi uno può essere eterosessuale, omosessuale, bisessuale, pansessuale, transessuale» ha affermato il Ministro dei Trasporti Matteo Salvini plaudendo all'operato della maggioranza di cui fa parte.
«Quando parlo di autonomia, la applico anche a livello europeo – ha poi aggiunto – non può essere Bruxelles a imporre il concetto di famiglia ai singoli Paesi. Gli svedesi decideranno per la Svezia, i greci per la Grecia, gli italiani per l'Italia»
Con questa bocciatura il Senato ha quindi invitato il Governo a esprimere la propria contrarietà nel Consiglio Europeo, in modo da affossare il certificato europeo di filiazione e mantenere uno status quo che però, almeno per il Belpaese, non era mai stato in discussione.
Una "paura" infondata
Che l'attuale maggioranza al Governo non sia favorevole al riconoscimento della realtà LGBTQIA+ non è certo un mistero tuttavia, a poche ore dallo stop del Comune di Milano al riconoscimento anagrafico per i figli delle coppie dello stesso sesso, lo zelo con il quale la maggioranza si è impegnata a contrastare il certificato di filiazione europeo conferma ulteriormente una linea politica volta all'intransigenza più ferrea nei confronti delle famiglie arcobaleno, arrivando a osteggiare un'iniziativa che, nei fatti, non avrebbe apportato nessun beneficio ai bambini italiani con due mamme o due papà.
La proposta della Commissione Europea, infatti, non mira ad estendere il riconoscimento automatico di tutti i figli di coppie omogenitoriali (anche perché, come giustamente espresso nel testo della mozione di FDI, all'UE non spetta un simile potere), ma vuole solo che le famiglie già riconosciute ufficialmente nei rispettivi Paesi d'origine possano godere dei medesimi diritti anche in tutti gli altri territori europei.
In Italia dunque, dove i figli delle coppie omosessuali sono ben lontani dall'essere riconosciuti alla nascita da entrambi i genitori, non cambierebbe assolutamente nulla poiché verrebbe a mancare la condizione di partenza, ossia il riconoscimento dello Stato di cui sono cittadini.
Perché rimane comunque un'occasione mancata?
Come sottolineato dai commenti a caldo delle opposizioni in Parlamento, l'ennesima chiusura ad ogni forma di tutela per minori e famiglie omogenitoriali continua a collocare l'Italia all'interno di una sempre più ristretta cerchia di nazioni iper-conservatrici e sorde alle esigenze di una società moderna.
«Giorgia Meloni e i suoi adepti si assumono una responsabilità clamorosa, portare un Paese come l'Italia sull'asse di Orban e della Polonia sulla materia di diritti» hanno commentato i senatori del Movimento Cinque Stelle Dolores Bevilacqua e Pietro Lorefice, seguiti a ruota dal deputato Alessandro Zan (PD), che ha parlato di "destra ungherese".
Il rischio concreto è che il nostro Paese rimanga al palo nonostante le sponde suggerite da Bruxelles, trincerato su posizioni stantie che penalizzano i propri cittadini e, ora, persino quelli degli altri Stati europei.