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«Chi porta i pantaloni in casa?» la frase da non dire più in famiglia, il luogo della collaborazione

Ormai tutti portano i pantaloni, ma fino agli anni '70 la figura maschile aveva il "comando" nelle famiglie, per legge. Ecco una frase da non dire più in famiglia dove non bisogna impegnarsi a comandare ma a collaborare.

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«Chi porta i pantaloni in casa?» la frase da non dire più in famiglia, il luogo della collaborazione
NONSIDICEPIU- chi porta i pantaloni?
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«Chi porta i pantaloni in questa casa?» una frase ormai d'altri tempi, che per fortuna non si dice più. Nata e sviluppatasi nel secolo scorso questa espressione dava per scontato che uno dei due genitori fosse il capofamiglia. Come se la casa fosse un'imbarcazione che necessita di un comandante, il quale dirige i lavori di tutti gli altri senza ascoltare i loro pareri.

Idea ben lontana dall‘idea moderna di famiglia, un luogo in cui si discute, si decide insieme e perché gli insegnamenti impartiti nell'educazione dei figli siano efficaci, ogni sgridata è seguita da una chiara e precisa spiegazione. Soprattutto un luogo in cui nessuno predomina sugli altri.

Chi porta i pantaloni oggi che li indossano tutti?

La frase ovviamente aveva uno sfondo sessista, i pantaloni un tempo erano considerati un indumento per gli uomini, quindi se in una famiglia la donna guadagnava di più o sembrava per carattere imporsi nell'educazione dei figli, le venivano attribuite caratteristiche maschili. E questo anche perché, fino agli anni Settanta, il diritto di famiglia, con l'articolo 143 del Codice Civile prevedeva che in una coppia eterosessuale di genitori, l'uomo fosse il capofamiglia e la moglie dovesse obbedirgli.

Oggi, che i pantaloni non sono più un indumento per soli uomini la legge recita infatti che i genitori hanno pari diritti e doveri nell'educazione e nella cura dei figli. Ciò non si traduce nell'allearsi per diventare due gendarmi per i propri figli, a meno che non si voglia crescere dei piccoli soldatini, ma nell'avere una linea comune nella loro educazione senza prevaricare gli uni sugli altri.

Le famiglie hanno bisogno del capofamiglia?

Un concetto antiquato tanto quanto la frase "chi porta i pantaloni oggi?", quello del capofamiglia, che oggi non dovrebbe più esistere. Comandare sui figli, rimproverandoli senza dar loro spiegazioni o alzando la voce per prevaricare sulla loro, non serve a educarli ma ad intimorirli. I ragazzi così non impareranno davvero i concetti che vogliamo trasmetter loro e i valori che pensiamo siano imprescindibili, magari "ubbidiranno" ma solo spinti dalla paura. Questo farà sì che fuori dalle mura domestiche, pur di evadere faranno tutto il contrario. Inoltre può creare una sorta di dipendenza, il bambino, infatti, abituato a rispondere ai comandi come un soldatino, senza i suoi genitori si sentirà spaesato, non saprà come comportarsi. Svilito dai rimproveri senza spiegazioni, penserà poi che è giusto ubbidire passivamente a qualcuno senza mai dire la propria o scegliere davvero.

Veder prevaricare poi un genitore sull'altro non è costruttivo per i figli. I bimbi imitano in tutto i loro genitori, imparano così che la coppia non è fatta di collaborazione, che le scelte non si prendono insieme e che il parere di un genitore vale più di quello dell'altro.

Cosa dire invece?

In ogni famiglia i genitori assumono per i figli ruoli diversi, c'è chi è più presente, chi è più comprensivo, chi è caratterialmente un po' più severo. La bellezza delle diverse abilità dei genitori non è certo data dal fatto che l'uno possa prevaricare sull'altro, ma dalla possibilità di insegnare quante più cose diverse ai propri figli e di aiutarsi a vicenda.

Cerchiamo di trasmettere questi valori ai bambini, piuttosto che voler prevaricare o essere curiosi di sapere chi in una famiglia comanda. Piuttosto che capire chi porta i pantaloni nella nostra famiglia, chiediamoci come riusciamo a collaborare, cosa riusciamo ogni giorno a imparare dagli altri, quanto aver deciso di vivere insieme ci renda persone migliori.

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Sophia Crotti
Redattrice
Credo nella bontà e nella debolezza, ho imparato a indagare per cogliere sempre la verità. Mi piace il rosa, la musica italiana e ridere di gusto anche se mi commuove tutto. Amo scrivere da quando sono piccola e non ho mai smesso, tra i banchi di Lettere prima e tra quelli di Editoria e Giornalismo, poi. Conservo gelosamente i miei occhi da bambina, che indosso mentre scrivo fiduciosa che un giorno tutte le famiglie avranno gli stessi diritti, perché solo l’amore (e concedersi qualche errore) è l’ingrediente fondamentale per essere dei buoni genitori.
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