La “primina” – o anticipo scolastico – consente ai piccoli nati tra l’1 gennaio e il 30 aprile di diventare "anticipatari" e iniziare la scuola elementare a cinque anni e mezzo, un anno in anticipo rispetto a quella che è la regola canonica. Una regola, quest’ultima, che risale addirittura al Regno d’Italia, quando le Leggi Casati (1859) e Coppino (1877) stabilirono a 6 anni d’età l’inizio della scuola elementare. Fu la Riforma Moratti del 2003 a introdurre e regolarizzare la tanto controversa “primina”, permettendo ai nati nei primi mesi dell’anno di precorrere i tempi e “bypassare” un anno di scuola dell’infanzia. Oggi, quali sono i requisiti per accedere alla scuola primaria un anno in anticipo rispetto ai coetanei?
Requisiti per l’anticipo scolastico
Il Ministero dell’Istruzione e del Merito sottolinea che l’anticipo di iscrizione alla scuola primaria è una possibilità offerta «ai bambini che compiono sei anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento». Di norma, infatti, il piccolo inizia l’ultimo anno della scuola dell’infanzia all’età di 5 anni e la termina nell’anno in cui ne compie 6. Tuttavia, a un pargolo nato fra gennaio e aprile è consentito cominciare la scuola dell’obbligo a 5 anni e mezzo.
Il nodo principale sta nella libertà della scelta, che giustamente è in mano al genitore, nonostante, tuttavia, la decisione richieda una valutazione delle competenze del piccolo e, quindi, l’intervento di un docente, di un educatore e/o di un pedagogista. È pronto per iniziare il percorso scolastico alla primaria un anno prima, oppure no? Per rispondere servono delle competenze in materia. A questo proposito, il Ministero aggiunge: «I genitori che richiedono l’anticipo possono avvalersi, per una scelta attenta e consapevole, delle indicazioni e degli orientamenti forniti dai docenti delle scuole dell’infanzia frequentate dai bambini».
L’anticipo scolastico è subordinato, oltre all’età anagrafica del bambino, ad altre due variabili:
- La disponibilità dei posti dell’istituto scolastico scelto
- I criteri di precedenza
Gli insegnanti hanno, poi, il compito di rivolgere «particolare attenzione e cura» agli alunni “prematuri”, «soprattutto nella fase dell’accoglienza ai fini di un efficace inserimento», come sottolinea il Ministero.
La storia travagliata della “primina”
Dai primi anni Duemila ad oggi la questione degli anticipi ha avuto vita difficile ed è stata osteggiata, oltre che da genitori, docenti e insegnanti scettici, perfino dai Governi che si sono succeduti. A tradurre per la prima volta in legge la “primina” fu nel 2003 l’allora Ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, nell’ambito dell’omonima Riforma scolastica che quell’anno scompigliò il sistema della scuola. L’ammissione anticipata entrò, così, ufficialmente a regime con il decreto legislativo n. 59 del 19 febbraio 2004, che formalizzava la legge 53/2003, tuttavia quella della “primina” era già una prassi diffusa. Prima di allora, infatti, erano comunemente chiamati «primini» gli scolari che, dopo un anno alla privata a meno cinque anni e mezzo e dopo un esame di idoneità, finivano direttamente in classe con tutti gli altri alla scuola statale (infatti, utilizzare il termine “primina” in riferimento all’anticipo scolastico è tecnicamente scorretto, perché “primina” designa in realtà un fenomeno non più esistente).
Nel 2006, con Giuseppe Fioroni, l’anticipo scolastico vacillò e rischiò di essere negato, ma alla fine il Ministro della Pubblica Istruzione si limitò ad abolire gli anticipi alla materna (e non alla primaria). Anche il limite d’età per accedere un anno in anticipo a scuola è variato nel corso degli anni, creando ulteriori perplessità. Ai suoi albori, le disposizione ministeriali garantivano l’iscrizione alla scuola primaria esclusivamente per i nati a gennaio e febbraio. Una possibilità che in seguito è stata estesa ai nati a marzo e aprile.
Iniziare la scuola a cinque anni e mezzo: sì o no?
È il pomo della discordia dell’Olimpo scolastico, in grado di creare ostilità fra genitori, pedagogisti e docenti. Da quando è stata introdotta, la “primina” è stata oggetto di polemiche, tanto che, intorno a lei, si sono create due fazioni: quella assolutamente a favore e quella assolutamente contraria all’anticipo scolastico. Chi l’ha vissuta in serenità e la ricorda come una tattica strategica per scavalcare un anno e stimolare un 5enne annoiato alla scuola dell’infanzia, e chi la demonizza, giudicandola un fagocitatore della spensieratezza dei pargoli, a cui verrebbe negato il diritto a giocare e a rimandare di un anno i compiti in classe. È probabilmente uno di quei dilemmi senza una soluzione definitiva che accontenti chiunque, alle stregua di “paghetta sì o no”, “tablet alla sera sì o no”, “merendine confezionate una volta tanto sì o no”.
Tanti professionisti del settore educativo e scolastico sono cauti nel proporla ai genitori, innanzitutto perché l’opportunità va valutata in base al singolo bambino, e in secondo luogo perché, al di là delle competenze e delle abilità maturate alla scuola dell’infanzia, l’anticipo presuppone l’interruzione di un percorso. In effetti, i dati 2016-2017 delle Rilevazioni Nazionali degli apprendimenti Invalsi nelle scuole elementari italiane avevano rivelato che gli alunni anticipatari mostravano punteggi in italiano e matematica inferiori rispetto a quelli dei compagni con un anno in più.
«Anche nel caso in cui un bambino abbia raggiunto la maturità cognitiva, emotiva e relazionale prima del tempo, non è detto che anticipare il percorso possa essere una buona idea. – ha commentato il pedagogista Luca Frusciello, membro del Comitato Socio-Scientifico di Wamily – Il percorso alla scuola dell’infanzia è un percorso che ha un inizio e una fine e non è fatto solo di sviluppo e apprendimenti, come la pre-grafia o l’accesso alle regole, ma è fatto di compagni, di gruppo di pari, di affetto nei confronti dell’insegnante. Nel momento in cui me ne vado prima, non concludo il percorso».
Vero è che alcune mamme e papà si dicono soddisfatti della scelta dell’anticipo scolastico, vedendo i figli essere promossi a pieni voti e raggiungere i risultati sperati. A non convincere a volte esperti e insegnanti è, tuttavia, la motivazione alla base della scelta, che di solito si riduce all’opportunità di entrare prima nel mondo del lavoro, di recuperare sul tempo un’eventuale bocciatura, di non annoiare un piccolo che a 5 anni è particolarmente scaltro, o di dimostrare una presunta intelligenza del figlio particolarmente spiccata per l’età. «Il bambino – conclude il dott. Frusciello – vive quello che gli è intorno, i pari, il gruppo, e il fatto di doversene andare prima non è spiegabile con la logica o la ragione perché un percorso finisce quando è chiaro che finisce: se i suoi compagnetti restano là, mentre solo lui esce, non è chiaro per il piccolo, e quello che è accessibile ai bambini è la limpidezza».