Essere italiani è questione di discendenza o di cultura? Al momento per qualcuno rimane sicuramente una questione di sudore, visto che i ragazzi nati in Italia, ma figli di genitori stranieri, devono sottoporsi ad un lungo e sfibrante processo burocratico prima di poter ottenere la cittadinanza del Belpaese.
Ma per quale ragione un ragazzo nato in Italia, che ha sempre parlato (anche) la lingua di Dante e che ha studiato nel nostro Paese dovrebbe essere considerato diverso da qualsiasi altro coetaneo che di cognome fa Rossi o Bianchi? Perché un giovane che qui è nato, si è formato, ha stretto amicizie e posto le basi per il proprio futuro, dovrebbe meritarsi qualcosa che a quasi tutti i suoi coetanei spetta fin dalla nascita?
La domanda viene posta da tempo e la risposta non può più attendere. Anche perché al di là del semplice documento, essere cittadini italiani significa far parte di una comunità e godere di diritti imprescindibili. Diritti che troppo spesso vengono scambiati per privilegi da conquistare.
Come si ottiene la cittadinanza italiana?
Nel nostro Paese attualmente vige lo Ius sanguinis, il principio secondo il quale si è italiani fin dal primo vagito solo se si nasce o si viene adottati da una famiglia in cui almeno uno dei genitori sia cittadino italiano. A dettare le condizioni in materia di cittadinanza è la legge n. 91 del 5 febbraio 1992, che prevede pochissime eccezioni e in presenza di specifici casi limite.
Infatti, in mancanza dei requisiti appena detti (quindi almeno un genitore cittadino italiano), un bimbo può essere dichiarato italiano solo se:
- Nasce sul territorio italiano da genitori apolidi (ossia priva di qualsiasi cittadinanza) o ignoti
- Viene abbandonato sul territorio italiano e non vi è la possibilità di risalire all’effettiva cittadinanza d’origine
- Nasce sul territorio italiano da genitori che non possono trasmettere la propria cittadinanza (secondo la legge dello Stato di provenienza)
Come funziona invece per la stragrande maggioranza dei ragazzi e bambini nati da genitori stranieri? Beh, loro devono attendere il compimento dei 18 anni, dopodiché hanno un anno di tempo per poter presentarsi all’Ufficio di Stato Civile del Comune di residenza, versare un contributo di 250 euro e inoltrare la propria richiesta di cittadinanza, a patto però di poter dimostrare di aver sempre vissuto in Italia.
E qui la faccenda si complica, perché la permanenza dei genitori nel Paese – e quindi, presumibilmente anche del minore – può essere compromessa dalla perdita del lavoro, della casa o da un reddito troppo basso, tutte condizioni che portano alla revoca del permesso di soggiorno e di conseguenza all’obbligo di andarsene (o vivere in clandestinità).
Non proprio un cammino agevole dunque, anche perché una volta raggiunta l’agognata soglia della maggiore età, dal momento della domanda all’effettivo riconoscimento possono passare dai 2 ai 3 anni, senza parlare delle possibili complicazioni imposte da una macchina burocratica spesso ingolfata.
Esiste un modo per velocizzare la procedura? Più di uno a dire la verità, poiché la legge prevede la concessione della cittadinanza anche meriti particolari o straordinari servizi allo Stato. Si può dunque scegliere tra il diventare il Content Creator più seguito del mondo, strada percorsa dal re di Tik Tok Khaby Lame nel 2022, o sventare una possibile strage, come fatto dai cremaschi Adam El Hamami e Ramy Shehata, che nel 2019 riuscirono ad allertare la polizia mentre un folle aveva preso in ostaggio il pullman di una scolaresca in gita. Insomma, anche qui non ci troviamo esattamente nel campo delle passeggiate di salute.
Le alternative: Ius Soli e Ius Scholae
Negli ultimi anni sono stati in molti a domandarsi se fosse effettivamente giusto che ragazzi nati e cresciuti in Italia debbano sottoporsi a questa trafila per poter ottenere una patente d’italianità di cui, nei fatti, sono già in possesso frequentando ogni giorno le nostre scuole, mangiando il nostro cibo e respirando la nostra cultura.
Ius Soli
Da qui lo sforzo di alcune parti politiche per cambiare le carte in tavola. Nel 2015 si tentò ad introdurre il cosiddetto Ius Soli, il “diritto del suolo” secondo cui chiunque nasca entro il territorio di una nazione diventa automaticamente cittadino di quel Paese. Negli Stati Uniti, ad esempio, funziona così, tanto che sia i migranti messicani in cerca di un futuro, sia i membri più privilegiati dell’élite europea spesso cercano di far nascere i propri figli nella casa dello zio Sam in modo da garantire loro la cittadinanza americana. Per citare un caso “nostrano”, anche Fedez e Chiara Ferragni volarono negli States per dare alla luce il loro primogenito Leone, il quale è pertanto in possesso di doppia cittadinanza, italiana e statunitense.
Lo Ius Soli venne però affossato in Senato dopo una prima approvazione alla Camera dei Deputati e anche le forme più graduali della proposta – lo Ius Soli “temperato”, con l’inserimento dell’obbligo di residenza in Italia per un certo periodo di tempo per almeno uno dei genitori – finirono per spegnersi senza lasciare traccia.
Ius Scholae
L’ultima proposta in ordine cronologica, anch’essa immancabilmente naufragata in Parlamento nel 2022, riguardava invece lo Ius Scholae (o Ius Culturae), che avrebbe concesso il riconoscimento della cittadinanza italiana ai giovani figli di stranieri extracomunitari se:
- Nati in Italia o arrivati prima del compimento dei 12 anni
- Residenti legalmente
- Con alle spalle almeno 5 anni di studio nel nostro Paese (più il superamento positivo del ciclo di studio nel caso in cui il quinquennio riguardasse la scuola primaria)
Secondo la Rete per la Riforma della Cittadinanza, qualora lo Ius Scholae dovesse passare, circa un milione di ragazzi e ragazze in attesa di cittadinanza uscirebbe finalmente da un vero e proprio limbo normativo.
Perché essere cittadini italiani è così importante?
Come abbiamo visto, dunque, quello di una cittadinanza “allargata” rimane un tema fortemente divisivo.
Oltre a chi si oppone perché “italiani si nasce e non di diventa”, vi sono infatti anche molti moderati che magari non si trovano così contrari alla questione, ma non la considerano comunque una priorità: alla fine si tratta di un pezzo di carta che non comporta chissà quali cambiamenti nella vita di tutti i giorni!
Il problema, al di là della questione prettamente identitaria di sentirsi ospiti in casa propria, è che la mancanza della cittadinanza priva effettivamente di alcuni aspetti del quotidiano, tra l’altro nemmeno così marginali. Ecco tutti i diritti che non si hanno senza cittadinanza italiana:
- Non si può votare
- Non si può partecipare a concorsi pubblici
- Non si può godere di borse studio con esperienze all’estero: andare a vivere fuori confine farebbe scadere il permesso di soggiorno
- Non si può viaggiare senza visti e permessi: una semplice gita scolastica all’estero deve essere preparata con largo anticipo per superare tutte le noie burocratiche
- In alcuni ambiti sportivi, anche il più fulgido talento della disciplina potrebbe non riuscire a iscriversi alle competizioni qualora vigesse una limitazione per gli stranieri
Ma allora – qualcuno potrebbe obiettare – se la cittadinanza custodisce un valore così prezioso, perché chi la desidera non dovrebbe faticare un po’ per ottenerla? Si tratta di un pensiero abbastanza diffuso, a volte condiviso anche dagli stessi figli di stranieri che hanno dovuto lottare con i denti per diventare italiani, che però parte dal presupposto che il riconoscimento ad essere considerato un vero cittadino italiano sia un premio e non un diritto.
Si tratta di una strada tortuosa perché costringere centinaia di migliaia di ragazzi nati in Italia a sentirsi cittadini di serie B, forse, non rappresenta la via più corretta per educare ad un diffuso sentimento d’appartenenza, ma anzi rischia di sospingere verso altri lidi tanti giovani che potrebbero contribuire alla ricchezza e al benessere di tutti noi. E in un Paese che ha un disperato bisogno di gioventù e integrazione, tutto questo suona tanto di occasione mancata.