I capricci in pubblico sono eventi che richiamano sensazioni spiacevoli nei genitori che oscillano tra il dover gestire le emozioni del bambino e le proprie. Da un lato vogliamo chiudere in fretta la partita, così da evitare altro imbarazzo, dall’altro sappiamo che in quel momento c’è un bambino che sta esprimendo disagio. Bisogna forse ascoltarlo? Ignorarlo? Rimproverarlo perché non è il luogo adatto per esprimere il suo sentire? Cosa è giusto fare?
Anzitutto, come sempre, ricordiamo che non c’è nulla di giusto, ma c’è da fare i conti con ciò che è meglio. Se siamo arrivati al punto di un capriccio in pubblico, il primo obiettivo è non perdere la lucidità e successivamente creare sarebbe bene creare un rituale per le volte successive.
Perché il bambino fa i capricci?
I capricci, comunemente intesi, non sono esito di maleducazione come siamo soliti giudicare, ma il modo più impattante che il bambino ha imparato per esprimersi e farsi ascoltare. Facciamo l’esempio di un bambino che vuole a tutti i costi un giocattolo al supermercato e che al “No” scatena una reazione imbarazzante. Si tratta di un bambino che sente da una parte la necessità di esasperare una comunicazione, dall’altra è un bambino che non sta tollerando non tanto il “No”, quanto non accetta di provare quella sensazione di spiacevolezza che il “No” porta con sé. Per capire meglio, non si tratta della necessità di ricevere un “Sì” perché senza quel giocattolo non può stare, quanto più della necessità di non provare stati di disagio o frustrazione. Bisognerà aiutarlo a trattenere quella sensazione spiacevole.
Quindi, quando capita, iniziamo ad allinearci a quel momento, escludendo dalla nostra mente tutte le interferenze nate dalla preoccupazione del giudizio di chi sta assistendo alla scena. Ricordiamoci che anche quello è un momento fortemente educante e, di conseguenza, troppo importante per essere sporcato con la paura dell’opinione altrui. Sarà il senso di responsabilità educativa ad aiutarci nel mantenere il focus.
Va ricordato che si tratta di un bambino che si sta esprimendo. Diamo anche per assodato che si sono già tentate le vie del ricatto (“Se fai il bravo, a casa avrai un premio”, “Se non la smetti non ti mando a calcio”), le vie della negoziazione (“Non ti compro il gioco, ma puoi comprare le tue caramelle preferite”), le vie del rimprovero (“Ora basta! Smettila, altrimenti mi arrabbio sul serio”).
Se queste modalità non sortiscono effetto significa che non sono efficaci (possiamo dire che possono in alcuni casi essere efficienti, ma sicuramente non sono azioni educativamente efficaci che nel tempo possano estinguere il problema). Il rischio è di strutturare una relazione educativa basata, appunto, su ricatti, minacce, negoziati, che non sviluppano né competenze auto-regolatorie, né senso di benessere. Lo schema appreso, in questo modo, porterebbe il bambino a riprodurre atteggiamenti di sfida e controllo, con esiti sempre più complessi da gestire.
L’atteggiamento
In quel momento è importante mantenere un atteggiamento calmo e sicuro, fermo e accogliente. Prima di tutto dobbiamo concentrarci sul bambino e non sul “pubblico”. Questo è uno sforzo che appartiene all’adulto, che non deve farsi prendere da sentimenti di inadeguatezza o di sconforto in primis. Sarà importante coinvolgere tutti i canali comunicativi a nostra disposizione: sguardo, mimica, postura. Tutto il nostro atteggiamento deve comunicare calma e sicurezza. Agitarci a nostra volta creerebbe una cassa di risonanza che porterà il bambino ad agitarsi oltre modo.
Facciamo un esempio: pensiamo a che effetto farebbe su noi adulti avere di fronte una persona che ci intima di stare calmi, con atteggiamento aggressivo, agitando le braccia, tono di voce minaccioso e con lo sguardo terrorizzante. Sicuramente quello che proveremmo non sarebbe calma.
La contraddizione tra ciò che viene detto e il comportamento, porta il bambino ad assimilare il secondo a completo discapito del primo.
Gestire il tempo
Siamo sempre di corsa, lo sappiamo, ma i bambini no. Sono gli adulti ad aver bisogno di correre freneticamente nelle “cose da fare” tutti i giorni. I bambini hanno un proprio ritmo interno non dettato dall’agenda ed è anch’esso rispettabile.
Dopo aver messo in atto l’atteggiamento più funzionale per gestire uno stato di tensione, sarà necessario dedicare tempo a quello sfogo, senza cedere rispetto la nostra posizione, senza contrattare, senza negoziati o tregue. Sarà importante dare risposta a quello stato d’animo accogliendo la difficoltà unicamente con la nostra presenza e fornendogli un’esperienza che non collegherà il capriccio all’ottenimento di qualcosa. A differenza di quello che oggi saremmo portati a pensare:
La più grande, la più importante, la più utile regola di tutta l'educazione? È non di guadagnare tempo, ma di perderne. (J.J. Rousseau – L'Emilio o dell’educazione)
Questa è una sfida spesso più ardua per i genitori che per i bambini. L’instaurazione di un rituale può aiutarci a prevenire, mentre il nostro atteggiamento aiuta a creare nel bambino un modello autorevole a cui fare non solo riferimento, ma affidamento quando deve gestire le sue difficoltà.