I primi anni di crescita e sviluppo dei bambini sono organizzate per fase, dalla fase neonatale a quella della dentizione, da quella orale ai terrible two. C’è una fase in particolare che può portarci sull’orlo della follia, la fase dei perché. Parte quasi sempre come un gioco divertente e si trasforma in un petulante interrogatorio su qualsiasi argomento. Non perdiamo la pazienza e non sentiamoci sopraffatti: è una tappa, come tante, e gestendola nel modo giusto si può affrontare con il sorriso sulle labbra.
Quando inizia la fase dei perché
La fase dei perché inizia improvvisamente, senza nessun preavviso tra i 2 e i 3 anni. La brutta notizia riguarda la durata. Può spegnersi nell’arco di sei mesi, così come potrebbe estendersi fino ai 7/8 anni. Dipende molto dal carattere, dalla capacità del genitore di sfamare la voglia di informazioni prima che il bambino senta la necessità di chiedere. Nella maggior parte dei casi si esaurisce alla fine della scuola dell’infanzia. In prima elementare il piccolo non solo dovrebbe avere abbastanza competenze linguistiche per interagire significativamente anche con i suoi coetanei, ma dovrebbe anche a imparare a leggere e scrivere e magicamente mamma e papà non sono più la loro unica fonte di apprendimento. Come spesso accade nello sviluppo, ci sono bambini che non affrontano la fase dei perché. Non bisogna preoccuparsi, ciò non ha nulla a che vedere con lo sviluppo o le capacità comunicative.
Perché il bambino chiede perché
Capire il motivo per cui il nostro bambino continua a porre questa domanda è importante per provare a rispondere correttamente. Ricordiamoci che le bizzarre conversazioni che si costruiscono sui perché possono essere un modo per nostro figlio di costruire una relazione con noi. Se il nostro tono è caldo e accogliente, il bambino imparerà a venire dalla mamma e dal papà con ogni pensiero e preoccupazione perché sa che siamo sempre pronti ad ascoltarlo. I perché possono servire a:
- Saperne di più. Molto spesso le curiosità nascono proprio dalle nostre risposte, così come dall’evitare di rispondere.
- Attirare la nostra attenzione. Il bambino ha capito che farci domande è un modo semplice per attirare rapidamente la nostra attenzione.
- Mantenere il controllo. A voltel’ uso ripetitivo della domanda “perché?” è semplicemente un modo per controllare la conversazione e la discussione.
Cosa fare quando il nostro bambino ci chiede “perché?”
Quando il nostro bambino ci chiede perché manteniamo sempre il sorriso (contiamo fino a 10 nella testa se dovessimo sentirci nervosi) e proviamo a seguire questi consigli:
- Non ignoriamo le domande. È allettante, ma non funziona, soprattutto quando arrivi al settimo di fila o al quarantesimo in un'ora. Queste domande sono indicative della naturale curiosità del nostro bambino, qualcosa che non vogliamo veramente soffocare. È insaziabilmente curioso riguardo al mondo che lo circonda e questa è un'opportunità per alimentare quella curiosità.
- Rispondiamo in modo semplice. La semplicità è la nostra arma. Più è facile la risposta, meno possibilità di alimentare i perché ci sono. E, ovviamente, dobbiamo sempre essere onesti e non dire bugie.
- Possiamo dire “non lo so”. Siamo genitori, non tuttologi e non abbiamo tutte le risposte. Talvolta vorremmo saper rispondere meglio. Può succedere di non essere preparati e un onesto “non lo so” o un "non sono sicuro" possono essere valide risposte.
- Cerchiamo insieme le risposte. Per rompere la ripetizione dei perché possiamo cercare le risposte con i nostri bambini, sfogliando per esempio dei libri, usando Google o ragionando insieme.
- Rispondiamo con una domanda. Se il perché non ha bisogno di una vera e propria spiegazione, dobbiamo semplicemente girargli il medesimo quesito. È un gioco interessante, che aiuta a sviluppare fiducia, autostima e capacità di risoluzione dei problemi.
… e ricordiamoci sempre che passerà!