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27 Febbraio 2023
14:00

«Come può mancarmi qualcosa che non ho mai avuto?»: Margherita racconta la sua famiglia con 2 mamme

Margherita Fiengo Pardi ci ha presentato la sua famiglia omogenitoriale, partendo dal racconto della sua quotidianità. Ama il cinema e le sue mamme, per questo, munita di videocamera, ha deciso di raccontare la loro storia. Con un cortometraggio di 18 minuti ha risposto a tutte le domande che le fanno fin da piccola. E ha messo a tacere il grido di chi, al posto di rappresentarla, le dice che non dovrebbe esistere.

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«Come può mancarmi qualcosa che non ho mai avuto?»: Margherita racconta la sua famiglia con 2 mamme
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Margherita Fiengo Pardi ha due cognomi, quelli delle sue due mamme, Mary e Francy, che l’hanno desiderata e amata fin da prima che nascesse, come tutti i genitori. Mentre la intervistiamo c’è un po’ di caos dietro la porta della sua cameretta, ha 3 fratelli e un po’ di animali ci spiega, scusandosi. La sua famiglia è una come tante, ci dice, meno comune è stato dover essere riconosciuta da adolescente da una delle sue mamme per confermarlo.

Ci rivela che mentre firmava per essere riconosciuta come figlia dalla mamma che non l’ha partorita, tra i video e i flash dei giornalisti, si chiedeva come fosse possibile tutto quell’interesse per ciò che avveniva tra le sue mura di casa. Ha compreso che l’atto svolto in via del tutto eccezionale, per iniziativa del sindaco Sala, nel 2018 in assenza di una legge nazionale, sia stato un piccolo grande passo, che ha reso la sua famiglia “esistente”, davanti alle istituzioni, alla società e alla sanità. «I cognomi delle mie mamme sono su tutti i documenti ora» dice con la spavalderia che la contraddistingue.

Le mamme di Margherita sono tra le fondatrici dell'associazione Famiglie Arcobaleno e lei ha lo stesso spirito divulgativo e battagliero. Per la scuola ha realizzato un cortometraggio dal titolo “Chiedimi se”, nel quale ha raccontato la storia della sua famiglia e le battaglie contro le cattiverie che si è sentita dire.

Il corto si chiude con una domanda provocatoria nei confronti di chi pensa che la sua famiglia non dovrebbe esistere, o che lei potrebbe non essere veramente felice: «Chiedimi se avrei preferito non essere nata». E Margherita, anche nel caos della sua cameretta, risponde con un no, che si sente forte e chiaro.

Margherita, raccontaci la tua storia…

Mi chiamo Margherita, ho 20 anni e studio cinema. La mia famiglia è fatta da me, i miei tre fratelli, le nostre mamme Mary e Francy e svariati animali. Sono nata nel 2002 e penso di essere la quarta bambina in Italia ad avere due madri. Quando sono nata era tutto stranissimo, anche adesso sono una delle poche ragazze così grandi ad essere nata dall’amore di due donne. Le mie mamme hanno ricevuto il riconoscimento della loro unione di fatto nel 2012 e si sono sposate in Spagna, vedendo poi il loro certificato di matrimonio trascritto in Italia dal sindaco Sala.

Noi fratelli siamo legalmente riconosciuti come figli di entrambe le nostre mamme dal 2018, il sindaco Sala ha fatto tutto questo di sua spontanea volontà e da allora siamo tutti per la legge figli della mamma che non ci ha partoriti. La cosa assurda è che fino ai miei 16 anni sono stata con mia mamma e i miei fratelli senza aver alcun legame legale con loro. Se per caso mia mamma Francy, che ha partorito uno dei miei fratelli, fosse morta, lui non sarebbe potuto più stare con noi, perché non eravamo legati a lui da nessun vincolo a livello legale.

Quindi un po’ un casino, però ad oggi è andato tutto bene: ora siamo una famiglia normale, per quanto la gente si stranisca e mi faccia domande. Non fraintendetemi, so che non è la quotidianità trovare famiglie come la mia, con due mamme. Me ne accorgo quando a volte qualcuno, intervistandomi, mi chiede se mi da fastidio parlarne, ma per me è avere un genitore come un altro, semplicemente di un altro sesso.

Tu e i tuoi fratelli, dove siete nati?

Siamo tutti e 4 nati in Italia. Io e i due gemelli, Raffaele e Giorgio, siamo stati concepiti in Olanda, abbiamo metà DNA di mia madre, Maria Silvia Fiengo, e metà dello stesso donatore. Per l’ultimo dei miei fratelli, Antonio, le mie mamme non sono potute andare in Olanda per motivi legali (per via di un limite massimo di gravidanze ottenute ). Così siamo dovuti andare in Belgio, lui è nato dall’altra mamma. Lui proprio non ci assomiglia: mia mamma è bassa e bruna, lui altissimo biondo e con gli occhi azzurri. Mi viene in mente un episodio: quando siamo andati negli Emirati Arabi, all’aeroporto ci hanno fermati e pensavamo fosse perché sul documento c’era scritto che avevamo due madri. Francy e mio fratello Antonio sono stati interrogati in uno stanzino per tantissimo tempo, rischiando di farci perdere il volo. Il motivo? Pensavano che lo stessimo trafficando perché non assomigliava a nessuno di noi.

Famiglia Fiengo Pardi

Ti è mai capitato, da piccola, guardando i tuoi compagni, di chiedere a casa perché tu non avessi un papà?

Innanzitutto, a me non manca un padre, anche perché come può mancarmi qualcosa che non ho mai avuto? Anzi mia madre compensa benissimo! Sono stata preparata bene fin da subito in realtà. A 4 anni ho iniziato a frequentare l’asilo e sapevo già cosa dire, perché le mie mamme si aspettavano qualche domanda da maestre e bambini. All’asilo ricordo di aver raccontato di avere due mamme a una mia amica che mi ha risposto "Non è vero, tu dici le bugie!". Allora una volta all’uscita si sono presentate entrambe le mie madri, gliele ho fatte conoscere, molto orgogliosa, dicendole "Visto che esistono!".

In generale penso che molto faccia il mio carattere, ma anche il fatto che le mie mamme abbiano vissuto la loro relazione negli anni ‘80, quando l’omosessualità era un tabù o, peggio, era considerata una malattia. Questi avvenimenti le hanno molto formate, hanno capito quanto prevenire fosse meglio che curare, spiegandomi da subito tutto. Io già da piccola conoscevo la storia dell’ovetto e del semino che si erano incontrati e che poi le mie due mamme mi avevano cresciuta.

Ti sei mai sentita giudicata a scuola?

No, non ho mai ricevuto domande giudicanti, erano prettamente domande di curiosità. Per me è sempre stato normale spiegare o rispondere agli interrogativi di chi ne sapeva poco e voleva conoscere la mia realtà. Non sono mai stata presa in giro o bullizzata, anche perché un bimbo non ci pensa nemmeno a deriderti per la tua famiglia.

Con gli insegnanti in alcuni casi è andata peggio, mi ricordo 3 o 4 episodi spiacevoli. Per esempio durante la giornata per la festa del papà dovevamo fare un lavoretto, disegnare il nostro papà, scrivergli un bigliettino e darglielo. Io sono andata dalla maestra con fare provocatorio dicendo che un papà non lo avevo, e lei mi ha risposto di disegnare il papà che avrei voluto avere. Io ovviamente non l’ho fatto, anzi sono andata da mia madre raccontandole l'episodio, le ho detto che ero contenta di non aver disegnato niente, perché io un papà non lo avrei voluto.

Perché hai deciso di fare il corto "Chiedimi se"? E quali sono stati i riscontri?

Ho deciso di dare vita ad un cortometraggio divulgativo, perché mi sentivo finalmente abbastanza grande per dire la mia in un modo strutturato, rispetto a quando ero piccola. Non mi aspettavo che il video girasse così tanto, anche perché era un compito che mi hanno dato a scuola. Ci ho messo molto impegno perché era una cosa che volevo fare da tempo. Volevo dire la mia, è ben diverso da un’intervista nella quale rispondo a delle domande “preconfezionate”, in quel corto ho detto ciò che penso e sono contenta di come l’ho fatto.

Ho avuto riscontri negativi soprattutto all’inizio, l’hanno pubblicato messo sui siti di alcuni quotidiani e poi è stato condiviso sui social. Ho fatto togliere il post da Instagram, perché mi stavano molto offendendo. Erano tutti insulti personali. Ho preferito non leggere troppo i commenti a dire il vero, ne ho letti due o tre che mi hanno infastidita e ho agito. Insulti del tipo “Non sai di cosa parli”, quando in realtà parlavo della mia famiglia. Oppure qualcuno ha affermato che, dato che sono cresciuta con due madri, avrò più possibilità di essere gay. Da quella volta ho deciso di allontanarmi dai social, perché purtroppo da dietro un telefonino ognuno può dire ciò che vuole.

E pensare che si fa una fatica incredibile pur di escludere qualcuno. Molta gente parla senza sapere, mi vengono a dire che sto sbagliando quando sono io il soggetto, mi ci sono messa io a fare il film, senza l'aiuto delle mie mamme, perché addirittura mi è stato detto che le mie madri mi pagavano per dire ciò che dicevano, per questo per me il video è stato uno strumento necessario.

Il corto come è passato dalla scuola a internet?

Il corto ha vinto il premio indetto dalla mia scuola, poi una giornalista ha contattato mia mamma per sapere se fosse disponibile per un’intervista, mia madre ha raccontato del video e glielo ha mandato. Alla giornalista il corto è piaciuto molto e ha deciso che avrebbe voluto fare un’intervista solo su quello. Da qui la mia intervista e una miriade di telefonate. Il video è stato proiettato durante due festival, uno a Firenze, l’altro a Milano, senza poter partecipare. Io sono doppiamente contenta di questo perché studio cinema, voglio fare questo da grande.

Famiglia Fiengo Pardi

Pensi che vivere in una città come Milano ti permetta di essere meno soggetta a discriminazioni?

Mi rendo conto che vivere a Milano è un privilegio, ho amici che vengono sbattuti fuori di casa per aver dichiarato la propria omosessualità, perché provengono da contesti sociali molto meno aperti. Io mi espongo perché è il mio modo di vivere, ma so anche di poterlo fare perché vivo in una realtà con una mentalità abbastanza aperta. Se posto un video ho un 10% di reazioni negative, invece del contrario, altrimenti forse neanche lo avrei fatto.

Siete associati a Famiglie Arcobaleno?

Le mie madri sono tra le tre famiglie fondatrici, gli altri sono i 3 italiani prima di me che sono diventati famiglia a tutti gli effetti prima di me. Un motivo per cui a me sembra normale la mia condizione è che sono sempre cresciuta circondata da altre famiglie come la mia. Da piccoli tutti i weekend eravamo insieme.

Secondo te serve che i figli di famiglie omogenitoriali conoscano realtà simili alle loro?

Sì, la comunità è sempre una cosa piacevole, perché è difficile vivere in un mondo dove nessuno è come te. Non so neanche fare un paragone, pensando a come sarebbe stato se non avessi fatto parte dell’associazione, ci sono cresciuta dentro. Anche per le mie mamme è stato utile, sapere di non essere sole. Lo è per tutte le coppie giovani che vogliono fare figli. Non vi dico quante persone mi hanno ringraziata dopo il corto, dicendomi che finalmente qualcuno spiegava loro che avrebbero potuto avere dei figli anche se erano dello stesso sesso.

Senti la tua famiglia riconosciuta dallo Stato o senti di subire e aver subito delle ingiustizie?

Prima che fossimo riconosciuti sul certificato di nascita le sentivo di più. Nel film ci sono delle parti in cui ho preso interviste di politici con nomi, cognomi e facce, che dicono cose assurde. Questa è stata la mia vendetta per essermi sentita dire per anni frasi terribili. Ad oggi sento commenti che mi fanno ridere. Non le chiamerei ingiustizie, però, direi piuttosto che ci sono persone che non hanno la concezione di ciò che stanno dicendo. C’erano politici quando ero bambina che dicevano che non dovevo esistere, gente che mi avrebbe dovuto rappresentare. Io sono una cittadina italiana e chi mi avrebbe dovuto tutelare diceva che non sarei dovuta esistere.
Io e tanti altri bambini figli di famiglie omogenitoriali ci siamo sentiti dire che la nostra famiglia è sbagliata, che è abominio della specie. Queste persone dovrebbero pensare prima di parlare, non sono le mie madri a fare un danno a noi, sono loro.

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Sophia Crotti
Redattrice
Credo nella bontà e nella debolezza, ho imparato a indagare per cogliere sempre la verità. Mi piace il rosa, la musica italiana e ridere di gusto anche se mi commuove tutto. Amo scrivere da quando sono piccola e non ho mai smesso, tra i banchi di Lettere prima e tra quelli di Editoria e Giornalismo, poi. Conservo gelosamente i miei occhi da bambina, che indosso mentre scrivo fiduciosa che un giorno tutte le famiglie avranno gli stessi diritti, perché solo l’amore (e concedersi qualche errore) è l’ingrediente fondamentale per essere dei buoni genitori.
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