All'ospedale Sant’Anna di Torino verrà allestita una stanza per accogliere e ascoltare le donne in gravidanza nella speranza di non farle abortire più.
È questa in soldoni l'iniziativa annunciata il 31 luglio 2023 dalla Regione Piemonte dopo la sottoscrizione di una convenzione tra la Città della Salute e la Federazione regionale del Movimento per la Vita (FederviPA)/Centro di Aiuto alla Vita di Rivoli.
Tale documento – firmato e sostenuto sia dall'assessore alle Politiche Sociali della Regione Maurizio Marrone (Fratelli d'Italia) che dal presidente regionale della Federazione del Movimento per la Vita (FederviPA) Claudio Larocca – porterà quindi all'apertura di uno spazio il cui obiettivo sarà offrire «supporto concreto e vicinanza» alle donne incinte e provare superare le cause e le difficoltà che potrebbero indurre alla interruzione della gravidanza.
«La convenzione completa il ciclo di iniziative lanciate dal 2020 con lo stop alla RU486 (la pillola abortiva, n.d.r.) nei consultori raccomandata dalle linee guida Speranza, con la registrazione dei Centri di aiuto alla vita presso le Asl e l’avvio del fondo regionale Vita nascente, consacrando il Piemonte come avanguardia della tutela sociale della maternità, che diverse altre regioni italiane stanno prendendo a modello» ha affermato orgoglioso l'assessore Marrone.
Insomma, prima di abortire al Sant'Anna – ospedale primo in Italia sia per numero di parti (6.590 nuovi nati nel 2022) che per le interruzioni di gravidanza (circa 2.500 nel 2021) – le donne dovranno prima passare da un ufficio gestito da volontari appositamente formati per parlare degli impedimenti che ostacolerebbero la futura nascita del bambino ed eventualmente riconsiderare la propria decisione.
Come prevedibile il provvedimento non ha mancato di sollevare numerose polemiche, anche perché l'interruzione volontaria di gravidanza rimane un diritto tutelato e regolamentato dalla Legge 194/78 e in molti hanno visto nell'iniziativa un tentativo di ostruire e "annacquare" la libertà di scelta delle donne
Se infatti il capogruppo in Regione del Movimento 5 Stelle Sarah Di Sabato attacca l'assessore parlando di «marchette agli amici alle associazioni antiabortiste», la presidente PD Piemonte e capogruppo di partito Nadia Conticelli appare ancora più netta:
«La stanza dell’ascolto promossa dall’assessore regionale Marrone è l’ennesima umiliazione nei confronti delle donne e della loro libertà di scelta e di autodeterminazione – ha affermato – Non si tratta di uno sportello di accoglienza, che altrimenti sarebbe gestito dall’ospedale o dall’Asl, ma di un affidamento diretto al Movimento per la Vita, dunque una forma di violenza psicologica istituzionalizzata. I luoghi per l’accoglienza delle donne, la tutela della loro salute riproduttiva, della genitorialità consapevole, ci sono già nel Servizio sanitario nazionale: sono i Consultori, ad accesso libero e diretto»
Il responsabile del reparto interruzioni Volontarie di gravidanza e consigliere comunale di +Europa & Radicali Italiani di Torino Silvio Viale invece promette le barricate:
«Non ci sarà nessuna stanza del "Movimento per la vita" lungo il percorso della 194 all'ospedale Sant'Anna. Se la direzione sanitaria vuole dare una sede al Movimento per la Vita questa sarà il più lontano possibile dai reparti. Se una donna vorrà rivolgersi a loro potrà usare le loro sedi».
«Siamo abituati ad avere presidi antiabortisti davanti all’ospedale – continua Viale – e non hanno mai creato problemi alle donne, le quali entrano ognuna con le proprie ragioni e le proprie storie. Non accetterò alcuna molestia nei confronti delle donne».
Non pervenute per il momento dichiarazioni ufficiali da parte del Presidente di Regione Alberto Cirio (Forza Italia) in merito alla questione, anche se il dibattito sembra destinato a proseguire.
Gli ammiccamenti ai movimenti pro-vita sono infatti sempre più frequenti da parte delle forze politiche attualmente alla guida del Paese, le quali hanno più volte dichiarato la volontà di mettere famiglie e natalità ai primissimi posti nell'Agenda di Governo.
Resta però da chiedersi se obbligare una persona a rivalutare una scelta già sufficientemente ponderata e sofferta rimanga la strada migliore per tutelare le donne e non un atteggiamento paternalistico che andrà ulteriormente ad ostruire un diritto – quello all'aborto – che in alcune Regioni d'Italia risulta già abbondantemente negato a causa delle obiezioni di coscienza o dell'impossibilità di accedere alle pillole abortive.