Che cosa si intende per mamme e neonati “ad alto contatto”? C’è chi accosta l’etichetta all’allattamento al seno prolungato e ai termini inglesi babywearing (tenere il figlio nella fascia), room-sharing (la pratica di dormire in camera col piccolo) e bonding (legame alla nascita) e chi, erroneamente, lo confonde con l’attaccamento sicuro. A volte al posto di “ad alto contatto” si utilizza l’espressione “ad alto bisogno” o “ad alta richiesta”, che tuttavia non ne chiariscono il significato. Sono convenzionalmente definiti "ad alto contatto" i neonati che richiedono continuamente attenzioni, affetto, vicinanza, cura, contatto fisico con il genitore, generalmente la mamma, a sua volta ribattezzata "mamma ad alto contatto".
Chi sono le madri e i neonati “ad alto contatto”
La maternità ad alto contatto è un concetto non scientifico, coniato per indicare quei neonati descritti come “di più”: richiedono più attenzioni, piangono di più, mangiano di più, sono più attivi, vogliono stare attaccati al seno per più tempo, stanno svegli di più. Insomma, succhiano più energie a chi li accudisce. L'“alta richiesta” di cui hanno bisogno, quindi, è principalmente affettiva, per questo motivo sono stati soprannominati lattanti “ad alto contatto”. Di conseguenza, le figure che si prendono cura di loro – generalmente le madri – rispondendo tempestivamente alle loro esigenze vengono convenzionalmente chiamate “madri ad alto contatto”. Ovviamente, qualsiasi neonato richiede cura e attenzione, tuttavia quelli ad alto bisogno sono bebè ritenuti più impegnativi di altri, affamati di continue attenzioni.
Il contatto fisico non è più un tabù
Fortunatamente il rapporto fisico prolungato nella diade non è più un tabù. Un tempo le madri che trascorrevano ore con il figlio “addosso” (oggi chiamate madri ad alto contatto, appunto) venivano bacchettate da amici, nonni e suoceri, accusate di viziare il piccolo, di renderlo un “mammone” e di creare un legame morboso con lui. È una visione oggi fortunatamente ritenuta superata, anche se rimane radicata negli zoccoli più duri della società.
Da anni viene incoraggiata – pure dalla comunità scientifica – una genitorialità che non si priva del contatto fisico con i figli e che punta all’abbandono di metodi rigidi e schematici nell’accudimento. Il Ministero della Salute promuove l’allattamento a richiesta al seno, senza seguire orari rigidi. Nell’alimentazione, il più dei pediatri suggerisce l’autosvezzamento, introducendo liberamente, a partire dai 6 mesi, il neonato agli alimenti solidi, senza eccessive limitazioni. Studi scientifici hanno evidenziato i benefici dello “skin to skin” o la “kangaroo care” immediatamente dopo il parto, cioè il contatto “pelle a pelle” con il neonato e i suoi genitori a pochi minuti dalla nascita.
Come favorire il contatto con il lattante
Nello specifico, per favorire il contatto con il neonato vengono generalmente promosse pratiche come:
- Pelle a pelle e kangaroo care in sala parto per favorire il bonding, il legame con il neonato. Si tratta del contatto diretto a pelle nuda tra il genitore e il figlio
- Allattamento al seno
- Babywearing, trasportare il bebè in una fascia o in un marsupio a contatto con il petto, il fianco o la schiena di chi lo indossa
- Room-sharing (e non il co-sleeping!), cioè la condivisione della stanza con il neonato, il letti separati (il piccolo nella culla). Si ricorda che il co-sleeping (o bed-sharing), a volte associato alla maternità ad alto contatto, è assolutamente sconsigliato dai medici. L’Accademia dei Pediatri Americani raccomanda di non dormire con il neonato nel letto, specie se hanno meno di 4 mesi, per il rischio di soffocamento nel sonno.
- Comunicare con il neonato attraverso linguaggi visivo, gestuale, verbale, emotivo. Il baby-talking, cioè il parlare con il piccolo attraverso voci buffe, parole ripetute, toni alti, ne è un esempio.Massaggi infantili
Il lato oscuro della genitorialità “ad alto contatto”
Ma esistono due facce della genitorialità “ad alto contatto”: una felice, la seconda sfiancata. La maternità “ad alto contatto” quando degenera assume delle sfumature torbide e delle connotazioni tossiche. Se le richieste del piccolo diventano talmente incontentabili e limitati da esaurire le energie del genitore, l’“alto contatto” diventa una gabbia per l’adulto. È il caso di neonati che piangono ininterrottamente, si svegliano decine di volte nel corso della notte, chiedono il seno anche venti volte al giorno o più, sono intolleranti pure alla fascia e si calmano esclusivamente quando vengono presi in braccio, mangiano con avidità, sono sensibili ai rumori e perdono presto l’abitudine dei sonnellini diurni. Insomma, non accettano il minimo distacco dal genitore, neppure a distanza di mesi dalla nascita.
Dinamiche del genere rischiano di nuocere alla salute fisica e psicologica del genitore, specie se la madre in questione è sola per buona parte del tempo e ha pochi aiuti su cui contare. Tante mamme arrivano allo sfinimento, trascurando le loro esigenze per rispondere esclusivamente a quelle del neonato. A volte avvertono pure un dilaniante senso di colpa, perché temono di non star facendo abbastanza per il loro bambino. In casi del genere, è opportuno chiedere l’aiuto di uno specialista per evitare conseguenze gravi.
Non è l’attaccamento sicuro
A volte i due concetti – genitorialità ad alto contatto e attaccamento sicuro – vengono utilizzati come sinonimi, anche se non sono propriamente sovrapponibili. L’attaccamento è una teoria della psicologia elaborata grazie a decenni di ricerca scientifica sullo sviluppo e sull’infanzia dedicate ai legami che si instaurano con le figure di accudimento. Quello di maternità ad alto contatto – o ad alta richiesta – è invece un termine non riconosciuto nei contesti accademici, di ricerca e clinici.
La confusione nasce dalla pubblicazione nel 2001 di The Attachment Parenting Book, un libro che ha riscosso un notevole successo, scritto dal pediatra William Sears e da sua moglie, l’infermiera Martha Sears. Il testo propone un modello genitoriale volto a rispondere con sensibilità ed empatia e alle esigenze del piccolo attraverso, ad esempio, babywearing, allattamento al seno, sonno condiviso col pargolo. Il titolo, letteralmente “Il libro sulla genitorialità dell’attaccamento”, ha causato inevitabilmente confusione con la “teoria dell’attaccamento”, nonostante siano concetti diversi.
Si tratta in sostanza di un’ambiguità terminologica, in cui purtroppo continuano a incorrere tanti genitori, convinti (a causa di una scorretta informazione) che l’approccio di genitorialità ad alto contatto e quindi l’attuazione di pratiche come il babywearing favorisca automaticamente l’attaccamento sicuro (che invece è decisamente più complesso).