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13 Marzo 2024
17:30

Cosa sono i carichi di cura e perché sono così importanti per l’uguaglianza di genere e le famiglie

I carichi di cura includono tutti quei compiti non retribuiti e svolti per occuparsi dei soggetti non autosufficienti, come bambini o anziani. In Italia queste mansioni vengono ancora oggi svolte prevalentemente dalle donne, con pesanti implicazioni sul tasso occupazionale femminile e le stesse prospettive di vita.

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Cosa sono i carichi di cura e perché sono così importanti per l’uguaglianza di genere e le famiglie
Cosa sono i carichi di cura

In Italia lo squilibrio nella distribuzione dei carichi di cura rimane ancora oggi uno dei maggiori ostacoli nel raggiungimento di quella parità di genere che potrebbe aiutare il Paese a superare la profonda crisi delle nascite nella quale versa ormai da oltre un decennio.

I compiti di cura sono infatti tutte quelle mansioni che implicano l'assistenza nei confronti un soggetto parzialmente o totalmente non-autosufficiente, come un bambino, un anziano o una persona con disabilità. Sbrigare le faccende domestiche, cucinare, cambiare i pannolini o portare i figli a scuola sono ad esempio tutti lavori "di cura" che benché non prevedano una retribuzione risultano decisive per il benessere di una famiglia.

Compiti di cura e gender-gap

Un tempo quasi tutti gli incarichi di cura erano deputati alla figura femminile, il cosiddetto "angelo del focolare" che rimaneva a casa e ricopriva il ruolo di moglie, madre e massaia, ma a partire dal secondo dopoguerra il crescente ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha radicalmente mutato il volto della società.

Nonostante gli indiscutibili progressi però, l'idea che la gestione dell'ambiente domestico e l'accudimento dei bambini siano prerogative quasi esclusivamente femminili appare piuttosto difficile da estirpare e in molte coppie è ancora la donna a sobbarcarsi la maggior parte delle incombenze legate al ménage familiare.

Dando uno sguardo ai più recenti dati forniti dall'European Institute of Gender Equality (EIGE), tra le cittadine italiane di età compresa tra i 25 e i 49 anni, il 32,1% dedica più di 50 ore alla settimana per cura dei figli, mentre il 20,5% arriva anche a superare le 70 ore settimanali. Nella stessa fascia di età, invece, gli uomini che impiegano più di 50 ore ai figli sono solo il 7,2% e la percentuale scende al 6,3% per la quota 70 ore.

Tale disparità – accentuata soprattutto nel Sud del Paese – si riverbera poi nelle condizioni e nelle opportunità lavorative, visto che per molte lavoratrici l'arrivo di un figlio corrisponde all'abbandono del proprio impiego o all'adozione di contratti part-time che riducono l'impegno ma anche le retribuzione mensili (nonché, molto spesso, le prospettive di carriera).

Redistribuire il carico

L'idea sottesa che le madri possano (o debbano) garantire una qualità di attenzioni migliori rispetto ai padri è la base di uno squilibrio dei carichi di cura ancora molto diffuso.

Molti infatti ritengono che le donne siano naturalmente predisposte a compiti come la gestione dell'ambiente domestico o l'assistenza materiala ed emotiva dei figli. In quest'ottica, appare dunque del tutto accettabile che il ruolo paterno entri in gioco solo come breadwinner (colui che "porta il pane a casa") o come supporto per i momenti di particolare bisogno o durante il tempo libero.

Eppure è proprio dalla redistribuzione dei carichi di cura che può innescare un'inversione di tendenza sia in termini demografici (più figli) che di realizzazione individuale.

Questo cambiamento però non può nascere solo entro le mura domestiche, dove la controparte maschile ha già iniziato da tempo ad assumersi maggiori responsabilità per quanto riguarda la cura della casa e dei figli. La trasformazione decisiva deve infatti arrivare da una politica capace di potenziare il welfare nazionale e facilitare la vita delle donne lavoratrici.

Tra le misure indicate da numerosi studi e ricerche troviamo infatti:

  • Congedo parentale egualitario: i 10 giorni di paternità obbligatoria risultano molto pochi e lasciano il peso dei primi mesi di vita dei figli interamente sulle spalle delle madri. I mesi di congedo parentale pagati al 30% dell'ultima busta paga poi impongono delle scelte difficili per garantire un adeguato indotto economico per il benessere del nucleo familiare.
  • Riduzione del pay-gap: in Italia le donne guadagnano in media molto meno degli uomini. Ciò influisce non solo sulle possibilità di emancipazione individuale, ma anche nelle scelte da compiere all'interno di un contesto genitoriale. Se infatti la nascita di un figlio impone la necessità di conciliare i carichi di cura con il lavoro, in assenza di supporti esterni (parenti, asili etc…) sarà sempre il partner con lo stipendio più basso, ossia la donna, a chiedere il congedo o a rinunciare al proprio impiego.
  • Inasprimento dei provvedimenti contro chi non rispetta l'obbligatorietà del congedo di paternità: attualmente in Italia il datore di lavoro che non rispetta la maternità viola il codice penale. Se invece è il congedo di paternità a non essere concesso nonostante la legge lo consideri obbligatorio, il datore di lavoro rischia solamente una multa che al massimo può ammontare a poco pi di 2.500 euro.
  • Strutture per l'infanzia efficienti e ben distribuite sul territorio: oltre a incentivi, bonus e assegni familiari, i genitori italiani hanno bisogno di asili e scuole per l'infanzia in grado di accogliere i loro figli a costi ragionevoli. Oggi invece i nidi e gli asili sono pochi e spesso molto cari, il che costringe i genitori (o meglio, le madri) a dover restare a casa per badare ai loro piccoli.
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Niccolò De Rosa
Redattore
Dagli studi umanistici all'esperienza editoriale, sempre con una penna in mano e quel pizzico d'ironia che aiuta a colorare la vita. In attesa di diventare grande, scrivo di piccoli e famiglia, convinto che solo partendo da ciò che saremo in grado di seminare potremo coltivare un mondo migliore per tutti.
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