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16 Novembre 2023
15:00

Cosa succede al feto se la mamma piange

Piangere in gravidanza è un fenomeno espressivo normale e fisiologico, che non influisce negativamente sullo sviluppo del feto. Diverso è il caso di crisi di pianto dettate da depressione e malesseri più profondi, che secondo la ricerca costituiscono dei rischi per la gravidanza.

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Cosa succede al feto se la mamma piange
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Il pianto della mamma in gravidanza non influisce negativamente sullo sviluppo del feto, anche se già dai primi mesi di vita il piccolo è in grado di percepire le sensazioni e i suoni emessi dalla madre. Piangere, dopotutto, è comune in gravidanza, un viaggio che comporta uno stravolgimento ormonale e, quindi, sbalzi d’umore e cambiamenti nelle emozioni. Si tratta di un fenomeno espressivo normale e fisiologico, per il quale la gestante si ritrova spesso con in mano un fazzoletto pregno di lacrime. Diverso, tuttavia, è il caso di crisi di pianto dettate da malesseri più profondi, ansia e depressione, disturbi che richiedono un intervento e che, se non trattati, rischiano di avere un impatto negativo sul piccolo nella pancia.

Cosa prova il feto se la mamma piange

È difficile spiegare esattamente come il feto, nei nove mesi di gravidanza, reagisca alle emozioni della mamma. Fin dalle prime settimane dal concepimento la mamma e il piccolo che sta crescendo dentro di lei sono connessi fisiologicamente ed emotivamente, e il feto, già nei primi mesi, inizia a percepire suoni, rumori, sensazioni sperimentati o prodotti dalla gestante.

Diversi studi hanno dimostrato una relazione tra il disagio mentale materno e gli esiti avversi alla nascita: disagi psicologici come stati di profonda ansia e depressione, caratterizzati da ricorrenti episodi di pianto, sono stati correlati a parti pretermine e basso peso del neonato alla nascita, come riporta lo studio "Effects of prenatal maternal mental distress on birth outcomes". Una ricerca pubblicata nel 2012 da un gruppo di lavoro dell’Università della California-Irvine ha studiato come lo stato psicologico e lo stress prenatale della mamma influiscano sul feto in via di sviluppo, con conseguenze che persistono durante e dopo l’infanzia.

Ciò non significa però che il pianto – un fenomeno espressivo assolutamente comune e normale in gravidanza – abbia un influsso negativo sul piccolo in grembo. Piangere più del solito per lo squilibrio ormonale è fisiologico durante la dolce attesa e non è, da solo, un indicatore di uno stato depressivo.

Cosa sente il feto nella pancia della mamma

Il feto, immerso nel liquido amniotico, è in grado di avvertire voci, rumori, suoni e, quindi, singhiozzi che provengono dalla mamma o dall’ambiente in cui la mamma si trova. A partire dalle 20 settimane di gravidanza, l’embrione riesce (tramite l’apparato uditivo che chiaramente ha iniziato il suo sviluppo durante le settimane precedenti) a percepire gli input sonori inizialmente come vibrazioni. Successivamente, il sistema uditivo diventa più raffinato e acquisisce la capacità di distinguere le fonti e le voci diverse.

Già prima della nascita il piccolo inizia a riconoscere la voce della mamma e i suoi singhiozzi, anche se arrivano a lui poco nitidamente a causa della presenza di liquido amniotico, placenta, parete addominale e utero, che fungono da “barriera” insonorizzante. Si ipotizza che i suoni giungano al feto attenutati di circa 20-30 decibel: è più un sussurro che un suono forte e chiaro. Secondo uno studio pubblicato su NeoReviews, rivista dell'Associazione americana di pediatria, a 25 settimane di gravidanza il feto è in grado di rispondere agli stimoli acustici.

Quali sono i rischi per il feto se la mamma piange

Il pianto della mamma non danneggia la salute del feto. Se, tuttavia, si tratta di crisi di pianto ricorrenti dovute a stati di profonda ansia e stress e depressione, subentrano dei rischi per la gravidanza. Come riporta uno studio pubblicato nel 2015 su Women Birth, rivista dell’Australian College of Midwives, sperimentare un disagio psicologico come depressione, ansia e/o stress durante la gravidanza può aumentare il rischio di esiti avversi alla nascita, come il parto prematuro. Perciò, nel corso della ricerca, viene evidenziata l’importanza del supporto a 360° alle donne incinte per garantire il benessere psicofisico a madri e figli.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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