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24 Febbraio 2023
13:00

Cos’è il babywearing? I pro e i contro della pratica di “indossare il neonato”

“Babywearing” significa letteralmente “indossare il bambino”. È la pratica di trasportare il bebè in una fascia o in un marsupio a contatto con il petto, il fianco o la schiena di chi lo indossa. I benefici per la mamma e il bambino sono innumerevoli: libera le mani dell’adulto e previene reflusso, coliche e displasia dell'anca del neonato, ne allevia la febbre e sviluppa l’autonomia della creatura. «Non è un modo per viziare il bambino» rassicura la puericultrice Eleonora Gambella.

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Cos’è il babywearing? I pro e i contro della pratica di “indossare il neonato”
In collaborazione con la Dott.ssa Eleonora Gambella
Puericultrice
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Il termine inglese babywearing significa letteralmente «indossare il bambino». Si tratta dell’antica pratica di trasportare il neonato in una fascia o in un marsupio, mantenendo il piccolo a contatto con chi indossa il dispositivo.

ll babywearing, praticabile fino a quando il peso del bambino lo consente, presenta innumerevoli vantaggi, sia per la mamma (o chiunque indossi la fascia), che per il piccolo. Dalla praticità per l’adulto ai benefici fisici del bambino, fino allo sviluppo dell’autonomia del neonato. Ce ne racconta di più la puericultrice Eleonora Gambella.

Spegniamo le luci, avviamo il carillon, che risuona con la sua dolce nenia nella stanza, e, in punta di piedi, ci avviciniamo alla culla, con il fagotto dormiente in braccio. Non appena la sua nuca sfiora le lenzuola, il piccolo spalanca gli occhi e si abbandona a un pianto disperato. Per calmarlo lo coccoliamo in braccio, nonostante ci abbiano avvertito che a forza di cullare il bebé pelle a pelle rischiamo di viziarlo. Ma ne siamo sicuri?

Tenere a lungo il bambino addosso lo vizia?

Ci è stata tramandata l’errata convinzione che il contatto fisico prolungato con la mamma vizi il neonato, ma in realtà si tratta di un retaggio della generazione che ci precede. Il babywearing (letteralmente, “indossare il bambino”) è praticato da secoli in tutto il mondo, con evidenti benefici sulla salute della mamma (o di chi indossa la fascia) e del bambino.

Il babywearing infonde sicurezza nel neonato, permettendogli di stare pelle a pelle con chi lo porta (e lo protegge)

«Il babywearing nasce nella Preistoria perché i bambini da sempre hanno bisogno di essere portati e di stare a contatto con la mamma. – spiega la puericultrice Gambella – Ancora oggi nelle società africane i più piccoli vivono i primi due anni di vita attaccati alla schiena della loro mamma e non sviluppano determinate paure perché hanno la certezza della presenza materna».

«È la generazione che ci precede che si è configurata come una società cosiddetta “a basso contatto – continua la puericultrice – in cui si preferiva mettere il bambino nella carrozzina, nel lettino o comunque in supporti non a contatto con la mamma per evitare di viziare il bambino».

Quali sono i benefici del babywearing?

I benefici del babywearing e dell’utilizzo della fascia (o di un analogo supporto per trasportare il bambino) sono svariati.

Il primo riguarda la praticità: chi indossa il marsupio, è libero di dedicarsi alle faccende quotidiane con entrambe le braccia.

A beneficiarne non è solo l’adulto, ma pure il bebè, che ne guadagna in salute fisica e in indipendenza.

La fascia allevia reflusso e coliche del neonato, ne termoregola la temperatura corporea, evita la displasia delle anche, lo rende autonomo e indipendente

«Il babywearing dona al bebè evidenti benefici per il reflusso e le coliche, problematiche sempre più frequenti. – spiega Gambella – In caso di febbre, lo stare a contatto con il portatore aiuta ad abbassare la temperatura corporea del bambino grazie alla termoregolazione . Trasportare il bambino in fascia evita la displasia delle anche perchè nel babywearing ergonomico l’anca sta nella posizione più corretta. E poi, il bambino, essendo sazio nel suo bisogno di contatto fisico, è reso autonomo e indipendente. Questo lo si nota nella crescita e quando diventa adulto».

Come indossare la fascia?

Secondo le regole del babywearing, sono tre le posizioni in cui trasportare il bambino:

  • Verso l’interno (fronte mamma)
  • Sul fianco
  • Sulla schiena

È da evitare la posizione comunemente nota come fronte mondo, cioè con il bambino rivolto verso l’esterno.

Babywearing schiena

«Il fronte mondo non è ritenuto ergonomico per tanti motivi ed è generalmente sostituito dalla posizione sul fianco, che consente al bambino di guardarsi intorno con una visuale a 180°, mantenendo una postura corretta. Il fronte mamma è più apprezzato dai neonati, mentre nel caso di bambini grandi, che pesano di più e sono piuttosto curiosi, è consigliato ai genitori di trasportare il figlio sulla schiena, per ammortizzarne il peso» precisa la puericultrice.

Quale fascia scegliere per il bambino?

Fasce elastiche, fasce in tessuto, fasce ad anelli, mei tai, marsupi. È notevole la varietà di supporti esistenti in commercio per il trasporto di neonati, ma non tutti rispettano la fisiologia del portato e del portatore.

Babywearing ergonomico e non: la fasciatura dovrebbe rispettare la fisiologia del bambino

«Distinguiamo il babywearing non ergonomico da quello ergonomico. La maggior parte dei supporti in vendita nelle grandi catene commerciali, purtroppo, non li possiamo ritenere ergonomici».

Nella scelta del supporto è fondamentale rispettare le esigenze dell’adulto, che trasporta il fagotto umano, e del bambino, in quell’esatto momento.

«Esistono tanti tipi di supporti nel babywearing che rispettano la fisiologia: fasce elastiche, rigide, marsupi, mei tai, eccetera. Non esiste una tipologia di supporto migliore di un’altra, ma, piuttosto, il supporto più adatto a quella diade per quel momento. Una mamma con una determinata forma fisica che ha un bimbo di sei mesi, avrà bisogno più di un supporto che di un altro, ma quando quel bambino compirà 1 anno, la stessa mamma necessiterà di un supporto diverso».

La tipologia di fascia varia in base all'età e al peso del bambino, nonché alle esigenze di entrambi

«Nel babywearing è importante cambiare il supporto in base all’età e al peso del bambino, oltre che in base alle esigenze di entrambi. Se i genitori lo utilizzano più in casa che fuori acquisteranno un determinato dispositivo. Così come, se il piccolo è ad alto contatto e vuole stare otto ore al giorno pelle a pelle con il portatore, i genitori ne sceglieranno uno che sia il più confortevole possibile».

Fino a che età del bambino si può usare la fascia?

Il babywearing è praticato dalla nascita fino all’infanzia, anche se non è stata definita un’età standard in cui interromperlo. A scegliere di mettere la parola fine al trasporto in fascia sono le personali necessità di quel bambino e del suo portatore.

«Nel babywearing vige la regola del: “Si porta finché lo desiderano entrambi”. Se uno dei due non desidera più portare o essere portato, piccolo o grande che sia, si può smettere di usarlo, ricorrendo ad altri metodi».

Babywearing escursione

«Generalmente, i supporti sono utilizzati fino anche ai 3-5 anni del bambino. Ovviamente, il babywearing cambia nelle sue funzioni a seconda dell’età del piccolo: se un bimbo di 3 anni è trasportato in fascia è, per esempio, perché i genitori vogliono fare una passeggiata in montagna o un’escursione».

Il babywearing non è una prerogativa della mamma!

Il contatto genitore-neonato non è solo quello materno. Il babywearing è praticato da entrambi i partner.

Il babywearing consolida il rapporto neonato-genitore

Anzi, è un mezzo per consolidare il rapporto fra il neonato e l’altro genitore nei giorni immediatamente successivi al parto.

«Nel post-parto la mamma deve curare il suo pavimento pelvico e stare a riposo. In quel momento interviene il partner che dovrebbe usare la fascia, uno strumento di grande aiuto anche per instaurare una relazione più profonda con il piccolo e conoscersi a vicenda».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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