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23 Aprile 2023
9:00

Cos’è il bollino rosa delle aziende per la parità di genere e perché può aiutare le mamme lavoratrici

Il bollino rosa di certificazione della parità di genere nelle aziende, previsto dall’articolo 46 bis del Codice per le Pari Opportunità, non è più previsto come misura di premialità nelle gare per gli appalti pubblici. Era un mezzo per agevolare le imprese che favoriscono la gender equality e offrono strumenti a sostegno di genitorialità, cultura, formazione e oppugnazione femmine.

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Cos’è il bollino rosa delle aziende per la parità di genere e perché può aiutare le mamme lavoratrici
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Il bollino rosa (o Certificazione per la Parità di Genere) che attesta l’impegno dell’azienda per la parità di genere – in termini di investimenti nel welfare aziendale e di offerta di strumenti a sostegno di genitorialità, cultura, formazione e oppugnazione femmine – potrebbe scomparire e non essere più utilizzato. La misura del bollino rosa, che prevedeva uno sgravio sulle tasse e un vantaggio nell’ambito degli appalti pubblici per le aziende che favorivano la gender equality sul lavoro, pare non essere stata riconfermata dal Governo Meloni nel nuovo Codice degli Appalti dei lavori pubblici.

La scomparsa della Certificazione aziendale per la Parità di genere

Anche se in Italia l’occupazione femminile, su base annua, è in crescita, il divario fra quote rosa e quote blu una volta varcata la soglia dell’ufficio rimane spaventosamente ampio, con un gap di genere che, secondo i dati Istat relativi al 2021, distanzia di ben 19,3 punti i lavoratori uomini dalle lavoratrici donne. Uno scarto che alcune aziende nel nostro Paese s’impegnano a colmare attraverso investimenti nel welfare e politiche aziendali a sostegno dell’occupazione femminile e della genitorialità. Un attivismo d’impresa contro il gender gap che, almeno fino allo scorso anno, era premiato dallo Stato con la certificazione del bollino rosa della parità di genere, che garantisce all’azienda uno sgravio fiscale e un vantaggio nell’ambito degli appalti pubblici. La Certificazione di Parità di Genere era stata introdotta alla fine del 2021 con la Legge 162, la quale, modificando il Codice Pari Opportunità (D.Lgs. 198/2006), aveva introdotto, appunto, la misura del bollino rosa, che tuttavia è assente nella bozza del nuovo Codice appalti.

Attiviste e opposizione chiedono la reintroduzione del bollino rosa nel Codice per le Pari Opportunità

La scomparsa del riferimento al bollino rosa – che, tra l’altro, rientra nei progetti del Pnrr con una spesa di 10 milioni di euro – ha causato polemiche e proteste fra i partiti dell’opposizione, oltre che fra varie associazioni, Cgil, UIL, e il Media civico "Le Contemporanee", voci unite nel chiedere la reintroduzione della certificazione per la parità di genere all’articolo 46 bis del Codice per le Pari Opportunità, come riferimento esplicito ai fini della premialità nelle gare per gli appalti. «È così sbagliato chiedere alle imprese affidatarie di lavori pubblici di compiere passi in avanti verso un cammino comune e ben delineato dal Next Generation Eu? – hanno incalzato il neoGoverno Le Contemporanee – Perché livellare verso il basso la nuova normativa pubblica rendendo di fatto il richiamo alla certificazione un “dettaglio” marginale?».

All’interno del nuovo Codice sono presenti altri riferimenti alla parità di genere e alla sua promozione, che tuttavia non soddisfano le attiviste e gli oppositori, secondo cui quelle presenti nel testo sono misure insufficienti per aiutare le imprese a intraprendere un percorso verso la gender equality e a costruire un mondo professionale più uguale.

Perché il bollino rosa è importante

Perché eliminare una misura che punta a favorire l’ingresso e la permanenza delle quote rosa nelle aziende? La Certificazione della Parità di genere per le imprese, introdotta nel 2021, avrebbe funzionato, forse, come una goccia in mezzo a un mare di diseguaglianze, tuttavia avrebbe probabilmente continuato ad instradare aziende e lavoratori in un virtuoso percorso verso la parità. Cancellarla irrimediabilmente ai suoi albori significa interrompere il tragitto verso la gender equality di chi l’aveva già intrapreso ed esclude l’ipotesi di aggiungere alla comitiva già in cammino nuovi compagni di viaggio. Si rischia così di buttare all’aria il lavoro di mesi che, peraltro, ha contribuito alla legge 162 sulla parità salariale, che introduce proprio la Certificazione di Parità e la premialità negli appalti per chi promuove l’impresa al femminile e investe sull’occupazione delle quote rosa.

La misura, tra l’altro, era stata in origine concepita per ricompensare, nell’ambito delle gare d’appalto, le aziende che promuovono, oltre alle assunzioni femminili, strumenti di sostegno alla genitorialità e un welfare per le famiglie, collaborando, così, nel suo piccolo, a una rivoluzione culturale. Un passo in avanti lodevole, specialmente in un mondo – quello degli appalti pubblici – che riguarda prevalentemente l’edilizia, l’energia, i trasporti, il digitale, settori in cui il capitale umano femminile tende ad essere numericamente inferiore rispetto a quello maschile.

Investire sull'occupazione femminile giova a lavoratrici e aziende

Investire sull’occupazione femminile è il primo passo per rimettere in moto in Italia la macchina della natalità, che oggi ha evidentemente il serbatoio semivuoto. Il nostro Paese sta affrontando un inverno demografico che lo sta invecchiando e svuotando via via più velocemente. A ribadire quanto siano urgenti investimenti di natura economica, sociale e assistenziale sull’occupazione femminile nelle aziende italiane sono i dati periodicamente diffusi dagli istituti di ricerca nazionali ed europei, che ci dipingono come il fanalino di coda del continente per quanto riguarda il gender gap, i sussidi alla genitorialità, i servizi alla prima infanzia e il numero delle nascite.

In Italia lavorano 57,4 mamme su 100

Come emerge nel dettagliato report di Save the Children sulle donne "equilibriste", ad avere un lavoro in Italia sono 57,4 mamme su 100 nella fascia d’età 25-54 anni (contro l’88,2% dei papà), una cifra che tracolla fino al 37,4% nel Mezzogiorno (2021). È interessante notare come il numero degli occupati fra gli uomini salga all’aumentare del numero di figli, mentre la cifra delle lavoratrici diminuisca se la prole è numerosa: la percentuale dei lavoratori senza figli (73,1%) è inferiore al numero di papà che lavorano (88,2%), mentre le quote rosa senza prole superano il 64,5% (contro il 57,4% delle mamme occupate). Insomma, in Italia essere donna potrebbe essere un limite nel mondo del lavoro e fare figli potrebbe penalizzare la carriera della mamma, che non è pienamente libera di scegliere se e in che modalità continuare a lavorare dopo il parto o rimanere a casa. Depotenziare misure che si prefiggono come obiettivo quello di incentivare la parità di genere e creare un equilibrio fra lavoro e famiglia significa togliere un’opportunità in più alle donne di entrare e rimanere nel mondo del lavoro e alle aziende di costruire e diffondere, attraverso il proprio operato, una cultura d’impresa attenta alle disuguaglianze e alla parità dei suoi dipendenti.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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