Un’eredità concettuale per definire un’idea anticonvenzionale di famiglia. Quello di “famiglia queer” è uno dei numerosi lasciti intellettuali della scrittrice, drammaturga, critica letteraria e attivista Michela Murgia, scomparsa ieri, 10 agosto 2023, a 51 anni dopo una lunga malattia contro un tumore al rene, scoperto in fase avanzata.
Negli ultimi mesi Murgia si è spesa per spiegare a più riprese che cos’è una famiglia queer tramite lunghe interviste e post condivisi su Instagram. La scrittrice ha attribuito al termine inglese “queer”, che propriamente significa “eccentrico rispetto alle definizioni di normalità”, un’accezione diversa, profonda e inclusiva.
Per queer family la scrittrice intendeva una famiglia allargata, unita dal bruciante desiderio di prendersi cura l’uno dell’altro, e non necessariamente da legami di sangue. Anzi, la genetica e i rapporti biologici non interessano ai membri della famiglia “queer”, che è una famiglia senza etichette.
I figli non sono figli biologici: sono «figli dell’anima», il frutto di incontri più o meno casuali avvenuti nel corso della vita e di relazioni profonde intessute con quelli che inizialmente erano estranei. Murgia ne aveva quattro.
Il matrimonio con uno dei componenti della “queer family” è uno «strumento patriarcale e limitato», una firma utile esclusivamente al riconoscimento di diritti vicendevoli, non un mezzo di gioia e unione sentimentale di una coppia. La scrittrice lo ha ribadito quando, a luglio, è convolata a nozze (con rito civile) con l’attore e regista Lorenzo Terzi per questioni legali.
Murgia aveva anche una compagna, Claudia, con la quale condivideva un «figlio dell’anima», Raphael, conosciuto quando il piccolo aveva 9 anni.
Dieci sono i posti letto che ospitano i componenti della sua famiglia queer, che dissacra i tabù e scardina i pregiudizi in nome di un unico principio: il volersi bene, che a volte non coincide con l’essere “figlio di” o “madre di”.
Un detto che calza con l’idea di queer family, in cui i legami di sangue e l’albero genealogico sono secondari, recita: «Gli amici sono la famiglia che ti scegli». Murgia, aveva rivelato in un’intervista di luglio a Vanity Fair che suo padre, quello biologico, aveva «tradito il suo mandato» e che fortunatamente lei aveva incontrato un altro papà, in grado di sopperire a quella figura violenta e vacante: suo zio.
La definizione di Murgia è personale e originale. La “queer family” non è una famiglia allargata, né una famiglia arcobaleno. È una famiglia i cui membri sono legati dall’accudimento reciproco e non da relazioni di parentela. “Queer”, infatti, è un termine che rimanda alla comunità Lgbtq+ ("q" è l'acronimo di "queer") e nel linguaggio comune è utilizzato per identificare chi non si riconosce come eterosessuale. Ma, prima di tutto, “queer” è un termine inglese che propriamente significa «sessualmente, etnicamente o socialmente eccentrico rispetto alle definizioni di normalità codificate dalla cultura egemone», in passato utilizzato in senso dispregiativo.
Ecco, allora, perché la scrittrice l'ha scelto per designare la sua famiglia fuori dagli schemi. Perché, come ha spiegato:
usare categorie del linguaggio alternative permette inclusione, supera la performance dei titoli legali, limita dinamiche di possesso, moltiplica le energie amorose e le fa fluire.
Raccontare quella famiglia ibrida, lontana dai canoni della tradizione, tanto inconcepibile fuori quanto idilliaca tra le mura di casa, non è stato semplice, ma, secondo la scrittrice, è stato utile. Spiegare a chiunque cos’è una queer family era, per Murgia, una «necessità politica» allo stato attuale in cui è al potere «un governo che per le famiglie non riconosce altro modello che il suo».