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4 Maggio 2023
11:02

Culla per la vita: cos’è, come funziona e dove si trova in Italia

La Culla per la Vita è un servizio offerto nel nostro Paese in circa una cinquantina di strutture, tra ospedali e centri di aiuto e assistenza. È la versione più moderna dell’antica “ruota degli esposti” e consiste in una culla riscaldata in cui è possibile lasciare il neonato in sicurezza e nel rispetto del diritto all’anonimato della madre.

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Culla per la vita: cos’è, come funziona e dove si trova in Italia
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Schiacciato un pulsante si alza una saracinesca e appare la culla vuota di un neonato. Il genitore – o chi ha il piccolo in braccio – ha circa 40 secondi di tempo per introdurre il fagotto nel lettino e per allontanarsi, prima che scatti l’allarme che avvisa i medici e gli infermieri della Neonatologia della presenza del neonato, i quali accorrono a prelevare il piccolo e a spostarlo in reparto. Così funziona la “Culla per la Vita”, un’incubatrice sicura e protetta, concepita per garantire l'anonimato alle mamme in difficoltà che abbandonano i piccoli in fasce.

Nonostante abbia vita lunga – la prima e più rudimentale Culla per la Vita risale al XII secolo, quando era nota come “Ruota degli esposti” – è uno strumento poco utilizzato, forse perché piuttosto sconosciuto.

In Italia ne esistono una cinquantina e sono presenti in quasi tutte le regioni, a eccezione di Calabria, Friuli Venezia Giulia, Molise, Sardegna e Trentino Alto Adige. Un ausilio che si è rivelato utile nel giorno di Pasqua, quando il piccolo Enea è stato accolto nella Culla per la Vita che sorge in uno spazio appartato della clinica Mangiagalli di Milano, lasciato nel lettino insieme a una lettera firmata "Mamma". Prima di lui grazie alla Culla del Policlinico meneghino sono stati salvati due neonati: nel giugno 2012 Mario, nato prematuro e abbandonato con un biberon di latte a circa una settimana di vita, e nel febbraio 2016 Giovanni, lasciato nel lettino lavato e ben vestito, con un cartellino che indicava la data di nascita e i vaccini effettuati.

La Culla della Vita dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo si è invece attivata per la prima volta il 3 maggio 2023, nemmeno un mese dopo il caso di Milano, per accogliere un bimbo nato da poche ore e di cui la mamma – come scritto nella lettera di accompagnamento al fagottino – non poteva prendersi cura.

Che cos’è la Culla per la Vita

La Culla per la Vita è la versione più evoluta e tecnologica dell’antica “ruota degli esposti”, in cui già nel Medioevo erano abbandonati i neonati, creata per evitare infanticidi e gesti disperati, come l’abbandono di bebè per strada o nei cassonetti.

Si tratta in sostanza di un angolo riparato all'interno della struttura ospedaliera e in cui una madre può lasciare il bambino senza essere identificata. Lo scopo è tutelare la decisione della donna e al contempo assicurare immediate cure e assistenza al neonato.

Come funziona la Culla della Vita?

La Culla della Vita sorge in ospedali, cliniche, centri di accoglienza e di aiuto, in genere in angoli o in spazi defilati, al riparo da telecamere di videosorveglianza e occhi indiscreti. Una volta giunti nel punto in cui si trova la Culla, il genitore preme sulla parete un pulsante che apre una saracinesca.

Appare, così, una culla vuota, riscaldata alla temperatura di 37°, in cui la madre può riporre il neonato. Dopo qualche decina di secondi, scatta un allarme che avvisa i medici, che si occuperanno del piccolo.

Dove si trovano le Culle per la Vita in Italia

In Italia le Culle per la Vita, come quella che sorge alla Clinica Mangiagalli, sono circa 56 e sorgono negli ospedali o in centri di aiuto e assistenza. La Lombardia è la regione italiana che ne conta di più, anche se le incubatrici riscaldate che garantiscono alle mamme di abbandonare i figli in modo anonimo e sicuro sono poco utilizzate: nella clinica Mangiagalli prima di Enea sono stati lasciati due piccoli, Mario e Giovanni, in 16 anni di vita della Culla. Esistono regioni che ne sono sprovviste, quali la Calabria, il Friuli Venezia Giulia, il Molise, la Sardegna e il Trentino Alto Adige.

L’anonimato è un diritto della madre naturale, oggi in Italia sancito per legge e previsto già dal diritto romano per evitare casi di infanticidio. Il Ministero della Salute ricorda che il DPR 396/2000, art. 30, comma 2, riconosce alla mamma il diritto a non riconoscere il bambino e a lasciarlo nell’ospedale in cui è nato. Il nome della madre rimane segreto e nell’atto di nascita viene scritto: «nato da donna che non consente di essere nominata».

Cosa succede dopo l’abbandono

Nel caso di un neonato non riconosciuto, l’Ospedale, trascorsi dieci giorni (termine ultimo per il riconoscimento), invia una comunicazione all’ufficiale di stato civile e al Tribunale per i Minorenni, il quale ne dichiara lo stato di adattabilità. Una volta individuata la coppia, il Tribunale dispone l’affidamento preadottivo del minore alla famiglia per un anno. Se, una volta conclusi i 12 mesi, l’affidamento preadottivo ha esito positivo, il Tribunale decreta l’adozione e il piccolo diventa figlio legittimo della famiglia adottiva, assumendone il cognome.

La storia della Culla per la Vita

L’abbandono di un figlio in un luogo pubblico è una pratica antica, usuale già nella cultura greca, romana, ebraica, pagana e cristiana. Ricorre all’«esposizione» – così si chiama l’abbandono di un figlio in un luogo pubblico – anche la mamma di Quasimodo, il protagonista del Gobbo di Notre Dame, che nella versione Disney viene abbandonato in fasce sulle gradinate della Cattedrale.

La prima “ruota degli esposti” – un semplice cilindro di legno posizionato nel vano di una finestra rivolta sul fronte strada di un edificio – fu creata alla fine del XII secolo nell’Ospedale dei Canonici di Marsiglia, in Francia. Quando una mamma lasciava il figlio nel cilindro, suonava un campanello, e l’addetto accorreva alla ruota per accogliere il neonato. Dopo poco l’idea della ruota fu emulata a Roma, all’Ospedale di Santo Spirito in Sassia a Roma, e da lì fu riprodotta in centinaia di altri luoghi di accoglienza, fino al 1923, anno in cui le ruote furono ufficialmente bandite e non fu più possibile consegnare neonati in forma anonima.

È nel 1992 che si torna a discutere della ruota degli esposti grazie all’operato del dott. Giuseppe Garrone, che, alla luce di casi di cronaca di abbandono di neonati, promosse la riapertura di una nuova versione, più tecnologica e strutturata, dell’antica ruota degli esposti.

Tra le motivazioni più ricorrenti che si celano dietro l’abbandono di un minore figurano la difficoltà economica, l’assenza di una rete familiare in grado di supportare la mamma o, specialmente in epoche lontane, l’intento di salvaguardare l’onore nel caso di una donna nubile.

In passato accadeva di frequente che il neonato, prima di essere abbandonato in una ruota o in un ospedale, fosse avvolto in un panno insieme a un segno identificativo, come delle carte divise a metà, dei santini spezzati, delle medagliette, con i quali un giorno le madri speravano di potersi ricongiungere con i figli. Ne è un esempio – seppure con qualche differenza – un secondo cartone animato, Anastasia. Nel film d’animazione la fanciulla, cresciuta in orfanotrofio, si ricongiunge con la nonna quando le mostra il ciondolo con l’incisione “Insieme a Parigi”, che le era stato regalato durante l’infanzia, prima della separazione dalla sua famiglia.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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