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7 Febbraio 2024
9:00

Cyberbullismo, gli adolescenti non sono consapevoli dei rischi. L’esperto: «I primi casi già a 8 anni. Con l’IA peggiorerà»

I rischi dell’iperconnessione degli adolescenti si sono moltiplicati nell’era di Instagram e TikTok. Wamily ha intervistato Andrea Bilotto, psicologo che nel 2018 ha fondato l’Associazione Italiana Cyberbullismo e Sexting per informare nelle scuole studenti, insegnanti e genitori sui pericoli della rete.

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Cyberbullismo, gli adolescenti non sono consapevoli dei rischi. L’esperto: «I primi casi già a 8 anni. Con l’IA peggiorerà»
Intervista a Dott. Andrea Bilotto
Presidente e fondatore dell’Associazione Italiana Cyberbullismo e Sexting (AICS), psicologo scolastico ed esperto di cyberbullismo ed educazione digitale
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Solo da pochi anni i media hanno iniziato a preoccuparsi della cosiddetta Gen Z, la generazione dei nati tra la fine degli anni Novanta e il 2010, quella dei “giovani fragili”, degli smartphone e dei balletti davanti alla ring light. Si sono accesi i riflettori su di loro quando ormai i nati nel 2011 siedono sui banchi della seconda media e una nuova classe di giovani si affaccia all’adolescenza: la Generazione Alpha. Se i primi sono nativi digitali, i secondi hanno iniziato a interagire con la tecnologia già prima del concepimento, quando i genitori programmavano i giorni di fecondazione sull’App Salute dello smartphone.

I rischi dell’iperconnessione degli adolescenti, che iniziavano a spaventare i genitori dieci anni fa, oggi, nell’era di Instagram e TikTok, si sono moltiplicati. L’età dell’uso dei dispositivi digitali si abbassa gradualmente, e aumentano i pericoli della rete, con l'ombra dell'Intelligenza Artificiale in agguato.

In occasione della Giornata Mondiale del Cyberbullismo e della Sicurezza in Rete delle nuove generazioni, Wamily ha intervistato il dott. Andrea Bilotto, psicologo scolastico, esperto di cyberbullismo ed educazione digitale e Presidente e fondatore dell’Associazione Italiana Cyberbullismo e Sexting (AICS), un team di psicologi, sociologi e avvocati che da 2018 si occupa di prevenzione al cyberbullismo e ai rischi virtuali (come il sexting, l’invio di messaggi sessualmente espliciti) nelle scuole d’Italia.

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Andrea Bilotto

Gli studenti che incontrate nelle scuole sono consapevoli dei rischi della rete?

No, i ragazzi non sono a conoscenza delle conseguenze, soprattutto legali, che derivano da un uso scorretto del web. Vediamo adolescenti, anche bambini, utilizzare i social parecchio prima dell’età consentita e scambiarsi sulle piattaforme, come Whatsapp, materiale illegale o inadatto alla loro età, ad esempio di natura pornografica. Il mondo del web affascina tanto i più piccoli, che tuttavia lo considerano come un gioco, senza rendersi conto dei rischi e delle conseguenze pericolose.

Non sanno, ad esempio, che i contenuti, una volta pubblicati, rimangono online in eterno?

Non lo capiscono facilmente. Noi siamo stati i primi a portare il tema del sexting nelle scuole. Gli adulti, nella loro intimità, sono liberi di inviarsi foto intime, ma nel caso degli adolescenti, che magari non sono consapevoli di come l’immagine mandata alla fidanzatina o all’amico possa circolare online e diventare pervasiva, è importante fare prevenzione. Tante volte sottovalutano i rischi: l’immagine non solo può rimanere nel web ma può essere anche salvata e condivisa da tante persone, e poi non si può più cancellare.

Quali sono le ripercussioni psicologiche e legali del bullismo in rete?

Dal punto di vista psicologico, rischiano di rimanere segnati, avere dei traumi, provare stati d’animo, emozioni, paure che ritornano ogni qual volta si ritrovano in situazioni simili.

Dal punto di vista legale, invece, le conseguenze sono quelle previste dal Codice Civile e Penale: lo stalking, la violazione della privacy… Abbiamo anche una legge di tutela al cyberbullismo che prevede l’intervento della Questura e della Polizia Postale, su denuncia del genitore.

Gli episodi di bullismo, inteso come pugni e insulti verbali, sono forse più facili da riconoscere perché avvengono “in presenza”, nella realtà della scuola o della palestra. Quando si parla di cyberbullismo, invece, è forse più difficile capire quale sia il limite tra “burla” e violenza…

Sì, è un grande problema. In più si genera confusione nell’attribuzione della responsabilità. Mi spiego: riscontriamo sempre più casi di cyberbullismo tra compagni di scuola che avvengono fuori dalle mura scolastiche. La scuola si chiede: “se l’atto non è accaduto nel contesto scolastico, nell’orario scolastico, come facciamo ad intervenire e a lavorarci?”. In effetti, rientra nella responsabilità dei genitori di vigilare i figli perché se avviene fuori dalla scuola e attraverso l’utilizzo di dispositivi personali (che devono essere monitorati dai genitori) la scuola fa fatica ad intervenire.

Come intervenite?

Noi lavoriamo sull’uso delle parole, cercando di insegnare una comunicazione non violenta, non ostile, positiva, e di trasmettere il concetto che le parole hanno un peso e, se usate male, rischiano di avere conseguenze gravi perché chiunque di noi ha un punto debole. Portiamo esempi di cronaca forti che hanno coinvolto personaggi pubblici. Si tende a pensare che le celebrità siano preparate a tutto, eppure capita continuamente che qualcuna di loro venga attaccata e bersagliata online rimanendone turbata. Anche la persona adulta o famosa, che magari pensiamo essere la più forte e sicura del mondo, può essere vittima di cyberbullismo.

È giusto controllare regolarmente il cellulare dei figli?

Il controllo è uno strumento importante. Lo dico perché a volte mi trovo a confrontarmi con colleghi convinti invece che basti la fiducia perché “tanto se il genitore imposta il family link i figli sono abili a toglierlo”. Vero, in effetti esistono video-tutorial che lo spiegano. Però i genitori non devono controllare il cellulare dei figli per violare la loro privacy, ma per il loro bene, perché i ragazzini non sono consapevoli di tutto quello che possono vedere online e quindi vanno affiancati. Chi darebbe mai un’automobile a un minore che non ha conseguito la patente di guida? Allo stesso modo, non si dovrebbe dare un cellulare a un bimbo che non è in grado di navigare sul web, un oceano ricco di opportunità ma anche di tanti rischi. Oggi i più giovani possono vedere qualsiasi video, anche scioccante, e sono così bombardati di immagini che sembra non siano più colpiti da niente. È un fenomeno che ci preoccupa.

Dietro alla violenza del cyberbullismo c’è l’assenza di empatia?

La mancanza di empatia è la chiave di tutto, non solo dei giovani ma anche degli adulti. Se i primi a non essere empatici sono i genitori, come possono i ragazzi provare empatia? Se gli adulti quando vedono persone che stanno male per strada non intervengono, o anziché prestare aiuto girano il video, come fa un bambino a capire quanto sia importante intervenire, aiutare qualcuno che sta male e non essere spettatore passivo? Noi lavoriamo per trasmettere l’empatia fin da quando sono piccoli, alla scuola dell’infanzia, perché a 18 anni è già tardi. Ed è ancora più difficile provare empatia dietro a uno schermo, dove non vedendo le emozioni di chi sta dall’altra parte, non percependo il limite, diventa più complicato mettersi nei panni dell’altro.

Le piattaforme social e i colossi come Meta stanno introducendo nuove impostazioni e strumenti di limitazione per gli adolescenti. Sono misure efficaci? O continueranno a essere insufficienti a causa della tutela della privacy dell’utente e/o degli interessi monetari delle stesse piattaforme?

Gli interessi economici fanno girare i social, che sono gratuiti ma guadagnano attraverso le pubblicità e i dati personali degli utenti. L’obiettivo principale delle piattaforme, quindi, è economico, non di salvaguardia degli utenti. Se l’utente fosse tutelato navigherebbe in rete in sicurezza. Io temo che non ci siano ancora abbastanza strumenti. Lo ha dimostrato la notizia della ragazza inglese di 16 anni stuprata nel Metaverso, dove non si è posto un confine. Forse nessuno si immaginava che in un gioco potesse accadere qualcosa di così grave, ma la realtà virtuale può portare nell’immaginario qualsiasi scena e probabilmente sarà anche peggio in futuro. Il fatto già che vicende del genere accadano ci preoccupa perché vuol dire che nessuno ha pensato a prevenirle.

Si sente sempre più parlare di intelligenza artificiale. Quanto inciderà nel cyberbullismo?

Ci preoccupa perché circolano tantissime immagini finte da cui non solo gli adolescenti ma anche gli adulti vengono ingannati senza rendersi conto che non sono reali. Se si può davvero arrivare a creare qualsiasi cosa temo che non si riuscirà più a dare un limite tra realtà e mondo virtuale.

Quali sono i segnali per capire se il figlio è vittima di cyberbullismo?

I segnali possono essere diversi. Vediamo ragazzi che decidono di non uscire più di casa e partecipare ad attività sportive, non vogliono più andare a scuola, a compleanni e a feste, si chiudono in camera e non dialogano in famiglia coi genitori. Tanti di loro esprimono anche a livello somatico la loro sofferenza, manifestando sintomi fisici, come mal di testa, vomito, incubi notturni, crisi d’ansia, attacchi di panico, che rischiano di trasformarsi in qualcosa di più forte nel tempo. È importante chiedere aiuto allo psicologo se si notano sintomi simili.

L’età dei cyberbulli, e delle vittime, si sta abbassando?

Sì, l’età scende perché iniziano ad utilizzare i social fin da piccoli. Già a 8-9 anni sono iscritti a TikTok, nonostante l’età minima sia 16 anni secondo quanto prevede il regolamento europeo. Tanti genitori autorizzano e legittimano i figli ad usare i social, con il rischio che ne diventino dipendenti. Se utilizzano tante ore al giorno i dispositivi fanno fatica a capire il limite.

Quindi si registrano casi di cyberbullismo già alla primaria?

Certo. Whatsapp viene utilizzato già alla scuola primaria e alcuni bimbi raccontano di essere bersagliati nei gruppi. Noi con la prevenzione partiamo dalla scuola primaria, a volte dall’infanzia, perché i problemi iniziano a quell’età. I bambini più piccoli sono molto ricettivi e capiscono i pericoli, mentre i ragazzi delle medie e superiori fanno più fatica a rendersi conto della gravità e minimizzano perché pensano sia normale o giustificato, quindi diventa più difficile intervenire.

Oggi tanti genitori pubblicano video dei loro figli su TikTok. Non li espongono loro per primi al cyberbullismo?

Sì. Molti genitori dedicano tanto tempo a scattare foto e girare video ai figli senza capire che devono farli crescere. C’è un bisogno di popolarità: si vuole far diventare famosi i figli o raccontare la loro storia. Addirittura alcuni genitori vendono prodotti online, mettendo in mezzo i figli, che quindi diventano un oggetto, senza essere consapevoli del rischio che vengano bersagliati. “Guardate come vesto mia figlia, come la trucco, che prodotti uso”, dicono. Ma l’immagine dei minori deve essere tutelata.

Come posso agire legalmente se scopro che mio figlio è vittima di cyberbullismo, o se è lui a commettere cyberbullismo?

Un genitore può agire in diversi modi. A scuola c’è il referente per il bullismo e il cyberbullismo, e se l’episodio di bullismo è avvenuto in età infantile o adolescenziale, la scuola rimane un punto di riferimento. Nei casi più gravi ci si può rivolgere alla Polizia Postale, presente in tutte le città, che si occupa della sicurezza online. Purtroppo tanti casi di cyberbullismo non vengono denunciati perché i genitori delle vittime non sanno a chi rivolgersi o hanno paura a ricorrere alla Polizia Postale. Di conseguenza, gli autori della violenza non vengono sanzionati.

L’ultimo caso di cyberbullismo che avete trattato?

Qualche giorno fa si è rivolta a noi una ragazza adolescente bersagliata e presa di mira dai compagni di scuola con commenti offensivi perché bella. Stiamo notando tanta invidia e gelosia, soprattutto al femminile, tra le nuove generazioni. Le vittime, solo perché sono di bella apparenza o hanno una vita considerata bella, diventano preda di insulti e critiche, e iniziano a non mangiare più, a non voler più andare a scuola, a soffrire. Su Instagram ricevono le cosiddette “frecciatine” – così le chiamano i ragazzi – che magari hanno un doppio significato, malizioso. Il fatto di essere attaccati pubblicamente può fare ancora più male.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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