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13 Febbraio 2024
18:00

Dal linguaggio della sofferenza al vaguebooking, ecco come i social scrivono il nuovo vocabolario degli adolescenti

Gli adolescenti rimangono connessi in rete con una media di 7 ore giornaliere. Questo ha un forte impatto sul loro modo di relazionarsi e di comunciare. Usano un linguaggio vago, che rimanda alla sofferenza per attirare attenzioni e cercare consensi dal momento che dietro a quello schermo, nonostante il numero di followers sono soli. Ne abbiamo parlato con la psicologa e psicoterapeuta Martina Migliore.

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Dal linguaggio della sofferenza al vaguebooking, ecco come i social scrivono il nuovo vocabolario degli adolescenti
Intervista alla Dott.ssa Martina Migliore
Psicologa e pscioterapueuta specializzata in terapia cognitivo-comportamentale e direttrice della formazione e dello sviluppo di Serenis.
Adolescenti e social

Gli adolescenti trascorrono in media 7 ore al giorno online. No, non è l'ennesimo slogan per spaventare genitori e ragazzi riguardo l'uso smodato di internet, ma un dato di un fatto. I ragazzi trascorrono molto tempo online e questo tempo, speso davanti a uno schermo e non nel tentativo di creare relazioni "dal vivo", ha un enorme impatto sul loro modo di comunicare.

L'iperconnessione degli adolescenti e dei preadolescenti è uno strascico del lockdown che abbiamo vissuto a seguito della pandemia, che ha velocizzato un fenomeno con il quale comunque avremmo dovuto fare i conti. Internet, social network, pc e cellulari sono strumenti preziosi se si hanno le giuste competenze per farne un uso consapevole.

La tendenza ad utilizzare sempre di più i dispositivi digitali, che non è solo dei ragazzi, come ci ha spiegato la psicologa e pscioterapueuta Martina Migliore Direttrice della Formazione e dello Sviluppo di Serenis, ma è propria anche degli adulti che possono stare meno davanti agli schermi solo perchè costretti dagli orari di lavoro, cambia il modo di comunicare dei ragazzi.

Cambia il loro modo di intessere relazioni, di parlare, con un lessico sempre più scarno perché fortemente sostituito da meme ed emoticon, e persino quello di amare. Termini come vaguebooking e linguaggio digitale della sofferenza sono espressioni con le quali avremo sempre più a che fare e che la dottoressa ci ha spiegato nel dettaglio.

«Non serve spaventare adolescenti e genitori parlando di rischi, conosce i pericoli di un fenomeno dal quale siamo dipendenti non riduce la dipendenza, serve essere consapevoli dell'esistenza di questi nuovi mezzi tecnologici e imparare ad usarli, in modo che non facciano danni».

Come si esprimono gli adolescenti sui social?

C’è una progressiva semplificazione del linguaggio. In alcuni casi danno vita ad una comunicazione più superficiale, ma superficiali non sono i contenuti, gli adolescenti sanno dare ad ogni emoji o meme un grande significato, come se avessero un nuovo dizionario da portare con sé.

Dunque i ragazzi non comunicano meno, ma nel comunicare danno molto di più per scontato. Una delle conseguenze di una comunicazione così simbolica è che ci si abitui nella vita reale ad meno a esprimere i propri stati emotivi. Capita infatti di ascoltare gli adolescenti o leggere i loro post e accorgersi che parlano quasi sempre in terza persona, anche quando raccontano una loro esperienza personale.  Simbolizzare sempre di più il linguaggio fa perdere l’abitudine di raccontarsi dunque la narrativa emotiva e personale e si dà per scontato ciò che l’altro comprende, questo perché si affida a un emoji un concetto anche molto complesso che è contestualizzato per come mi sento in quel momento.

Quindi l'uso smodato di social network porta i giovani a mutare il loro modo di parlare o scrivere?

Io ritengo che sia molto importante non generalizzare, ci sono molti adolescenti che hanno un livello di cultura altissimo e sanno comunicare altrettanto bene. Però la tendenza a cui può portare l’uso smodato dei social è quella dell’utilizzo di un linguaggio sempre più povero.

Questo perché non è facile cambiare il proprio registro linguistico a seconda delle situazioni, e se si scrive molto poco online, si verifica una una sorta di desertificazione del linguaggio anche offline.

Non voglio parlare di un peggioramento della lingua che si contrappone a un "prima" da guardare con nostalgia perché quando non c'erano i social gli adolescenti comunicavano meglio, ma di una trasformazione, che come tale ha dei rischi. Tra questi pericoli la povertà nella narrazione personale e nella gestione dei rapporti con l’altro è quello più grande, perché poi per i ragazzi diventa difficile confrontarsi e riuscire a parlare di sé.

Cos’è il linguaggio digitale della sofferenza?

Ormai siamo abituati a scrivere post che sono un po’ delle vetrine e come tali devono colpire, così che gli utenti si soffermino a guardarle. Il social diventa un mezzo con cui comunicare il proprio stato d’animo e per farlo ci si avvale di una modalità comunicativa che faccia breccia su chi li legge, proprio il linguaggio della sofferenza.

Per fare un esempio di questa modalità comunicativa possiamo pensare a quelle foto scattate in sala d'aspetto all'ospedale, che gòi adolescenti postano online scrivendo come didascalia "Oggi va così". Magari si trovano lì per esami di routine o per accompagnare una persona cara, ma questa descrizione così vaga scatena la preoccupazione dei followers e una pioggia di commenti, in cui tutti chiedono spiegazioni.

Comunicare in questo modo significa manifestare una volontà di attrarre le attenzioni, atteggiamento comprensibile dal momento che oggi gran parte della vita si svolge sui social, ma che poi si manifesta in una tendenza ad utilizzare anche nel linguaggio comune espressioni come "mai una gioia".

C'è da dire però che la tendenza alla drammatizzazione non è nuova per l'essere umano, la nostra mente è naturalmente portata a farci pensare soprattutto a ciò che potrebbe andar male, ma sui social si tende a dare molto spazio a questo meccanismo. Così facendo il linguaggio della sofferenza diventa un modo per attirare consensi e impoverisce ancora di più il linguaggio dei teenagers nel raccontarsi.

Relazionarsi in rete tramite messaggi, può portare i ragazzi a non sapersi più relazionare dal vivo?

Le restrizioni che abbiamo dovuto rispettare a causa del Covid-19 hanno fortemente accentuato questa difficoltà comunicativa. Se pensiamo a tutti quei bambini che durante il lockdown stavano vivendo l’adolescenza o la preadolescenza, momenti fondamentali per imparare i modi per relazionarsi e per confliggere, capiamo anche come ora una delle richieste che più ci arrivano in clinica riguardano l'assertività: ossia la difficoltà di dire la propria senza farsi sopraffare.

Perché quando si hanno comunicazioni dal vivo con altre persone, o semplici telefonate, è importante sapersi raccontare e relazionale con flessibilità. Se si è abituati solo a scrivere post e a mandare messaggi per parlare di sé, non si impara a conoscere il tempo diverso che si ha a disposizione quando ci si relaziona dal vivo. Dunque potrebbe accadere che non ci si sappia più relazionare dal vivo, proprio per questo tutti, adolescenti e adulti, anche nei contesti sociali, sono sempre con il telefono in mano.

Cos’è il vaguebooking? E perché i giovani lo mettono in atto in rete?

Con vaguebooking si intende proprio il postare o dare delle informazioni pubbliche di sè che siano incomplete e volutamente allusive, tendono ad essere anche drammatiche e poco felici. Questo meccanismo ha lo scopo di richiamare attenzioni, dal momento che pur essendo pieno di contatti e followers, siamo sempre soli davanti a uno schermo.

L’iperconnessione online può portare i giovani a non essere più connessi tra loro nella vita reale?

Se questo sia un rischio o una trasformazione di cui dovremo rendere conto perché sta avvenendo, rimane un punto interrogativo. Dobbiamo capire che ci sono dei nuovi strumenti, i quali implicano una serie di cambiamenti nel modo di comunicare e di vivere che devono essere inseriti in un nuovo modo di esistere. Se si parla sempre più in differita, tramite messaggi o post, si tende a trasformare il linguaggio in simboli e si ha la tendenza a non ricercare le relazioni effettive.

Il linguaggio dei social si sta facendo sempre più violento, come mai? E che implicazioni può avere sui più giovani?

Basta pensare alle modalità di combattimento tra esseri umani, se un tempo gli uomini preistorici si affrontavano dal vivo con la clava, oggi la guerra si è fortemente deumanizzante, perché vittima e carnefice si sono allontanati sempre di più. Oggi basta spingere un pulsante in un posto per dare vita a una strage a migliaia di km di distanza.
Questo cambiamento fa sì che si senta sempre meno il peso delle proprie azioni e che si capiscano sempre meno i segnali che arrivano dall’altro. Lo stesso avviene sui social, che se da un lato permettono di rimanere in contatto con persone lontane, dall'altro aumentano quelle distanze, facendo sì che non si percepiscano i rischi e le conseguenze di un linguaggio violento e polarizzante.

I genitori di questi ragazzi iperconnessi sanno ancora comunicare con loro? Oppure devono trovare nuove strategie per farlo?

Prima di tutto la genitorialità oggi è diventata molto complessa, anche a causa di internet e dei social network. Sembra che ci sia un estremo bisogno di confrontarsi con il parere di altre persone, e se da un lato internet fornisce moltissime informazioni, dall'altro crea confusione e incapacità di individuare le fake-news. Questo alimenta l’ansia al posto di calmarla, rendendo i genitori angosciati e ansiosi per i figli.

Uno dei consigli che mi capita di dare più spesso è di imparare ad osservare i propri figli, prima di chiedere agli esperti se hanno a disposizione un manuale che non esiste.

Con un ragazzo adolescente comunicare diventa estremamente difficile se non è stato fatto prima perché l’adolescenza serve per svincolarsi dai genitori.

Un'altra cosa che complica tutto nella comunicazione tra genitori e figli è l’uso dei social da parte degli adulti. I grandi non fanno lo stesso uso del cellulare dei figli solo perché non hanno il loro stesso tempo lavorando, ma altrimenti lo farebbero. Una recente ricerca dimostra che nella fascia d'età tra i 18 e i 65 anni, vi è una media di almeno 1 ora e mezza al giorno sui social. Quindi poi i genitori si lamentano dell'iperconnesione dei figli ma sono i primi ad essere iperconnesi e i bimbi se ne rendono conto.

Per comunicare con i ragazzi è necessario mettersi nella condizione per farlo. Bisogna saper parlare senza pretendere di sapere cosa accade nella loro testa, via libera a domande come “come stai?”, “come ti senti” e “io sono qui”, invece che  “come è andata a scuola?”, “che hai fatto?”. Che sono tutte richieste legate alla performance, anche se non sembra.

Per quanto riguarda i social invece, bisognerebbe anche imparare a chiedere il perché ai nostri figli, di tutte quelle ore sugli schermi. A me è capitato di chiedere a mio figlio di 11 anni e mezzo perché guarda i video di persone che commentano altre persone. E lui mi ha risposto "perché mi tengono compagnia”. I bambini e spesso anche i ragazzi non l’hanno ancora recuperata la leva di socialità dopo il covid, soprattutto nelle grandi città, vengono portati da una parte all’altra senza riuscire a creare legami, per questo è importante imparare a parlare con loro prima che sia tardi.

Servirebbe un’alfabetizzazione al linguaggio dei social per aiutare i ragazzi ad evitarne i rischi?

Sì, ma senza parlare di rischi, perché questi ragazzi leggono ovunque la parola cyberbullismo, ma la verità è che quando si è particolarmente attaccati a uno strumento e si sente il continuo bisogno di utilizzarlo, sentir parlare di rischi e pericoli non ne attenua il bisogno, pensiamo alle dipendenze dal gioco, da sostanze o dal cibo.

Io proporrei un’alfabetizzazione per istruire i ragazzi su cosa c'è dietro ala simbolizzazione, capire come siamo arrivati a preferire le emoji alle parole e forse potrebbero scriverlo proprio loro questo nuovo dizionario.

Il sexting può considerarsi un nuovo linguaggio d’amore dei ragazzi? Quali sono i rischi anche a livello psicologico?

Il sexting è sempre esistito anche tra gli adulti, fa parte delle pratiche sessuali anche sane, basta fare un giro per le dating app, è qualcosa che io non demonizzerei, la cosa importante è, esattamente come tutte le pratiche a sfondo sessuale è che ci sia consapevolezza da entrambe le parti e consapevolezza di come ci si sente. Ecco perché non lo contestualizzerei nel presente, questo può valere in ogni epoca e per qualsiasi condotta che ha uno sfondo sessuale. È più importante istruire i ragazzi a capire come si sentono.

Meta ha introdotto nuove limitazioni per gli adolescenti che oscureranno loro argomenti come i disturbi alimentari o l’autolesionismo?(e se invece cercheranno loro questi argomenti saranno indirizzati ad apposite pagine di persone che possono aiutarli) Sono corretti secondo voi?

Qui la radice è sempre umana, è la stessa cosa che ci fa fermare davanti a un incidente, ci sono dei contenuti che suscitano in noi un'attrazione morbosa anche se non ci riguardano, penso che ognuno di noi almeno una volta nella vita si sia soffermato su immagini disturbanti, non perché lo volesse fare, non solo gli adolescenti, tutta questa attenzione che abbiamo sui giovani va indirizzata bene. L’ascolto è la cosa principale se un ragazzo si informa su una condotta autolesionistica, deve poterlo fare anche perchè magari lo fa perché conosce un amico che sta passando un momento difficile, se viene reindirizzato a fonti autorevoli è ovviamente una bella cosa, ma ho dei dubbi che si riesca.

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Sophia Crotti
Redattrice
Credo nella bontà e nella debolezza, ho imparato a indagare per cogliere sempre la verità. Mi piace il rosa, la musica italiana e ridere di gusto anche se mi commuove tutto. Amo scrivere da quando sono piccola e non ho mai smesso, tra i banchi di Lettere prima e tra quelli di Editoria e Giornalismo, poi. Conservo gelosamente i miei occhi da bambina, che indosso mentre scrivo fiduciosa che un giorno tutte le famiglie avranno gli stessi diritti, perché solo l’amore (e concedersi qualche errore) è l’ingrediente fondamentale per essere dei buoni genitori.
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