Tante volte vedendo un bambino molto vivace, con temperamento difficile da gestire, l’abbiamo erroneamente definitivo “iperattivo”, nonostante questo termine, in sé, indichi il comportamento di un bambino, senza che sia vi siano compromissioni neurobiologiche. Diverso è il caso del Disturbo da Deficit di Attenzione\Iperattività (il cui acronimo è DDAI in italiano e ADHD in inglese, che sta per Attention Deficit Hyperactivity Disorder), un disordine dello sviluppo neuro psichico che colpisce una percentuale tra il 2% ed il 6% della popolazione infantile. I sintomi che il piccolo con ADHD manifesta nel tempo (in genere prima dei 7 anni) sono irrequietezza fisica, incapacità di prestare attenzione e comportamenti impulsivi, ossia, come riporta il DSM-V, «una situazione o stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini di pari livello di sviluppo».
Sintomi
Il manuale diagnostico DSM-V stabilisce che per poter porre diagnosi di DDAI un bambino deve presentare almeno sei sintomi in almeno due contesti (ad esempio casa e scuola, casa e sport, eccetera) per un minimo di 6 mesi. Inoltre, tali manifestazioni devono essere presenti prima dei 7 anni e compromettere la riuscita scolastica e\o sociale.
Oltre a disattenzione, iperattività e impulsività, vengono descritti altri stintomi quali impazienza, irascibilità, difficoltà a concentrarsi, estrema distrazione, eccessiva vivacità, difficoltà nell’ascolto, difficoltà di apprendimento.
La diversa manifestazione dei sintomi, combinati tra loro, porta quindi a tre possibili profili di DDAI:
- Manifestazione combinata, caratterizzata da disattenzione e impulsività\iperattività;
- Manifestazione con disattenzione predominante, con sintomi legati per lo più alla disattenzione, tanto che spesso viene sottovalutata;
- Manifestazione con iperattività\impulsività predominanti, con sintomi di tipo iperattivo, ipercinetico e di scarso controllo inibitorio predominanti.
Importante notare inoltre che spesso (stime arrivano a parlare del 72% dei casi) il DDAI si manifesta in comorbilità ad altri disturbi del neurosviluppo tra cui prevalentemente autismo, dislessia, disturbo oppositivo-provocatorio, disturbi d’ansia e del sonno.
Al di là tuttavia delle codiagnosi, importante osservare non solo il comportamento manifesto ma ciò che può – o è già – derivato da questo: in particolare è bene che l’adulto sia attento alle difficoltà emotive e sociali che il bambino può vivere, spesso infatti la qualità delle loro interazioni non è adeguata, l’espressione affettiva risulta faticosa e con i pari può esserci ritiro sociale e\ò esclusione dal gruppo.
Cause
Come gran parte dei disturbi del neurosviluppo, il DDAI sembra avere origini genetiche, neurobiologiche e ambientali. Recenti studi evidenziano l’importanza dei fattori genetici, tanto che oltre ad esserci famigliarità nel disturbo (un bambino con DDAI ha una probabilità 4 volte maggiore di avere un parente con la stessa difficoltà) ed una prevalenza tre volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Diverse ricerche hanno trovato alterazioni del gene responsabile della produzione del neurotrasmettitore dopamina, alla base di processi cognitivi quali attenzione e memoria.
Tra i fattori ambientali sono stati identificati invece assunzione di alcool o droga in gravidanza, complicanze durante il parto, esposizione eccessiva a schermi: ciò non porta all’insorgenza diretta del DDAI ma potrebbe modificare l’espressione dei geni.
Per cause neurobiologiche intendiamo invece anomalie strutturali del cervello, in particolare nella parte frontale addetta alla regolazione di processi cognitivi quali pianificazione, controllo inibitorio e attenzione, del circuito limbico dedicato al controllo emozionale e dei gangli che regolano la comunicazione nel cervello.
Diagnosi
Il DDAI viene diagnosticato dal Neuropsichiatra Infantile, solitamente dopo una valutazione in èquipe con psicologo e Terapista della Neuro e Psicomotricità (TNPEE).
L’iter diagnostico prevede:
- Raccolta di informazioni circa il comportamento del bambino nei contesti di vita (casa, scuola, sport) tramite colloqui e questionari
- Esame neurologico obbiettivo eseguito dal medico neuropsichiatra che valuta riflessi, forza, coordinazione…
- Valutazione tramite test
- Osservazione del comportamento e del gioco, del profilo comportamentale del bambino, delle capacità di autoregolazione e delle abilità cognitive
Trattamento
La letteratura suggerisce un intervento multimodale, cioè che implichi il coinvolgimento di casa, scuola e bambino stesso tramite interventi di terapia che possono essere di stampo differente.
Maggiori evidenze sembrano esserci per la terapia cognitivo-comportamentale (sebbene la ricerca nel campo riabilitativo sia ancora ampiamente da approfondire) e per il potenziamento delle singole funzioni neuropsicologiche deficitarie (pianificazione, memoria di lavoro, inibizione, attenzione, eccetera).
Da non sottovalutare infine il supporto emotivo-relazionale, reso spesso necessario dal sentirsi inadeguati, inefficaci e talvolta esclusi di questi bambini.
In Italia si tende ad essere restii, per lo più per fattori cultura di accettazione da parte della famiglia, all’intervento farmacologico, consigliato tuttavia dalle linee guida, integrato a quelli sopracitati.