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6 Maggio 2023
9:00

È caos pediatri, in Italia ne mancano 840 e 3.500 andranno in pensione entro il 2031

I pediatri in attività sono insufficienti e assistono fino a 1.100 bambini a testa. A lanciare l’allarme è Fondazione Gimbe che denuncia una situazione d’emergenza, in cui gli ingressi dei nuovi medici non sono abbastanza per colmare migliaia di pensionamenti in arrivo. Il Presidente: «Innalzare l’età pensionabile e aumentare il massimale servono solo a mettere “la polvere sotto il tappeto” e non a risolvere il grave problema della carenza dei pediatri».

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È caos pediatri, in Italia ne mancano 840 e 3.500 andranno in pensione entro il 2031
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I camici bianchi sono introvabili e quelli in servizio sono oberati di lavoro, seguendo fino a 1.100 giovani pazienti a testa. Le prospettive future non sono più rosee, anzi: con il trend attuale, la carenza di pediatri di libera scelta è destinata ad acuirsi ulteriormente, con ripercussioni sulla salute dei più piccoli. È il drammatico quadro delineato da Fondazione Gimbe, che sottolinea le mancanze di una sanità pubblica che arranca, con cui quotidianamente si scontrano migliaia di genitori in Italia. I numeri sono eloquenti: mancano 840 pediatri e i medici in attività hanno in cura in media quasi 100 bambini in più rispetto al tetto massimo di 800, con picchi di oltre 1.000 giovani assistiti in Piemonte, Toscana e Provincia di Bolzano. I nodi apparentemente inestricabili? Tra i vari, spiccano il pensionamento massivo di pediatri alle porte (entro il 2031 sono previste 3.500 uscite di scena di camici bianchi) e gli ingressi insufficienti di specializzandi e neomedici, che entrando in servizio colmerebbero solo per il 50% i posti vacanti. «L’allarme sulla carenza dei PLS – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione GIMBE – oggi è lanciato da genitori di tutte le Regioni, da Nord a Sud con narrative dove s’intrecciano questioni burocratiche, mancanza di risposte da parte delle ASL, pediatri con numeri esorbitanti di assistiti, sino all’impossibilità di esercitare il diritto d’iscrivere i propri figli al pediatra di famiglia con potenziali rischi per la salute, in particolare dei più piccoli e dei più fragili».

Sta diventando un luogo comune quello dei pediatri introvabili e schiacciati da una burocrazia cavillosa e da un numero di assistiti che sfora di tanto i limiti previsti dalla legge. Una ovvietà a cui ci siamo abituati che sta duramente pesando sul sistema sanitario, sui medici che quotidianamente annaspano fra decine di visite pediatriche e documenti da compilare, e sulle famiglie, che si ritrovano senza l’assistenza sanitaria a cui hanno diritto. È una lenta e inesorabile discesa negli abissi di cui non si scorge ancora la fine: per ora si sopravvive con i medici che resistono, domani si vedrà.

L’analisi di fondazione Gimbe ha messo in luce le criticità alla base dell’emergenza di PLS:

Massimale di assistiti

È – o, meglio, sarebbe – fissato ad 800 il numero massimo di giovani pazienti che un pediatra di libera scelta potrebbe assistere, tuttavia varie Regioni sforano abbondantemente il limite. La media nazionale è di 896 assistiti per medico e le Regioni che non superano la soglia di 800 sono solo quattro: Umbria (784), Sardegna (788), Sicilia (792) e Molise (798). Territori come il Piemonte (1.092), la Provincia Autonoma di Bolzano (1.060) e la Toscana (1.057) contano addirittura più di mille assistiti per pediatra.

Dal 2019 al 2021 i pediatri sono diminuiti del 5,5%

Perché il più delle Regioni sfora il massimale? Per indisponibilità di altri pediatri del territorio, per fratelli di bambini già in carico ad un pediatra, per scelte temporanee (come extracomunitari senza permesso di soggiorno, non residenti). «In tal senso – commenta il Presidente – le politiche sindacali locali hanno sempre mirato ad innalzare il massimale (e i compensi) dei PLS già in attività, piuttosto che favorire l’inserimento di nuovi colleghi».

Pensionamenti e nuovi pediatri

Se, da un lato, ci si aspetta, da qui ai prossimi otto anni, un pensionamento massivo di pediatri, dall’altro non si hanno i numeri di neolaureati indispensabili per compensare le perdite. La stime prevedono 3.500 pediatri in uscita entro il 2031, tuttavia il numero dei giovani formati o avviati alla formazione specialistica coprirebbe solo il 50% dei posti vacanti. «Alla carenza di pediatri di libera scelta – afferma Nino Cartabellotta Presidente della Fondazione Gimbe – si aggiunge il mancato ricambio generazionale che con i pensionamenti dei prossimi anni rischia di creare un vero e proprio “baratro” dell’assistenza pediatrica».

Fasce di età

Per legge, i piccoli devono essere assistiti da un pediatra fino almeno ai 6 anni e fino al massimo ai 14 anni, tuttavia già dopo il sesto compleanno i genitori sono liberi di scegliere di affidare il figlio alle cure di un medico di base. Eppure, nella fascia d’età 6-14 sono pochi i giovani seguiti da medici di medicina generale. «Queste regole – spiega Cartabellotta – se da un lato contrastano con la definizione di PLS come medico preposto alla tutela della salute di bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni, dall’altro rappresentano un enorme ostacolo per un’accurata programmazione del fabbisogno di PLS». Si stima, infatti, che oltre il 62% della fascia 0-13 anni potrebbe iscriversi ad un medico di di base in base alle preferenze dei genitori, un’opzione che, se assecondata da almeno una parte degli aventi diritto, alleggerirebbe il carico dei pediatri.

Zone carenti

La Regione ha l’incarico di individuare le cosiddette “zone carenti” del territorio, ovvero quelle aree in cui occorre urgentemente colmare un fabbisogno assistenziale di pediatri, tuttavia la valutazione avviene considerando esclusivamente la fascia d’età 0-6 anni, escludendo la fetta preponderante dei giovani assistiti: quella 6-13 anni.

«La carenza di PLS – conclude Cartabellotta – deriva da errori di programmazione del fabbisogno, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e borse di studio per la scuola di specializzazione. Ma rimane fortemente condizionata sia da miopie politiche sindacali, sia da variabili locali non sempre prevedibili che rendono difficile calcolarne il fabbisogno. In tal senso servono un’adeguata programmazione, modelli organizzativi che puntino sul lavoro di team, grazie anche alle Case di comunità e alla telemedicina, oltre che accordi sindacali in linea con i reali bisogni della popolazione».

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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