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23 Marzo 2024
15:00

È vero che le nuove generazioni non sanno più scrivere?

È vero che "i giovani oggi non sanno più scrivere"? Il corsivo è stato parzialmente sostituito dallo stampatello ed è evidente l’ingerenza dei dispositivi elettronici sui banchi e in aula studio. La scrittura a mano aiuta lo sviluppo cerebrale e va incoraggiata, tuttavia promuoverla non significa demonizzare pc e tablet.

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È vero che le nuove generazioni non sanno più scrivere?
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Abbiamo probabilmente perso il conto delle volte in cui abbiamo sentito genitori e insegnanti lamentarsi della pessima scrittura di figli e scolari. Temi di italiano che si trasformano in bagni di sangue (l’inchiostro rosso della penna del docente invade le pagine), ortografia e sintassi sgangherate, grafia meno comprensibile di quella delle ricette del medico di base, corsivo bellamente spodestato dallo stampatello, punteggiatura scaraventata in mezzo ai periodi senza un senso logico (se non quello di scambiare il dettato per il gioco di “unisci i puntini”). Alle denunce di mamme, papà e professori si sono aggiunti i risultati di sondaggi e studi – che hanno indagato il presunto tramonto della scrittura manuale (almeno quella in corsivo) e i suoi benefici – e le bacchettate delle istituzioni. L’Accademia della Crusca è recentemente intervenuta sulla questione con un’apologia del corsivo, drammaticamente rimpiazzato dallo stampatello – «che nasconde lo stile», sottolinea la Crusca. Ma quindi è vero che le nuove generazioni non sono più in grado di scrivere (in un italiano corretto, in corsivo e a mano)?

La questione era stata al centro del dibattito pubblico per qualche giorno lo scorso dicembre dopo la pubblicazione degli esiti del progetto Univers-Ita, coordinato da Nicola Grandi, ordinario di Linguistica generale a Bologna. Dall’indagine, che aveva coinvolto un campione rappresentativo di oltre 2100 studenti di 45 Atenei italiani, era emerso come l’abitudine alla scrittura informale – stile messaggi su WhatsApp – avesse peggiorato quella formale. Negli elaborati degli universitari erano stati trovati in media venti errori, metà dei quali legati alla punteggiatura.

Non è una novità che l’avvento del digitale e quindi l’arrivo dei dispositivi elettronici – tablet, pc e smartphone – sui banchi di scuola abbiano giocato un ruolo di primo piano nella perdita di appeal della scrittura manuale. Scrivere sulla tastiera è più veloce, e i libri conservati nella memoria interna del tablet pesano di meno dei tomi e volumi accatastati nello zaino. Tuttavia, scrivere a mano impugnando una biro e tracciando le lettere in fila indiana sul foglio presenta dei benefici per lo sviluppo cognitivo, specie durante l’infanzia, poiché accende le aree del cervello del pensiero, del linguaggio, della memoria, della manualità. La scrittura corsiva, fra l’altro, funziona pure come uno strumento di apprendimento, come riporta uno studio pubblicato sull’autorevole rivista Frontiers.

«È dimostrato  – ha sottolineano Francesco Sabatini, linguista e presidente onorario dell’Accademia della Crusca – che legare l’elemento della pronuncia, il fonema, ad un movimento grafico diverso da lettera a lettera, crea un rapporto tra scrittura e suono che è originale e insostituibile, specie a confronto con la tastiera, sulla quale qualunque segno grafico corrisponde alla stessa pressione».

Justin Parmenter, insegnante di arti linguistiche in una seconda media della Carolina del Nord, si è interrogato sul perché oggi tanti giovani non riescano a scrivere bene, spiegando al Washington Post che «la tecnologia continua a influenzare anche i nostri modelli di comunicazione, in alcuni casi erodendo le forme necessarie al discorso accademico e sostituendolo con emoji e linguaggio testuale». Parmenter ha imputato la causa principale della perdita di qualità nella scrittura degli studenti agli approcci didattici sbagliati e alla scarsità di tempo dedicato alla scrittura in classe.

Uno dei tasti più dolenti è il declino del corsivo fra gli studenti adolescenti, a cui viene preferito lo stampatello. Nel 2010 negli Stati Uniti il corsivo è stato escluso dai nuovi standard nazionali Common Core per l’istruzione primaria e secondaria, suscitando clamore nell’opinione pubblica. In un articolo pubblicato sulla rivista americana The Atlantic nel settembre 2022 una docente universitaria, Drew Gilpin Faust, raccontava di aver scoperto, incredula, che almeno due terzi della sua classe non era in grado di leggere e scrivere in corsivo. Nonostante il corsivo rappresenti una «connessione chiave tra mano e cervello, una forma essenziale di autodisciplina e un’espressione fondamentale di identità» non è irrealistico, ipotizzava Faust, che «in futuro il corsivo dovrà essere insegnato agli studiosi come lo è oggi la scrittura da segretaria elisabettiana [forma di scrittura in lingua inglese del XV-XVII secolo, ndr] o la paleografia».

Digitare messaggi sullo smartphone implica fra l’altro l’uso del correttore automatico che, come evidenzia la Crusca, riduce la consapevolezza ortografica: la macchina limita il coinvolgimento dell’uomo, che anche se scrive “scenza” senza “i” viene immediatamente corretto dal dispositivo, che lo salva dalla figuraccia. Il “copia e incolla” invece ostacola una «linea argomentativi coerente», proponendo un testo che è il frutto di un bricolage con materiale riciclato e illecitamente sottratto al proprietario.

I risultati di PISA 2022 – un’indagine triennale sugli studenti quindicenni a livello mondiale – hanno mostrato un drastico calo nelle prestazioni scolastiche (specie in lettura e scienze) nei Paesi Ocse. Il declino, si legge nel rapporto finale, è parzialmente dettato da uno «shock negativo» dovuto alla pandemia, anche se il trend al ribasso nelle competenze degli scolari era già in atto prima del Covid-19 e della didattica a distanza.

Promuovere la scrittura manuale, comunque, non significa demonizzare i dispositivi elettronici. Tablet e pc sono preziosi e utili strumenti di supporto e sostegno nella didattica e nello studio, e il loro ingresso nelle scuole e nelle Università non è senza dubbio l’unica causa del cambiamento (o meglio, dell’evoluzione) della scrittura fra i più giovani, che, come qualsiasi mutamento, è prodotto da una combinazione di fattori sociali.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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