La violenza di genere è anche una questione di educazione. Un’educazione alla non violenza in cui genitori, insegnanti, allenatori, maestri, catechisti – in una parola adulti – in quanto guide sono chiamati a giocare un ruolo di primo piano. Il concetto di parità e il rispetto verso l’altro sesso, infatti, vanno imparati e coltivati dall’infanzia. Assicurarsi che avvenga è una responsabilità degli adulti, civica e morale.
Educare alla non violenza di genere è un lavoro che inizia nei primi anni di vita del piccolo. Da subito lui comincerà a creare relazioni, che per essere positive e paritarie devono nascere e crescere sotto l’ala di un adulto, che gli insegni l’esercizio della condivisione, l’abitudine dell’ascolto reciproco, l’empatia, il rispetto, la gentilezza, la non sopraffazione dell’altro.
No alla violenza fisica: l’attenzione ai gesti
Una civilizzazione alla non discriminazione di genere che passa, innanzitutto, attraverso i gesti. Nei primi anni di vita, quando i piccoli non sono in grado di parlare e, quindi, di capire il linguaggio verbale degli adulti, sono i gesti a permettere a mamme e papà di comunicare con loro.
Allattamento, sonno sul petto, coccole e carezze. Il neonato cresce e impara, nei suoi primi mesi di vita, grazie al contatto pelle a pelle. E guardando. Apprende guardando l’adulto, imitandolo: l’imitazione è una forma di apprendimento e, quindi, di educazione per i più piccoli, che iniziano, giorno dopo giorno, ad incamerare i gesti e le parole degli adulti, e a riprodurli.
Un proverbio recita che: «le donne non si toccano neanche con un fiore». Eccola, l’importanza dell’educazione al gesto, che passa anche attraverso l’imitazione. Educare al gesto è una responsabilità di mamme e papà, nonni, zii, fratelli e sorelle, che devono essere i primi a non toccare le donne neanche con un fiore e ad essere consapevoli del loro ruolo di modelli a cui figli, nipoti e fratelli guardano durante la crescita.
No alla violenza verbale: l’attenzione alle parole
Il rispetto per l’altro sesso lo si impara, oltre che a gesti, a parole.
La violenza di genere e la non inclusività, infatti, passano anche da un articolo non adeguatamente declinato, dall’uso di vocaboli riprovevoli, da frasi pronunciate con leggerezza, dai “ma” che suggeriscono la persistenza di pregiudizi (“Non voglio giustificarli, ma quella ragazza…”). Dalla “gonna troppo corta”, dal “gomito alzato”, dallo “sguardo provocante”. Parole che trasmettono un messaggio totalmente sbagliato, che lascia spazio a terrificanti discolpe, a raccapriccianti scusanti, a insulse spiegazioni. Quando da spiegare non c’è nulla, se non che non esiste giustificazione alla violenza.
Proprio la scuola, il tempio delle parole, è una delle grandi protagoniste sul palcoscenico educativo dei più piccoli. Lì dentro, tra le mura del sapere, i docenti sono chiamati a trasmettere ai giovani scolari il senso e il valore dell’articolo 3 della Costituzione, che recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Per sollecitare le scuole ad approfondire in classe i valori e i principi di una corretta “educazione al rispetto”, nel 2017 l’allora Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in seguito all’approvazione della legge 107/2015, aveva rilasciato delle Linee guida per l’educazione al rispetto nelle scuole come strumento per prevenire le forme di discriminazione come la violenza di genere. Tra le Linee guida, si legge un invito ai docenti a:
- Educare alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze
- Fare attenzione all’uso del femminile e del maschile nel linguaggio quotidiano: è importante rispettare l’accordo di genere e illustrare agli studenti il significato e l’uso dei nuovi termini femminili che indicano ruoli istituzionali e professioni di prestigio, come architetta, assessora, avvocata, …
- Impegnarsi nella prevenzione della violenza contro le donne: «la scuola – si legge – in sintonia con la famiglia, grazie al patto di corresponsabilità e agli altri strumenti atti ad assicurare il giusto rapporto scuola-famiglia, è chiamata a proporre e ad avviare le studentesse e gli studenti, in modo adeguato all’età, a una riflessione sulla qualità dei rapporti uomo/donna e sul rispetto delle differenze»
Secondo Save The Children, il lavoro di sensibilizzazione e prevenzione durante l’infanzia è essenziale per contrastare la violenza maschile sulle donne. Un impegno che si snoda attraverso la riflessione «su se stessi e sul rapporto con gli altri» e lo sviluppo di «capacità di costruire relazioni basate sui principi di parità, equità, rispetto, inclusività, nel riconoscimento e valorizzazione delle differenze» attraverso «percorsi educativi volti all’esplorazione, all’identificazione e alla messa in discussione dei modelli di relazione convenzionale, degli stereotipi di genere e dei meccanismi socio-culturali di minimizzazione e razionalizzazione della violenza».
In sostanza, per capire quel che non va bene, occorre stigmatizzarlo e, affinché sia stigmatizzato, occorre che qualcuno si impegni a spiegare ai giovani perché una parola o un gesto è abominevole e che, soprattutto, non lo normalizzi, non lo minimizzi, non lo giustifichi, non “lasci passare”.