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23 Novembre 2023
12:46

“Educare alle relazioni”, tutti i dubbi sul piano del Governo per contrastare la violenza sulle donne

Lezioni facoltative, programma poco chiaro e un coordinatore già nell'occhio del ciclone: il progetto presentato in pompa magna dal Governo mette sul piatto 15 milioni di euro per parlare di relazioni e affettività ai ragazzi delle superiori ma sono diversi i punti interrogativi sull'effettiva incisività del provvedimento.

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“Educare alle relazioni”, tutti i dubbi sul piano del Governo per contrastare la violenza sulle donne
"Educare alle relazioni", tutti i dubbi sul piano del Governo

In un Paese ancora scosso dalla tragica vicenda di Vigonovo e dall'ondata di riflessioni e prese di posizioni che ne sono scaturite, il Governo ha elaborato un nuovo progetto che dovrebbe introdurre nelle scuole italiane un nuovo piano di iniziative volte all'insegnamento di un'affettività più consapevole e a combattere la violenza sulle donne in ogni sua forma.

Il programma "Educare alle relazioni"  è stato presentato in Senato nella mattinata di mercoledì 22 novembre alla presenza di ben tre ministri: Eugenia Roccella, Giuseppe Valditara e Gennaro Sangiuliano, rispettivamente responsabili dei dicasteri della Famiglia, dell'Istruzione e della Cultura. Un segnale forte per dimostrare quanto il Governo si stia impegnando per contrastare il fenomeno della violenza di genere già a partire dall'educazione delle nuove generazioni.

Il Governo sembra puntare molto sull'iniziativa, ma il progetto sembra presentare delle lacune

Alla fine della presentazione tenutasi nella sala Koch di palazzo Madama però, l'ambizione suggerita dalle dichiarazioni e dagli annunci dei giorni precedenti ha immediatamente fatto posto a una serie di perplessità sull'effettiva efficacia di quanto confezionato dall'esecutivo.

Durante la descrizione del progetto infatti, il ministro Valditara ha sì messo sul piatto un'investimento di 15 milioni di euro provenienti Programma Operativo Nazionale (PON), ma le modalità con le quali questi soldi verranno utilizzate sono apparse piuttosto vaghe e, generalemente, poco incisive.

Cosa prevede il programma

Stando a quanto spiegato dallo stesso Valditara, l'organizzazione di "Educare alle relazioni" si strutturerà su moduli di 30 ore complessive che verranno affrontate in gruppi di discussione formati dalle classi studenti e i loro insegnanti. Ogni scuola che aderirà all'iniziativa dovrà quindi indicare un docente di riferimento che seguirà le diversi fasi del programma e alcuni professori il cui compito sarà quello di moderare i vari incontri.

Tali insegnanti – sempre secondo quanto spiegato dal Ministro – dovranno ricevere «un'adeguata formazione» sulla base di un protocollo elaborato con la collaborazione dell'Ordine degli Psicologi (di cui però non si granché).

Agli incontri potranno partecipare anche psicologi, esperti e non meglio precisati influencer e testimonial del mondo dello sport e dello spettacolo.

Al termine del percorso poi, ogni istituto dovrà stilare una relazione da inviare al Ministero dell'Istruzione in modo da individuare le migliori pratiche da adottare.

Ma a chi si rivolge esattamente questo piano? E soprattutto, di cosa si parlerà durante i gruppi di discussione?

I dubbi sull'iniziativa

Ciò che è stato presentato come un programma strutturato per intervenire su una piaga sociale, in realtà appare più come un progetto pilota di cui non si capisce bene la direzione finale.

Innanzitutto, come ribadito dallo stesso Ministro, il programma non comprenderà la totalità del sistema scolastico ma sarà facoltativo e riguarderà solo le scuole secondario di secondo grado.

"Educare alle relazioni" sarà dunque un'attività extracurricurale (non si è voluto aggiungere un'ora in più ai già intasatissimi orari scolastici) e rivolta solo ai ragazzi e alle ragazze delle superiori che frequenteranno istituti che sceglieranno di aderire all'iniziativa.

Non solo: prima di poter avviare il programma, i presidi dovranno anche incassare il consenso dei rappresentanti dei genitori. Un po' troppi paletti per un provvedimento che, stando alle intenzioni, dovrebbe contribuire a riformare le basi della convivenza civile e di un sano rapporto tra generi.

Perché poi aspettare che certi insegnamenti vengano impartiti solo alle superiori? Fornire valide indicazioni e spiegazioni già alle elementari (ovviamente con modalità e linguaggi adatti all'età) non risulterebbe più efficace nell'ottica di una formazione coerente e in grado di accompagnare la crescita dei nostri giovani?

Anche la durata del progetto non è apparsa molto chiara. Valditara ha parlato di 30 ore, ma non è stato detto come verranno distribuite durante l'anno.

Passando ai contenuti, è stato affermato che nelle classi gli studenti verrano portati riflettere sui propri atteggiamenti e, eventualmente, invitati a cambiare rotta su alcuni comportamenti sconvenienti. Significa tutto e significa nulla.

Se poi, come dichiarato sempre nel corso della presentazione, verrà fornito un focus anche sulle «conseguenze penali che i comportamenti impropri possono generare», allora il timore è che gli incontri si possano trasformare in pedanti lezioncine di educazione civica farcite solamente di buoni propositi e frasi stantie.

Certo, per ovviare a questo problema ci sarebbero i VIP e gli influencer, ma siamo proprio sicuri che affiancare psicologi ed esperti in materia a TikToker e gente dello spettacolo sia il modo corretto di veicolare messaggi così importanti? Il rischio di banalizzare e appiattire il dibattito è sempre dietro l'angolo.

Al collo dell'imbuto vi è poi la figura di riferimento scelta per coordinare quest'impianto formativo. Fin dalle prime ore della nomina infatti, quello di Alessandro Amadori è sembrato subito un nome quantomeno discutibile e poco in linea con i temi che avrebbe dovuto sviluppare.

Sessantatré anni, docente di psicologia all'Università Cattolica di Milano e consulente del Governo in quota Lega, Amadori non si è mai occupato professionalmente di violenza di genere anche se nel 202o ha pubblicato insieme a Cinzia Corvaglia un libro dal titolo La guerra dei sessi, dove le posizioni del professore in materia di uguaglianza di genere sono apparse piuttosto singolari.

Nel libro infatti Amadori non solo depotenziava la portata della violenza maschile all'interno delle dinamiche sociali («anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo») ma suggeriva anche una lettura simil-cospirazionista secondo la quale un gruppo di donne vendicative potrebbe presto o tardi rovesciare l'ordine attuale e sottomettere l'intero genere maschile.

«Ho solo sostenuto che anche da parte delle donne c’è una sfera di aggressività, che non è quella criminale dell’uomo, ma porta a valutazioni troppo rigide nei confronti dei maschi» si è difeso Amadori dopo il vespaio di polemiche agitatosi in seguito alla nomina di Valditara.

Il professore sarà sicuramente stato frainteso, ma è possibile che nella pletora di esperti, psicologi e psicoterapeuti presenti nel nostro Paese non si potesse scegliere qualcuno che non abbia paura di vedere le donne italiane trasformarsi in Amazzoni assetate di vendetta?

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Niccolò De Rosa
Redattore
Dagli studi umanistici all'esperienza editoriale, sempre con una penna in mano e quel pizzico d'ironia che aiuta a colorare la vita. In attesa di diventare grande, scrivo di piccoli e famiglia, convinto che solo partendo da ciò che saremo in grado di seminare potremo coltivare un mondo migliore per tutti.
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