A casa e a scuola i nostri bambini formano la loro personalità e si interfacciano a metodi educativi diversi. Gli insegnanti tra formazione di base e continua si aggiornano per studiare le tecniche più innovative affinché i piccoli imparino in maniera efficace e divertendosi.
Questo anche grazie alla pedagogia che nei secoli ha completamente cambiato il suo approccio ai bimbi. Se inizialmente i piccoli erano considerati totalmente in balia delle decisioni degli adulti, ad oggi chi si occupa della loro educazione deve essere consapevole che sta prendendo parte a un progetto di sviluppo e crescita di un soggetto in costruzione.
Ma la scuola è preparata ad accogliere sfide educative sempre nuove? E noi genitori dobbiamo affidarci all'istinto o essere preparati a sostenere i nostri bimbi nella crescita? Lo abbiamo chiesto alla professoressa di pedagogia generale e sociale dell'Università Cattolica di Piacenza, Elisabetta Musi.
Come si è evoluto negli anni l'approccio educativo della pedagogia al bambino?
La pedagogia studia l’educazione e quando si parla di educazione viene subito da pensare ai bambini, che ne sono stati e ne sono il soggetto principale, anche se non l’unico (esiste infatti anche l’educazione degli adulti).
Gli adulti educano i bambini e le bambine insegnando loro a conoscere la società in cui vivono, a comprenderne le regole e i meccanismi, a dare valore alla propria esistenza attraverso comportamenti e decisioni che hanno implicazioni pratiche ed etiche. In altre parole offrono le proprie risorse, per favorire lo sviluppo e la crescita di soggetti in costruzione, inevitabilmente vulnerabili. Ma non è sempre stato così.
La pedagogia nera: violenze fisiche e psicologiche
La stessa etimologia di bambino riferisce di un soggetto che “balbetta”, che non sa parlare, alla stregua del termine infanzia, che indica chi non ha parola. Così concepito il bambino è rimasto inascoltato per secoli e in balìa del potere degli adulti, esercitato anche sotto forma di minacce, intimidazioni, umiliazioni, punizioni (persino corporali), che hanno caratterizzato la cosiddetta “pedagogia nera” (K. Rutschky).
Un metodo di correzione e condizionamento precoce abbastanza diffuso e radicato nella nostra cultura e praticato spesso inconsapevolmente all’interno delle mura domestiche di generazione in generazione. È una realtà di abuso e di violenza sui bambini non solo di natura fisica o sessuale, ma anche psicologica ed emotiva, che non lascia tracce visibili. Per questo è difficile da individuare e di conseguenza da prevenire e curare.
Con l'Illuminismo vengono riconosciuti i diritti dei bambini
Alla fine del Settecento in Europa si iniziò a riservare all’infanzia una nuova attenzione: entrò in crisi l’idea che il bambino fosse un soggetto da redimere per lasciare spazio all’ipotesi che fosse piuttosto “buono” per natura e che la società fosse responsabile della sua edificazione o corruzione.
A partire dall’Illuminismo iniziò un lento cambiamento culturale nella considerazione dell’infanzia e dell’adolescenza che portò al riconoscimento dei diritti dei bambini e delle bambine sancito con la Convenzione ONU sui Diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata da tutti gli Stati del mondo, ad eccezione degli Stati Uniti.
Questo non significa che all’infanzia e all’adolescenza sia riservato il rispetto, l’attenzione e la tutela che la Convenzione afferma, basti pensare all’esposizione alla violenza, ai maltrattamenti (che accadono per lo più in famiglia), alle guerre, agli abusi, allo sfruttamento, alle tante forme di povertà educativa a cui sono soggetti bambini e bambine, ragazzi e ragazze.
Per questo non possiamo dire che le nuove generazioni siano al centro delle preoccupazioni dei grandi decisori politici, ma almeno abbiamo guadagnato consapevolezza e strumenti per costruire contesti di vita che riconoscano concretamente i bambini e le bambine come soggetti di diritti.
Quali sono i metodi educativi e didattici più usati nelle scuole primarie oggi?
La scuola primaria fonda i propri orientamenti didattici su un testo di riferimento unico ricco di indicazioni e assai articolato, che si intitola appunto “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione” in cui sono contenuti gli obiettivi di apprendimento e le competenze che ogni studente deve acquisire. I metodi e le strategie con cui gli insegnanti possono conseguire quegli obiettivi sono lasciati alla libertà di insegnamento (artt. 1 e 2 del dlgs n. 297/1994), ovvero all’autonomia didattica e libera espressione culturale del docente, nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal testo unico.
L’esercizio di questa libertà non è sinonimo di autoreferenzialità del docente ma è finalizzata a promuovere, attraverso il confronto, la piena formazione della personalità degli alunni. In altre parole gli/le insegnanti hanno il dovere di offrire il migliore insegnamento possibile per rendere effettivi il diritto all’istruzione, e la crescita etico-morale, intellettuale, culturale e civica dei discenti.
Le strategie didattiche più efficaci
La ricerca sui metodi di insegnamento ha mostrato da tempo come le modalità meno efficaci siano quelle “trasmissive”, in cui – per dirla in modo sintetico e inevitabilmente riduttivo – il docente spiega e l’alunno ascolta.
In realtà, secondo le evidenze emerse dalla ricerca scientifica degli ultimi decenni nel campo della didattica, della pedagogia sperimentale, delle scienze cognitive, della psicologia dell’apprendimento e delle neuroscienze il ricorso a metodologie attive rende più efficace l’apprendimento da parte degli studenti, anche attraverso l’uso di tecnologie digitali o ricorrendo al gioco.
A questo proposito molteplici sono i metodi e le strategie didattiche utilizzate per suscitare il coinvolgimento attivo degli studenti e favorire i loro processi cognitivi:
- la costruzione di mappe concettuali
- la flipped classroom
- il cooperative learning
- una didattica centrata sullo sviluppo delle competenze
- studi di caso
- osservazioni sistematiche ed autobiografie cognitive
- strategie didattiche incentrate sul gioco
In tutte queste modalità di proposte didattiche (a cui se ne potrebbero aggiungere altre), la costante è l’impegno del docente nell’attivare le risorse dello studente, nel sollecitare la sua motivazione all’apprendimento, nel renderlo attivo e via via sempre più consapevole e responsabile dei propri guadagni formativi. E grazie a tanti docenti preparati e motivati ho potuto constatare come numerose scuole primarie si avvantaggino di queste modalità di lavoro con i bambini e le bambine.
Secondo lei, il personale scolastico delle scuole è formato a sufficienza per educare i bambini?
Due sono le tipologie di formazione per gli insegnanti:
- La formazione di base: fornisce, all’interno dei percorsi universitari, i fondamenti teorico-pratici per conoscere le tappe di sviluppo di bambini e bambine, ovvero le conoscenze e gli strumenti necessari a promuoverle
- La formazione continua: viene proposta a educatori e insegnanti sul luogo di lavoro e si concentra sull’esperienza professionale, che pone al centro la riflessione sulla quotidianità educativa, la ricerca, l’innovazione.
Diversi sono quindi i fattori che concorrono alla formazione del personale educativo e docente, a partire dalla responsabilità personale nel ritenere la formazione un impegno e un dovere nei confronti dei soggetti in crescita a cui ci si dedica nella professione.
Le competenze che gli insegnanti dovrebbero rafforzare
Ci sono tuttavia degli ambiti di competenze che potrebbero essere rafforzati, in particolare credo sia utile che tutto il personale educativo e scolastico conosca:
- i fondamenti di italiano L2 (la lingua che si apprende nel contesto in cui si vive e che costituisce il canale di comunicazione principale), cioè quei dispositivi per comunicare più efficacemente con i bambini figli di genitori migranti
- così come ritengo che la cultura di questo tempo richieda la presenza di un educatore digitale o l’assunzione di quelle competenze da parte di educatori e insegnanti
- Ancora mi pare necessaria una maggiore attenzione all’educazione della vita emotiva che comporta la conoscenza delle dinamiche intra e interpersonali, nonché la comprensione di quanto discriminazioni, stereotipi e pregiudizi possano essere distruttivi e di come il rispetto debba essere insegnato, verificato e presidiato.
Si tratta di acquisizioni che si impongono fin da piccoli e che rappresentano un guadagno per tutta la vita, in relazione ai quali insegnanti, educatori e genitori devono costituire un fronte solidale e compatto.
Per educare i bimbi tra mura domestiche ci si può ancora affidare all'istinto o anche i genitori dovrebbero formarsi ?
Agli albori della storia dell’educazione, così come probabilmente all’inizio di ogni “carriera” educativa in veste di genitori ci sono state e ci sono intuizioni, buon senso e istinto.
Ma poi la riflessione si è strutturata in studi e ricerche, le occasioni di formazione, di incontro e confronto si sono moltiplicate diventando per tutti più accessibili e più facilmente fruibili. Per cui l’educazione, che si impara e non si improvvisa, ha molti contesti in cui può essere appresa, approfondita, discussa e verificata.
- I servizi educativi e le scuole organizzano incontri per i genitori con insegnanti e con esperti, spesso con modalità laboratoriali e attive, in cui viene sollecitato il confronto e la partecipazione (secondo un approccio bottom up, che valorizza i diversi punti di vista e permette ad ogni partecipanti di individuare il proprio percorso di crescita)
- Gli enti locali e il terzo settore prevedono iniziative rivolte ai genitori (si pensi alle proposte di tante biblioteche, ludoteche, associazioni di volontariato che offrono cicli di incontri, cineforum, iniziative singole di formazione, confronto, studio…).
- Gli stessi genitori, all’interno di scuole o associazioni, spesso hanno la facoltà di promuovere occasioni di formazione che rispondano a interessi e bisogni.
Insomma per i genitori ci sono molte proposte in tutti i territori, sostenute in genere da politiche e finanziamenti pubblici. Tuttavia vi sono famiglie che non è facile raggiungere, perché più vulnerabili, isolate, chiuse in loro stesse. Ma forse, rafforzando le competenze dei genitori più solidi e alimentando lo spirito di solidarietà generale è possibile per papà e mamme con più risorse avvicinare e sostenere quelli maggiormente in difficoltà.