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24 Giugno 2023
15:30

Educhiamoli fin da bambini a un uso responsabile dell’anonimato in rete: nascondersi è un segno di inciviltà

L’anonimato online esiste dalla fine del XX secolo e, da una parte, ha il vantaggio di garantire a tutti la libertà di espressione. Ma siamo sicuri che i ragazzi ne conoscano l’utilità e le potenzialità? Insulti online, like a commenti intimidatori, messaggi pieni di odio, ecco qual è il lato oscuro dell’anonimato online.

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Educhiamoli fin da bambini a un uso responsabile dell’anonimato in rete: nascondersi è un segno di inciviltà
anonimo online

L’anonimato online è uno strumento dal potenziale enorme, se ben sfruttato. Pensiamo a quante inchieste e quante informazioni sono arrivate a noi grazie a fonti anonime, desiderose di non far conoscere la propria identità per paura di ritorsioni da parte dei poteri forti.

Inoltre, esistono online degli sportelli di ascolto, psicologici o medici, nei quali condividere i propri sintomi è più facile se lo si può fare senza metterci la faccia. Perché l’anonimato ci può spingere ad essere più sinceri, convinti che gli altri utenti non sapranno mai chi siamo.

Per tutte queste ragioni non è pensabile eliminare questa possibilità dal web, chiedendo ad ogni utente di palesarsi carta di identità alla mano, ogni volta che accede ad una piattaforma. Serve però che ragazzi e adulti vengano educati ad un uso corretto dell’anonimato, per non depotenziarlo e non credere, erroneamente, che insultare qualcuno o minacciarlo senza metterci la faccia, riduca le sue responsabilità.

L’anonimato online: tra vergogna e spavalderia

Nel 2022 un gruppo di ricerca del dipartimento di Scienze umane, sociali e della salute dell’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, ha interrogato un campione di 2378 ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, provenienti da diverse zone d’Italia. L’88% di loro ha dichiarato di avere almeno un profilo attivo sui social network, nonostante le linee guida di tutti i social obblighino gli utenti a dichiarare di avere almeno 13 anni di età.

La prima bugia online riguarda l'età, per poter entrare prima nel mondo dei social network

Dunque la prima bugia online riguarda la propria età, per poter entrare prima nel mondo dei social network. Più si è piccoli, però, più si è fragili e si potrebbe non reggere quello che è il risultato dell’esposizione mediatica: commenti, non sempre positivi, condivisione di immagini o adescamenti.

Senza voler dire che per forza vi sia una stretta correlazione tra uso dei social improprio e suicidi, ma per voler rendere la fragilità dei ragazzi in età adolescenziale, dobbiamo affermare che sono allarmanti i dati che arrivano dall’ultimo report indetto dall’OMS sulla salute dei giovani del mondo. La ricerca spiega come la depressione e qualsiasi altra forma di disturbo mentale siano la prima causa di disabilità nell’età compresa tra i 10 e i 19 anni e la terza causa di morte.

cyberbullismo

Senza contare che spesso i ragazzi si rifugiano dietro a nickname inventati e profili falsi, perché solamente nel cyberspazio trova pace la loro timidezza e paura di essere giudicati. Circa la metà dei giovanissimi utenti, sempre di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, intervistati dal sito leader nella sicurezza online Kaspersky, insieme al dipartimento di innovazione di Giffoni, ha dichiarato di aver avuto o avere un profilo falso con il quale navigare online. Se il 27% di loro lo ha fatto per divertimento, il 14% per sentirsi libero di dire cose che non avrebbe avuto il coraggio di dire a suo nome, l’8% per timidezza e paura del giudizio altrui, il 2% ammette di averlo creato per spargere commenti di odio online.

Sono tutti fenomeni che meritano un’indagine, sia la timidezza che spinge qualcuno a sentirsi solo nell’anonimato sicuro di sé, sia ciò che porta a diventare crudeli, una volta che ci si è privati della propria identità.

L’anonimato può portare al cyberbullismo

Sentirsi liberi di avere un’identità che non corrisponde alla propria, inventandola, o rubandola a qualcuno, decidere poi con questa di insultare altri, significa non conoscere le conseguenze delle proprie azioni, sia a livello legale che psicologico.

La scuola dovrebbe dunque garantire, vista la sempre più giovane età degli utenti dei social network, una preparazione riguardo i rischi e le conseguenze dell’utilizzo improprio dei social. A tale scopo nel 2017 il Miur ha indetto un sondaggio dal titolo molto evocativo: “Online e Offline.Il lato oscuro dei teenager”.

Il 28% dei ragazzi che insultano online non avrebbero fatto lo stesso di persona

I risultati dimostravano che il 9% dei ragazzi aveva almeno una volta insultato qualcuno, sotto mentite spoglie. Il 10% ammetteva di aver commentato aspramente un compagno sui social, il 29% di loro di aver messo un like a un post o a un commento che insultava e criticava un loro conoscente. Il 28% di loro, però, non avrebbe fatto lo stesso di persona.

Un altro aspetto interessantissimo esaminato dal sondaggio indetto dal MIUR è la percezione differente degli insulti dal vivo, ai coetanei, rispetto a quelli rivolti online ai personaggi famosi. Come se il web, che dovrebbe unirci, tendesse, invece, a creare distanze incolmabili, che deresponsabilizzano.

Il 56% dei ragazzi ha infatti affermato che i VIP, data la loro esposizione sociale, si devono aspettare critiche e insulti, per quanto sbagliati. Mentre il 54% dei ragazzi, dovendo rispondere a cosa farebbe se assistesse dal vivo a insulti diretti a un loro coetaneo, ha affermato che interverrebbe dicendo di smetterla.

L’anonimato non cancella le colpe

Essere online, o sotto mentite spoglie, però, non allevia le colpe, anzi le aumenta. I social sono paragonabili a una piazza e un insulto viene letto potenzialmente da moltissime persone.

La diffamazione, ossia offendere o denigrare una persona, è punita dall’articolo 595 del codice penale, in particolare la diffamazione sui social è ritenuta una diffamazione aggravata, punibile con una multa da più di 600 euro e nei casi più gravi con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

ragazzo online

La sentenza n.16712 del 2014 della Cassazione ha  stabilito che si considera di diffamazione anche l’insulto fatto tramite social, senza indicare nome e cognome della persona ma rendendo comunque evidente il riferimento. Anche se l’insulto è scritto in gruppo in cui ci sono solo 2 partecipanti.

Non è l’anonimato a proteggere chi commette atti di questo genere, anzi l’articolo 10 della Dichiarazione dei diritti di internet tutela l’anonimato delle persone fino a che queste commettono dei reati, conclamati dall'autorità giudiziaria. La quale può disporre che venga identificato l’autore del commento.

Online non siamo mai veramente anonimi

Anche i social che ci illudono di un totale anonimato (come Ask.fm o la funzione di Instagram per la quale si possono fare domande agli utenti rimanendo anonimi), richiedono un’iscrizione con l’inserimento di nome e cognome. Non dovrebbe essere questo il motore che ci ferma dal dire cattiverie ma è comunque giusto saperlo: online non siamo mai davvero anonimi.

Educare a un uso corretto della Rete

In ogni caso è importante educare i ragazzi ad un corretto uso dei social network. Trascorriamo circa il 40% delle nostre giornate online e la persona che siamo sui social ad oggi non si discosta molto da quella che siamo nella vita reale.

Gli insulti anonimi esistono da quando si scrivevano frasi intimidatorie sui muri dei bagni della scuola e sono atti di bullismo in entrambi i casi. Dobbiamo pensare alle conseguenze delle nostre azioni sempre, trovare il coraggio di farci aiutare, di chiedere scusa se abbiamo sbagliato e quello di denunciare se gli insulti in anonimo stanno attaccando noi.

Perché le parole possono avere conseguenze uguali o peggiori anche di un pugno tirato in pieno volto e, se davanti a un’azione del genere ci indigneremmo, non possiamo certo non farlo per un insulto sui social network, anche in anonimo.

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Sophia Crotti
Redattrice
Credo nella bontà e nella debolezza, ho imparato a indagare per cogliere sempre la verità. Mi piace il rosa, la musica italiana e ridere di gusto anche se mi commuove tutto. Amo scrivere da quando sono piccola e non ho mai smesso, tra i banchi di Lettere prima e tra quelli di Editoria e Giornalismo, poi. Conservo gelosamente i miei occhi da bambina, che indosso mentre scrivo fiduciosa che un giorno tutte le famiglie avranno gli stessi diritti, perché solo l’amore (e concedersi qualche errore) è l’ingrediente fondamentale per essere dei buoni genitori.
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