La sua è una storia lieto fine, una di quelle che finisce (anzi, inizia) con il fiocco azzurro appeso all’uscio di casa, ma – ci tiene a sottolineare mamma Enza (al secolo, Vincenza Perna) – «con la Pma non si considerano le emozioni, i possibili fallimenti, i ripetuti test negativi».
Come recita la lavagnetta immortalata in un suo post su Instagram, Enza è rimasta «incinta di un figlio in provetta», il piccolo Manfredi, che oggi ha 1 anno e mezzo.
Al fianco del marito Michael, Enza ha percorso un viaggio lungo e tortuoso, che, forse, sarebbe stato più breve, se Enza fosse stata accompagnata da una corretta informazione.
Oggi vive con la sua famiglia a Roma e, conciliando vita familiare e lavorativa, porta avanti la battaglia contro la disinformazione attraverso l’attivismo sui social ("Cominciamo123") e l’attività dell’associazione Mamma in pma, fondata da Enza lo scorso giugno.
Enza, raccontaci la tua storia…
Io e mio marito ci sposiamo nel 2016, ma non iniziamo subito a cercare il figlio, pensiamo “Quando arriva arriva”, e nel frattempo ci dedichiamo ai nostri progetti di vita, compriamo casa e viaggiamo. Dopo qualche anno di rapporti non protetti, decido di rivolgermi al mio ginecologo per degli accertamenti.
Tutto sembra essere apparentemente nella norma. Nulla mi avrebbe fatto pensare ad una diagnosi d'infertilità dietro l’angolo.
E dopo le visite dal ginecologo?
La gravidanza non arriva, così insisto per effettuare altri esami più specifici. Ci affidiamo a una prima clinica che, terminati i controlli di routine, ci definisce "sine causa", una condizione per cui una coppia non riesce ad avere figli, pur avendo avuto rapporti liberi per più di un anno e nonostante gli esami effettuati non presentino particolari problemi.
A quel punto, l'équipe medica ci propone di iniziare a provare con l’inseminazione intrauterina, una tecnica di primo livello che ripetiamo per ben tre volte senza alcun successo in regime privato. A quel tempo non sapevo nemmeno che ci fossero strutture di Pma gestite dalla sanità pubblica.
Fallita la fecondazione assistita, cosa succede?
Dopo approfondimenti e cure, arriviamo al luglio 2020, a quattro anni di distanza da quando io e mio marito abbiamo iniziato a cercare un figlio. Decidiamo così di rivolgerci ad un altro centro specializzato, questa volta in una struttura pubblica di Roma perché le nostre finanze non ci assistono.
Ripeto di nuovo la maggior parte degli esami, sia ormonali che strumentali, che avevo già effettuato in passato, il cui risultato questa volta è inaspettato. L'isterosonografia (comunemente noto come esame delle tube) rivela un’importante ostruzione tubarica.
La diagnosi d'infertilità a questo punto arriva forte e chiara. Le aderenze tubariche non permettono una gravidanza fisiologica e l’unica strada da percorrere è quella di una tecnica di secondo livello, la Fivet.
Ci mettono in lista per la Fivet, che a causa del Covid prevede un'attesa di 15-18 mesi, un tempo infinito per noi. Così decido di spostarmi in Toscana, in una clinica in regime convenzionato. Lì, a dicembre 2020, inizio il protocollo e a gennaio 2021 rimango incinta.
Una storia a lieto fine!
Sì, la mia storia ha un lieto fine! Il miracolo tanto desiderato si è fatto aspettare, ma si è avverato. Raccontata così è una bella storia, ma chi ha la malaugurata sfortuna di dover ricorrere alla Pma, conosce le emozioni che ci sono dietro alla ricerca di un figlio.
Bisogna mettere in conto gli eventuali fallimenti, gli ostacoli emotivi e relazionali, i ripetuti test di gravidanza negativi, la difficoltà a conciliare gli impegni lavorativi con le visite… E ti costringe a fare i conti con te stessa.
In più, mentre provavamo ad allargare la nostra famiglia, ho avuto una gravidanze biochimica. La natura è una cosa strana, bella, ma particolare. Certe cose non sono spiegabili. Alcuni intraprendono un percorso di Pma e già la prima volta va a buon fine, altri ci sono dentro da 6, 7, 8 anni. Tutta la parte emozionale, i sentimenti che nascono intorno all’infertilità, alla Pma e alla ricerca di gravidanza, li conosco bene.
E dalla tua esperienza personale è iniziata la divulgazione…
Sì, esatto. Sotto consiglio di mio marito, ho aperto un profilo Instagram (@cominciamo123) per cercare in prima persona confronto e conforto. Ma piano piano, con tanta dedizione e tempo, è diventato quello che oggi vedete: uno spazio in cui accogliere chiunque necessiti di sostegno, informare attivamente, senza secondi scopi, e raccontare la nostra quotidianità.
Ho deciso di mettermi a nudo, di mostrare la mia faccia, di condividere le emozioni belle ma anche quelle brutte. Quando affronti un percorso e lo racconti, le persone ti vedono come un riferimento e hanno necessità di condividere e spiegarti quello che gli sta accadendo.
Dalla rapida crescita di questo progetto con base altruistica, a giugno 2022 ho fondato l’associazione "Mamma in Pma", che funge da porto sicuro per accomunare le coppie che cercano aiuto e supporto nel percorso di procreazione assistita.
Quando tuo figlio sarà più grande, gli racconterai come è venuto al mondo?
Assolutamente sì, mio figlio sarà a conoscenza di quello che è stato il nostro percorso!
Cerco già di sensibilizzare il più possibile nipoti e cugini sull’argomento. Quando ero incinta di Manfredi ho spiegato loro che il bimbo che zia Enza aveva nella pancia era arrivato in modo diverso.
Ho acquistato diversi libri che raccontano ai bambini la procreazione medicalmente assistita. Credo che Manfredi sarà in grado di comprendere come è venuto al mondo fra qualche anno, anche se sta crescendo con una mamma che si sta impegnando per rendere questo mondo più trasparente.
L'aver vissuto un percorso di Pma ti ha dato o tolto di più?
Di getto risponderei: “Ha ampliato il mio bagaglio”, perché sicuramente mi sono scoperta più forte di quanto pensassi, mi sono trovata ad affrontare paure, perplessità, una gravidanza particolare che più volte mi ha portato a chiedermi: “Ma chi me l’ha fatto fare!”. Però, a mente fredda, penso che la Pma non mi abbia dato qualcosa di positivo, anzi, mi ha tolto, e ancora oggi devo confrontarmi con dei vuoti incolmabili.
Tuttora nutro una sana invidia per chi riesce a rimanere incinta senza difficoltà… È una cosa che io non riesco a superare. Tremo solo all'idea di avere una seconda gravidanza, di dover ricominciare quel percorso. Ho paura. Mi pongo molte domande sul come potrebbe andare e non ho risposte. È qualcosa che non dipende da te, che non riesci a governare, che ti sfugge dalle tue stesse mani e che, quindi, ti risulta difficile da affrontare con serenità.
Dall'esperienza particolare della Pma, però, sono sbocciate quelle che oggi sono la community e l’associazione. In questo senso, la Pma mi ha dato anche del bene, mi ha dato persone con le quali condivido aspetti della mia vita che non riuscirei a condividere con chi non ha passato quel che ho passato io, ma non perché gli altri non lo possono capire, ma perché non l’hanno vissuto.
Solo chi si è sottoposto a una pratica di procreazione assistita, conosce quel timore, quello stato d’ansia perenne per cui ti manca l’aria.
Perché ancora oggi la procreazione assistita è vissuta come un tabù?
Quello che manca in questo mondo sono il supporto e l’informazione. Io stessa all’epoca non ho trovato sostegno e quando l’ho cercato, non trovandolo, ho avuto qualche difficoltà. Quando intraprendi un percorso di Pma, sei in un momento particolare, non capisci nulla, nessuno ti capisce. Condividere la propria esperienza, confrontarsi, parlare aiuta le coppie. E poi, manca l’informazione, che fa tanto.
Banalmente, l'Inps riconosce i giorni di malattia in caso di Pma e la donna ha diritto a chiedere dei giorni al proprio medico di base. Nonostante spettino per legge, tanti medici di base non ne sono al corrente, così come le ragazze che si sottopongono alla pratica, che a quel punto sono costrette a prendersi giorni di ferie che magari non hanno.
Oppure, hanno paura di rivelare al medico di aver fatto il pick-up ovocitario perché temono che compaia qualcosa sul certificato medico e il datore di lavoro ne venga a conoscenza. Tutta l’ignoranza e la mancata informazione che girano intorno alla Pma ti spingono a sentirti esclusa da una realtà che non ti riconosce, e tu stessa non la riconosci e la vedi come tabù.
Oggi offri il sostegno che a te era mancato?
Di tutte le persone che oggi mi stanno accanto, ne conosco almeno una decina che sono ricorse alla Pma. Ma quando avevo intrapreso l’iter nessuno me lo aveva rivelato. Ognuno si è tenuto il proprio segreto, e non condividendolo non ha trasmesso l’informazione. Se sai che il tuo amico o il tuo vicino di ombrellone si è sottoposto alla Pma, tu gliela fai la domanda, così come se volessi andare a Cuba e sai che quel tuo amico ci è andato, gli chiedi informazioni sul viaggio.
Condividendo hai modo di capire e di valutare la cosa più o meno corretta e sei libero di scegliere l’informazione che ti interessa. Uno degli obiettivi dell’associazione, infatti, è quello di iniziare a fare prevenzione nelle scuole superiori, per esempio sul ciclo mestruale, sull’endometriosi, sull’alimentazione… Ci sono dei campi sconosciuti nell’ambito della fertilità femminile, e ancor di più maschile.