Oramai è universalmente riconosciuto che "giocando, si impara". Il gioco non è appannaggio dei più piccoli, a differenza del senso comune; tutte le età apprendono più funzionalmente attraverso il gioco.
Il role playing viene di fatto utilizzato nelle formazioni professionali come metodo didattico largamente diffuso. Imparare con gioia, soddisfazione, ma soprattutto partecipazione non ha una data di scadenza, cosicché anche gli adulti si possano permettere di imparare attraverso la finzione del "come se…".
A volte ce ne dimentichiamo, ma spesso capita che siano i bambini stessi a ricordarci come si fa. Giocare non significa scherzare, ma attivarsi volontariamente, dedicarsi, prendere parte attraverso la finzione e l'immaginazione. È il "facciamo finta che" di cui i bambini sono maestri indiscussi e di cui alcuni adulti necessitano bonariamente di ripetizioni da quest'ultimi.
Il gioco di ruolo altro non è che un gioco di finzione, in cui i partecipanti mettono in scena la loro immaginazione attraverso l'immedesimazione in un ruolo, in un contesto stabilito insieme e che si evolve in itinere durante il gioco stesso.
Fingere per fare sul serio
Attraverso il gioco l'intimità dell'immaginazione trova un luogo dove mostrarsi e poter chiedere ai presenti l'autorizzazione a partecipare. Se la risposta sarà sì, il bambino avrà il nulla osta per dare spazio a ciò che lo abita.
Interpretare il proprio mondo interno, presentarlo sotto mentite spoglie darà modo di sperimentare, con infinita libertà, tutti i "se…" e i "facciamo finta che…" in una rassicurante accettazione dei possibili sviluppi che daranno vita a un altro mondo, a metà tra quello interno e quello condiviso.
Genitori e attori
A volte può bastare far giocare i propri figli, altre volte non basta e bisogna giocare con i propri figli. La differenza appare sottile, ma è sostanziale nella pratica.
Alcuni genitori dicono che non si sentono in grado o che non fa per loro sedersi al tavolo delle bambole a versare il tè. Non è insolito, anzi accade di frequente. Non c'è da preoccuparsi e non serve nemmeno sentirsi inadeguati, ricordiamoci che prima di essere genitori siamo persone con una identità, personalità, con caratteristiche che non necessariamente trovano comfort nel mettersi in gioco in questo modo: non significa essere genitori meno o più capaci. È solamente una attitudine più o meno presente.
Ricordiamo che i bambini vivono contesti nei quali poter giocare in modo simbolico: la scuola e il gruppo dei pari, per esempio. Questo, però, non significa che siamo esenti dal gioco simbolico, perché i bambini lo mettono in pratica in maniera spontanea e dobbiamo riflettere circa l'efficacia di quest'ultimo nella trasmissione di valori e comportamenti desiderabili.
Il gioco come strumento educante
Attraverso il gioco simbolico possiamo creare i presupposti per lo sviluppo di comportamenti e valori propositivi e desiderabili. Attraverso il gioco non stiamo imitando comportamenti, ma interpretando storie e ruoli, imparando a mediare tra la pulsione di ciò che voglio e la limitazione di ciò che è consentito. Il gioco, in questo senso, aiuterà a percepire la realtà in modo più accessibile.
- Pensando alle applicazioni pratiche, possiamo prevedere l'uso del gioco simbolico nella partecipazione alla vita domestica rispetto alla preparazione della tavola, così come nello stare seduti a tavola durante la consumazione del pasto, giocare a cucinare insieme, fare le pulizie o fare la spesa, per fare degli esempi.
- Allo stesso tempo il gioco simbolico veicola concetti astratti come l'assistenza e il prendersi cura nell'interpretare l'infermiere, la giustizia nel giocare a fare il giudice o la motivazione e la tenacia nell'interpretare un atleta, l'accoglienza e le regole formali nell'interpretare il mercante.
- Ancora, il gioco simbolico ci aiuta anche a cambiare prospettiva e mettersi nei panni di un ruolo che siamo soliti "subire", piuttosto che interpretare. Allora diventa molto divertente, oltre che utile, giocare a invertire i ruoli, cosicché il genitore interpreta il figlio e viceversa oppure che il figlio interpreta l'insegnante e il genitore l'alunno.
- In ultimo la possibilità di compensare un timore, una paura attraverso l'interpretazione di scene che la richiamino, permettendo così, una sorta di desensibilizzazione di quest'ultima, come ad esempio giocare a mettere a dormire i propri giocattoli da soli, animando i giocattoli e facendo così finta che non abbiano paura attraverso una serie di premure che si possono sviluppare insieme.
Il gioco svolge la sua funzione educativa non solo se adattato all'età, ma soprattutto se adattato al bisogno evolutivo del bambino. Così, attraverso il gioco, i bambini interpretano il mondo degli adulti e gli adulti esplorano il mondo dei bambini.