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15 Maggio 2023
14:00

Famiglia e lavoro: è un connubio ancora possibile?

Come sono i genitori moderni? Anomali, permissivi, assenti? No, sono stanchi! La vita frenetica del nuovo millennio pretende a mamme e papà di improvvisarsi equilibristi, che si destreggino abilmente tra casa e lavoro, senza garantire loro le condizioni indispensabili e i servizi necessari per conciliare la famiglia e la professione.

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Famiglia e lavoro: è un connubio ancora possibile?
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Equilibrio, tempo, lavoro, cura, formazione e relazione. Sono le sei parole chiave che ci occorrono per aprire una serratura, quella della porta che collega – o separa – la casa dall’ufficio, la famiglia dalla professione. Sì, perché in Italia esiste una legge – la numero 53 dell’8 marzo 2000 – nata e confezionata per promuovere «un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione». Una norma lodevole per l’obiettivo che si prefigge, che tuttavia fatica, a più di vent’anni dalla sua ratifica, a trovare una piena e concreta attuazione.

La tormentata conciliazione tra famiglia e lavoro è un leitmotiv che torna, imperterrito, sulle pagine dei giornali e nei titoli dei notiziari. I genitori che lavorano, e in particolare le mamme, lo sperimentano sulla loro pelle nella quotidianità: in Italia non lavora 40,9% delle donne tra i 25 e i 54 anni con almeno un figlio (contro il 9,9% degli uomini) e il 37,3% è in contratto part-time, nel più dei casi a causa della difficoltà ad amalgamare il lavoro con la famiglia. E anche i papà sono in difficoltà, anche se purtroppo tendono ad essere dimenticati nella narrazione comune che circola sulla conciliazione figli-professione: negli ultimi anni si sta assistendo a un incremento sostanzioso delle richieste di congedi di paternità e di dimissioni volontarie fra i papà per esigenze di cura dei figli.

Non è vero che «non ci sono più i genitori di una volta». Non è vero che «i giovani non vogliono più costruirsi una famiglia». Non è vero che «si è perso il valore della famiglia». La verità, forse difficile da digerire per chi dall’alto degli scranni e della piramide sociale guarda in giù, è che mancano le condizioni. Oppure, se ci sono, sono precarie, insufficienti, vacillanti. Senza dubbio è più facile giustificare la denatalità e le culle vuote puntando il dito contro le nuove generazioni, piuttosto che trovare soluzioni efficaci per un problema che, se continua ad essere trascurato, avrà ricadute su chiunque.

Nidi e servizi per la prima infanzia

Il nostro Paese è in grado di offrire un numero di posti nido in linea con le richieste dei neogenitori? Lo Stivale è fra gli ultimi Paesi in Europa per posti disponibili nelle strutture per la prima infanzia, con un’offerta media di 27,2 posti accessibili all’anno su un totale di 100 bambini residenti. Eppure, nei primi anni Duemila il Consiglio europeo di Barcellona aveva fissato al 33% l’obiettivo UE di copertura dei posti nido, da raggiungere entro il 2010.

In Italia hanno accesso al nido 27,2 bambini su 100 (2020), un dato nettamente al di sotto del target UE, che è stato alzato al 45%

Un traguardo che non solo non è mai stato raggiunto dal nostro Paese ma che, nel frattempo, è stato ulteriormente alzato. Alla fine del 2022, infatti, è stato stabilito un nuovo target, del 45%, da raggiungere da qui ai prossimi anni. Al momento ci si avvicinano solo l’Umbria (che ha una disponibilità di 44 posti ogni 100 bambini), l’Emilia Romagna (40,7%), la Valle d’Aosta (40,6%) e la Toscana (37,6%). Regioni come la Calabria accettano nelle strutture per la prima infanzia meno di 12 nuovi nati su 100 all’anno.

Ai numeri sotto la media continentale, si aggiunge l’inefficienza della politica: aumentare i posti degli asili nido era uno dei obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), ma non stiamo rispettando le scadenze e il Governo ad oggi non ha trovato una soluzione, rischiando di perdere le risorse.

Congedi di paternità, maternità, parentali

Abbiamo un congedo di maternità e paternità che aiuti i genitori a dedicarsi adeguatamente alla cura del neonato prima e dopo il parto? Se è vero che negli ultimi tempi sono stati mossi dei passi in avanti rispetto all’immobilismo dei decenni precedenti – per esempio, il congedo per i papà è stato recentemente (e faticosamente) esteso a 10 giorni (nel 2017 erano appena 2) ed è stato aggiunto un mese in più di congedo parentale retribuito all’80% – siamo comunque drammaticamente lontani, lontanissimi, dalla flessibilità e dai benefit alla genitorialità concessi in altri Paesi d’Europa.

Siamo lontani da altri Paesi d’Europa per flessibilità lavorativa e giorni di astensione dal lavoro

A qualche km da noi, in Spagna, ai papà sono garantiti quattro mesi di congedo. Se in Italia l’astensione dal lavoro obbligatoria per una mamma è di 5 mesi totali, in Danimarca è invece di 6 mesi per ciascuno dei due genitori, a prescindere dal sesso.

Sostegno al reddito delle famiglie

Viviamo in un’epoca complicata. Oggi – all’indomani di una feroce pandemia che ha frenato il mercato del lavoro per due anni e con una guerra alle porte dell’Europa – ci ritroviamo a fare i conti con la crisi economica, con l’inflazione alle stelle, con i prezzi da capogiro dei beni di prima necessità. Senza contare la minaccia, in sottofondo, del Pianeta che ci sta presentando – pure lui – il conto salato di anni di sfruttamento. Rispetto al 2005, le famiglie che vivono in una condizione di povertà assoluta sono cresciute, anzi raddoppiate, raggiungendo quota 1,9 milioni. Quasi 3 milioni (2,9), invece, sono i nuclei familiari sotto alla soglia di povertà relativa, che rinunciano alla pizza del sabato sera e selezionano oculatamente i prodotti prima di introdurli nel carrello della spesa. Come affrontare le spese della babysitter o del nido quando si fatica far quadrare i conti a fine mese? È vero, esistono i bonus e l’assegno unico, misure preziose che aiutano migliaia di genitori, ma che non sono sufficienti.

E oltre alle famiglie più povere, esiste una fetta abbondante di famiglie del ceto medio (se di "medio" possiamo ancora parlare) che viene ingiustamente ignorata. Nuclei familiari in cui, magari, entrambi gli adulti lavorano con contratti modesti, vivono in una casa di proprietà acquistata con duri sacrifici e rinunce e possiedono un’automobile, tre fattori che impediscono loro di fruire di tanti premi e benefit, perché superano di poco il reddito Isee richiesto.

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Politiche per la parità

È un circolo vizioso. Se mancano i servizi per i più piccoli, quando una famiglia non ha le risorse adeguate per iscrivere un figlio all’asilo nido o per assumere una tata nelle ore di lavoro, opta, nel più dei casi, per le dimissioni della mamma, o la riduzione del suo contratto di lavoro a un part-time. In fin dei conti, che senso ha destinare quasi l’intero stipendio alle spese di cura del figlio? Ecco il perché, allora, di quel gap di genere fuori e dentro casa, dove il lavoro di cura è ancora appannaggio delle quote rosa.

Superare il gender gap a lavoro e dentro casa è il primo passo per favorire un bilanciamento dei ruoli all’interno delle famiglie

In Italia meno di 6 mamme su 10 hanno un impiego e le mamme contribuiscono al lavoro di cura con 4,2 ore in più al giorno rispetto ai papà. Incentivare misure e premi a favore della genitorialità è urgente non solo per agevolare le mamme nella corsa casa-ufficio, ma anche per favorire l’occupazione femminile: oltre a misure a sostegno della maternità, occorrono misure a supporto della paternità e in generale della genitorialità, per consentire un bilanciamento tra i due ruoli tra le mura di casa e quelle dell'ufficio.

Occorre investire sulla famiglia

Ammettiamolo: oggi costruirsi una famiglia in Italia mentre si lavora è complicato. I genitori – papà e soprattutto mamme – faticano a combinare lavoro e famiglia. Ce lo confermano i numeri nudi e crudi così come le testimonianze di genitori esausti, costretti a correre senza tregua affinché nessun ingranaggio della vita domestica e professionale s’inceppi.

Da dove ripartire, quindi, per risolvere la situazione? È sulle cause alla base di questa incompatibilità di fondo che bisogna intervenire. Per favorire la conciliazione lavoro-famiglia, occorrerebbe partire proprio da quello che non funziona: dalla carenza di servizi per la prima infanzia, dai congedi inadeguati, dallo scarso sostegno al reddito delle famiglie, dalle disuguaglianze di genere.

L’altro nodo – oltre all’assenza delle “condizioni sine qua non” per un giovane è difficile immaginare un progetto di famiglia a breve termine – sta nell’arretratezza culturale. Mamme e papà hanno esigenze diverse rispetto al passato perché la vita intorno a loro è cambiata, ed è impensabile continuare a ragionare con la mentalità di un epoca che non esiste più.

Come sono i genitori moderni? Anomali, permissivi, assenti? No, sono stanchi! Il mito dei genitori supereroi è tossico e irrealistico. La vita frenetica del nuovo millennio pretende a mamme e papà di improvvisarsi equilibristi, che si destreggino abilmente tra casa e lavoro, senza garantire loro le condizioni indispensabili e i servizi necessari per conciliare la famiglia e la professione. Per permettere ai semi di germogliare, è indispensabile un terreno fertile, a maggior ragione in un deserto demografico come quello che stiamo vivendo.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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