Una mamma, un papà, un’unione matrimoniale e la presenza di eventuali figli naturali: questa è l’unica versione di famiglia “tradizionale” riconosciuta per molto tempo.
Gli ultimi decenni, però, ci hanno mostrato come il legame familiare non passi necessariamente attraverso vincoli burocratici e biologici: esistono le famiglie d’elezione, quelle arcobaleno, le unioni civile e le convivenze. Individui uniti tra loro dal vincolo dell’affettività e del sostegno reciproco di tipo economico e morale, con presenza o meno di figli che possono essere biologici o meno.
Come si definiscono queste unioni? Che tipo di tutela viene loro riconosciuta?
La famiglia nel nostro ordinamento
Non esiste, nel nostro ordinamento civile né tantomeno in quello penale, una concezione unitaria di “famiglia” che venga esplicitamente descritta. Attraverso la lettura combinata degli articoli 29 e 2 della Costituzione, però, è possibile identificare una specifica accezione di famiglia: una formazione sociale stabile, fondata sul matrimonio, che si basa sull’uguaglianza morale e spirituale dei coniugi.
In quanto frutto di una formazione sociale stabile e fondata sul matrimonio, la famiglia “tradizionale” viene quindi considerata degna di tutela da un punto di vista giuridico e legale.
E tutte le forme di unione che non si rispecchiano in questa descrizione come possono essere definite? Restano prive o meno degne di tutela nonostante, da tempo, il contesto sociale e culturale mostri le numerose tipologie di famiglie possibili e già in essere?
Quali sono le attuali condizioni previste per le famiglie “non tradizionali”?
Convivenze di fatto e unioni civili
Uno dei primi aspetti sui quali si è concentrata la famosa Legge Cirinnà (L. n. 76/2016) è stata la disciplina delle convivenze di fatto e delle unioni civili. Proprio per sopperire al vuoto di tutela nei confronti delle coppie che non fossero unite dal vincolo matrimoniale.
Convivenze di fatto
Per conviventi di fatto si intendono due persone maggiorenni unite, in modo stabile, da legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale, che non siano vincolate tra loro da rapporti di affinità, parentela o adozione, né da matrimonio o unione civile.
La convivenza di fatto può essere provata con qualsiasi mezzo, anche attraverso dichiarazioni testimoniali, ma il modo più semplice resta senza dubbio procedere alla presentazione di un’autocertificazione (in cui i soggetti dichiarano di convivere) presso il comune di residenza, che rilascerà un certificato di residenza e lo stato di famiglia.
Nel caso in cui la convivenza venga formalizzata, il nucleo familiare, nonostante venga considerato differente rispetto a quello basato sul matrimonio, ottiene alcune forme di tutela:
- Stessi diritti del coniuge per l’ordinamento penitenziario (ad esempio diritto di visita)
- Diritti di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali in caso di malattia o ricovero
- Facoltà di nominare il convivente come rappresentante in caso di incapacità di intendere e volere
- Possibilità di nominare il convivente come tutore, curatore o amministratore di sostegno
- In caso di morte del convivente, proprietario, dell’abitazione comune, possibilità di restare nella casa per due anni o un periodo pari alla convivenza se superiore a 2 anni e non oltre i 5 anni (non inferiore a 3 anni se con figli minori o disabili)
- Facoltà di succedere nel contratto di locazione in caso di decesso;
- Diritto a un risarcimento del danno pari a quello di un coniuge superstite in caso di decesso causato dall’illecito di un terzo
- Diritto di partecipare agli utili dell’impresa familiare del partner e ai beni acquistati con questi, in proporzione al lavoro prestato
- Diritto agli alimenti da parte dell’ex convivente qualora si versi in stato di bisogno e non si possa provvedere al proprio mantenimento.
Gli aspetti che, a differenza del matrimonio, restano invece privi di tutela giuridica sono:
- In caso di morte del lavoratore la pensione di reversibilità non spetta al convivente, il TFR solo se previsto da un eventuale testamento: il diritto di abitazione al superstite, così come visto in precedenza, spetta ma solo per un periodo limitato commisurato al rapporto di convivenza
- Non è previsto alcun regime patrimoniale speciale ma è possibile sceglierne uno stipulando un contratto di convivenza
- IL convivente non ha diritti successori, può solo essere ricompreso all’interno di un eventuale testamento
Per quanto riguarda la filiazione, invece, dal 2012 non esiste alcuna differenza dello status giuridico di figlio tra chi nasce all’interno di un matrimonio e chi, invece, in una coppia di fatto o convivente (o che non sia nemmeno necessariamente una coppia di fatto).
Le coppie conviventi possono, inoltre, accedere ai percorsi di procreazione assistita.
Restano esclusi, invece, dalla possibilità di far richiesta di adozione.
Unioni Civili
La legge Cirinnà, in tutela delle coppie dello stesso che desiderino instaurare un legame legalmente riconosciuto, istituisce anche le unioni civili.
Unioni che non vengono quindi, come concetto, sovrapposte tout court al matrimonio, ma consistono in una “formazione sociale”. Le differenze rispetto al matrimonio, però, sono poche e iniziano da quelle burocratiche: non servono pubblicazioni né formule specifiche e non è previsto un permesso per i minorenni.
Da un punto di vista organizzativo, economico e patrimoniale (comprese questioni legate a fisco, successione e previdenza) chi è unito in matrimonio o attraverso un’unione civile gode degli stessi diritti. Risponde, inoltre, degli stessi obblighi di assistenza morale e materiale e vengono estese le stesse tutele, di natura penale, previste per gli abusi intrafamiliari tra coniugi.
Il legislatore ha quindi assicurato pari dignità e tutela alle unione civili e ai matrimoni.
Le differenze sostanziali, però, esistono e iniziano a palesarsi quando si parla di filiazione: i figli nati in costanza di matrimonio sono infatti considerati, dalla legge, figli di entrambi i genitori. Quelli nati all’interno di un’unione civile sono invece figli del solo genitore biologico.
E questa è solo la prima di una serie di mancanze, in termini di tutela, per le coppie omogenitoriali.
Famiglie omogenitoriali
Nella già citata Legge Cirinnà non esiste alcuna disposizione in tema di filiazione. Nonostante, quindi, l’unione civile venga definita come una formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, il rapporto si esaurisce tra le due sole parti (coppia dello stesso sesso) e non contempla la presenza di figli in comune.
Nonostante, quindi, alle unioni civili si applichino quasi tutte le norme relative al matrimonio, restano esplicitamente escluse quelle in merito alla filiazione.
Per quanto riguarda le adozioni, poi, si dispone che venga mantenuto “fermo quanto previso e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Lasciando, quindi, alla discrezionalità dei giudici la possibilità di accogliere o meno le sole richieste di adozione da parte del partner (la cosiddetta stepchild adoption).
Che questo ambito non sia stato normato esplicitamente, ma venga lasciato alla totale discrezionalità della giurisprudenza, crea un vuoto di tutela enorme per le famiglie arcobaleno. Senza una legge univoca, che ne disciplini le modalità, tempistiche e risultati di un procedimento di “stepchild adoption” non sono minimamente preventivabili né certi.
Per questo motivo nel progetto della Legge Cirinnà era stato inserito specificamente l’art. 5, con il quale si permetteva espressamente alla parte dell’unione civile di accedere al procedimento di “adozione in casi particolari” così come previsto per il coniuge. La stepchild adoption è stata, però, fortemente contestata e alla fine stralciata dalla legge Cirinnà, escludendo quindi centinaia di coppie e famiglie dal riconoscimento dei loro diritti civili.
Questo è uno dei vuoti di tutela più dolorosi per le famiglie “non tradizionali” perché non garantisce alcuna certezza sul riconoscimento giuridico dei legami familiari già in essere. Nonostante esistano, potendo essere verificati di fatto, non godono di alcuna garanzia sul fronte legislativo e l’eventuale regolamentazione della questione è lasciata a una futura riforma che, al momento, sembra fuori discussione.
L’attuale condizione di tutela delle famiglie omogenitoriali, infatti, desta non poche preoccupazioni nel quadro sociopolitico italiano: il mancato riconoscimento degli atti di nascita, la loro postuma cancellazione e la paventata riforma riguardante la gestazione per altri appaiono azioni concretamente volte all’annullamento dei diritti delle famiglie non tradizionali. Nonostante siano diritti, come detto, nemmeno legislativi ma derivanti da una prassi giurisprudenziale e burocratica che sembrava ormai allineata nel riconoscerli e tutelarli.
La posizione delle famiglie non tradizionali, privata già di sostegno normativo, nel momento in cui perde anche quello della prassi diventa oltremodo fragile. Non tanto, appunto, nei diritti della coppia unita civilmente, quanto in quello della costituzione di una famiglia, che non trova spazio per confermarsi da un punto di vista di riconoscimento sociale e giuridico.
Figli di coppie dello stesso sesso
Il problema riguardante il riconoscimento di status di figlio di genitori omosessuali è tutto fuorchè ideologico e non concerne, unicamente, i diritti del genitore. Quelli che vengono compressi, nella pratica, sono i diritti del minore a ottenere il riconoscimento del suo stato di figlio di entrambi i suoi genitori, che siano biologicamente legati o meno.
La riforma sulla filiazione del 2012 ha proclamato l’unificazione di stato giuridico dei figli, eliminando ogni differenza esistente tra figli nati fuori o dentro il matrimonio.
La ratio di questa riforma era proprio garantire a tutti i minori degna tutela, in ambito di assistenza morale e materiale, a prescindere da qualsiasi scelta fosse stata fatta dai genitori sul tipo di famiglia in cui farli nascere (tradizionale, unita in matrimonio, o non tradizionale, come una convivenza di fatto o una coppia nemmeno convivente).
Quello che si voleva tutelare era il diritto del minore a crescere in una famiglia riconosciuta e ad avere rapporti significativi e garantiti con i suoi parenti, a prescindere da come il rapporto tra i suoi genitori fosse o meno regolamentato giuridicamente.
Nelle attuali famiglie omogenitoriali, invece, la posizione che non viene tutelata non è tanto quella dell’adulto, che vede sfumati i suoi diritti, quanto quella del minore che non possedendo un determinato status giuridico perde chance in termini di affettività e assistenza solo perché i suoi genitori “sono dello stesso sesso”.
Il tutto quindi sulla base di un’ideologia politica maggiormente concentrata a sopprimere diritti civili alle persone, piuttosto che a tutelare effettivamente i diritti dei minori esistenti e famiglie che sopravvivono e prosperano, nonostante l’assenza di un riconoscimento legislativo.
Quando si parla di adozione da parte del partner o di riconoscimento dello status di figlio, conseguito all’estero, si parla del raggiungimento di una condizione che è esclusivamente interesse del minore ottenere. A quale bambino gioverebbe essere privato, a livello giuridico, di uno dei due genitori? Perdendo, quindi, diritti di assistenza materiale e morale da parte sua e dei suoi parenti?
Proprio alla luce di ciò la giurisprudenza, avallata dalla Cassazione, ha sempre deciso privilegiando il rapporto affettivo tra il minore e il genitore non biologico, accogliendo quasi sempre la domanda di adozione.
Ma la scelta del legislatore di non intervenire, nella legge sulle unioni civili, sul tema della filiazione comporta un vuoto di tutela per le famiglie non tradizionali difficile da ignorare. Richiede un’opera di supplenza da parte dei giudici che non dà certezze e non permette, in tempi celeri, di ottenere il riconoscimento di una condizione che di fatto già esiste e che andrebbe solo tutelata.
Differenze tra coppie non tradizionali o famiglie non tradizionali
Alla luce delle normative vigenti è evidente come il problema principale, in termini di tutela, resti la disciplina della filiazione per le coppie omogenitoriali.
Quindi più che un problema di riconoscimento dell’unione della coppia esiste, ad oggi, un problema nella tutela dei diritti delle famiglie non tradizionali, soprattutto laddove esistano dei figli minori non legati biologicamente a uno dei partner coinvolti.
La stessa Unione Europea da tempo raccomanda un intervento legislativo concreto, volto alla tutela e protezione dei bambini nelle famiglie non tradizionali.
Inoltre il fatto che i figli nati nelle unioni omosessuali siano considerati figli del solo genitore biologico trascende un concetto, ben considerato invece dalla giurisprudenza, in merito all’esistenza del genitore sociale: colui che si prende cura in senso morale e materiale del minore, a prescindere dal legame biologico, diventando una figura di riferimento da un punto di vista affettivo ed educativo. Un legame, quindi, che non può essere ignorato a livello legislativo andando a scindere la filiazione genetica da quella giuridica.
Soprattutto tenendo conto del superiore interesse del minore a vedersi riconosciuto lo status di figlio, in presenza di figure idonee e corrispondenti al ruolo.
Inesistenza di un diritto alla genitorialità per le coppie omosessuali
La grande differenza, in termini di tutela giuridica, tra coppie omosessuali ed eterosessuali è l’esistenza per queste ultime a un diritto alla genitorialità che viene concretamente sostenuto attraverso al possibilità di accesso a numerose alternative: procreazione assistita omologa, eterologa e adozione.
In Italia, concretamente, né l’adozione né le tecniche di procreazione assistita sono accessibili alle coppie omosessuali.
Nel caso dell’adozione, secondo l’art. 6 della L. n. 184 del 1983, la domanda può provenire unicamente da una coppia unita in matrimonio; alla procreazione assistita, invece, secondo la L. n. 40 del 2004, possono accedere unicamente soggetti “maggiorenni di sesso diverso” coniugati o conviventi.
Per quanto riguarda la gestazione per altri, infine, esiste un divieto assoluto di ricorrervi in Italia per tutte le coppie e le proposte di legge dell’attuale governo fanno temere per la possibilità che venga considerato un reato perseguibile anche se commesso all’estero e in paesi dove sia perfettamente legale.
Impossibile non notare, da queste disposizioni, come la discriminazione maggiore in termini di tutela giuridica, tra famiglie “tradizionali” e “non tradizionali”, si giochi tutta sul piano della filiazione.
Il diritto alla genitorialità, per le coppie omosessuali, non esiste e non viene garantito. Impedendo l’accesso a qualsiasi forma di procreazione o adozione che invece sono previste per le coppie eterosessuali.
Per quanto riguarda famiglie arcobaleno già in essere, poi, esiste un costante e concreto ostruzionismo nel voler riconoscere lo status di figli a minori già nati e che abbiano un rapporto di genitorialità sociale accertata con il genitore non biologico.
Nonostante esista un’intera linea di giurisprudenza che ha battuto la strada del riconoscimento della filiazione di fatto, garantendo almeno l’attuazione dell’adozione del partner, laddove la normativa non risponde alle esigenze dei figli di coppie omogenitoriali. Ma da un punto di vista prettamente normativo si finge che queste famiglie non esistano, nel tentativo estremo di non riconoscere loro la tutela giuridica cui avrebbero diritto, anche per una questione di principi di stampo europeo.
Il tutto in un’evidente compressione dei diritti dei minori coinvolti, oltre che di quelli dei genitori adulti che hanno dato vita a questa forma di famiglia.