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20 Novembre 2023
9:00

Federica Di Martino e il suo attivismo contro lo stigma dell’aborto: «Descriverlo solo come un trauma legittima la violenza»

Alla base della piattaforma creata nel 2018 dalla psicologa e psicoterapeuta Federica Di Martino, c’è la volontà di destigmatizzare la retorica che dipinge l’aborto volontario unicamente come un’esperienza dolorosa e di cui vergognarsi. La fondatrice del progetto a Wamily: “L’aborto è un’esperienza personale e, laddove è reso accessibile dallo Stato, di benessere e salute nella vita di una donna, anche se ad oggi resta uno dei più grandi tabù nel nostro Paese”.

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Federica Di Martino e il suo attivismo contro lo stigma dell’aborto: «Descriverlo solo come un trauma legittima la violenza»
Intervista a Dott.ssa Federica Di Martino
Psicologa e psicoterapeuta, fondatrice della piattaforma "IVG - sto benissimo"

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«Ho abortito e sto benissimo». È uno slogan che, a primo acchito, suona singolare, stridente, irriverente. Chi mai ha descritto l’Interruzione Volontaria di Gravidanza (Ivg) come un’esperienza positiva, non traumatica, non dolorosa, non vergognosa? Più di una donna, in realtà.

Nel 2012 esisteva in Francia un blog, J'ai avorté et je vais bien, merci («Ho abortito e sto bene, grazie»), uno spazio di libera condivisione di storie di aborti scelti e voluti. A popolarla erano donne che avevano abortito e volevano rivendicare il loro diritto a non essere discriminate, a non nascondere la loro storia, a non vergognarsi per quella che era stata una scelta volontaria e consapevole.

Quando Federica Di Martino, psicologa e psicoterapeuta, ci si è imbattuta, non si è limitata a leggere i racconti di quelle donne. Ha voluto replicare in Italia quel progetto tanto ambizioso che puntava a dissacrare il tabù dell’aborto e nel 2018 ha fondato la piattaforma Ivg – Sto benissimo, potenziando  l’aggettivo al grado superlativo.

«Ho voluto riproporre in Italia l’esperienza francese, accentuandola, – spiega Di Martino a Wamily – per provare a destigmatizzare la retorica violenta e unidirezionale che investe la narrazione dell’aborto, raccontata unicamente come un’esperienza traumatica e dolorosa».

La piattaforma nel tempo è cresciuta, facendosi promotrice di iniziative di prevenzione della salute riproduttiva e campagne a supporto delle donne che vogliono interrompere volontariamente la gravidanza ritrovandosi sole, spaesate e senza sostegno. «Abbiamo realizzato, ad esempio, un modello facsimile da presentare al medico di base per l’IVG e un registro contenente i nominativi di medici e strutture non obiettori, perché uno dei più grandi problemi è proprio sapere se un medico è obiettore o no, informazione che si ottiene solo chiedendolo» ha spiegato Di Martino a Wamily.

Perché è nato il progetto “IVG sto benissimo”?

Le esperienze di donne che hanno abortito vengono generalmente raccontate in forma anonima, con la voce campionata, come se fossero storie di pentiti di mafia, come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quelle interruzioni volontarie di gravidanza, mentre quello che c’è di sbagliato è il tabù e la vergogna che investono questo tema. La piattaforma, quindi, nasce come spazio dove le persone possono riappropriarsi della propria esperienza abortiva e raccontare la loro storia, fornendo al tempo stesso uno strumento alle altre donne che stanno per affrontare l’IVG e magari si trovavano senza aiuti.

Cosa significa unire nella stessa frase “aborto” e “stare bene”, un’associazione che suona quasi come un ossimoro?

Significa trasmettere l’idea che l’aborto è un’esperienza personale e come tale dovrebbe essere declinata. Diversi studi, nonché l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno sottolineato che l’aborto, laddove è reso accessibile dallo Stato, è un’esperienza positiva di benessere e di salute nella vita di una donna, anche se ad oggi in Italia rimane uno dei più grandi tabù. Lo vediamo nel periodo storico che stiamo vivendo, in cui le politiche a sostegno della natalità spingono per una maternità a tutti i costi, forzata, senza desiderio, che non contempla nel novero della salute riproduttiva ciò che non riguarda direttamente la riproduzione. Lo Stato avrebbe il compito di garantire un’esperienza di aborto quanto più dignitosa possibile e facilitata in termini di accessibilità, ma sappiamo bene che non è così.

Silenziare l’esperienza dell’aborto e descriverla come un trauma, un dolore, una vergogna, qualcosa di cui non si può parlare, legittima la violenza. Perché c’è una violenza istituzionalizzata e sanitaria espletata sui nostri corpi e sulle nostre esperienze, di cui non si parla mai. La violenza non è il nostro destino: lo diciamo già per la violenza di genere, ed è giusto parlarne anche per la violenza riproduttiva.

Che cosa intendi per “violenza riproduttiva”?

La stiamo vedendo anche nelle proposte dei movimenti antiabortisti, avanzate sulla scia di quello che è successo in Ungheria per l’obbligo dell’ascolto del battito fetale. Si tratta di una violenza che viene reiterata sui corpi di noi donne, partendo dall’assunto che facciamo delle scelte inconsapevoli. I diritti in Italia non si dovrebbero pagare in dazi di dolore, invece sembra che tanto più soffriamo quanto più  possiamo meritare, o meno, di accedere a un diritto, ma non funziona così.

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Federica Di Martino, fondatrice della piattaforma "Ivg – sto benissimo"

Cosa chiedono le donne che ti scrivono?

Di non essere giudicate. Ieri mi ha scritto una ragazza che aveva paura di essere incinta. Oggi ha effettuato il test di gravidanza, che è risultato negativo, e mi ha ringraziata perché non si è sentita giudicata e, per la prima volta, si è sentita accolta. A volte le persone per timore di scoprire una gravidanza indesiderata e andare incontro a un iter giudicante, violento, lungo, non eseguono il test e, di conseguenza, scoprono gravidanze tardive, con tutti i problemi che ne conseguono.

Le richieste, comunque, sono diverse. C’è chi mi contatta per il test di gravidanza, chi per i contraccettivi, chi per una gravidanza indesiderata, chi per raccontarmi la sua esperienza. Reclamano accoglienza e non giudizio, uno spazio in cui poter rielaborare la loro storia.

Purtroppo viviamo in una società giudicante, in cui se scegli di non essere madre non vieni accettata, se scegli di esserlo devi attenerti a dei parametri precisi, del tipo “la maternità è l’esperienza più bella della tua vita”, “devi abnegare la tua vita per la maternità”. Insomma, viene trasmesso un unico modo di essere madre, cioè quello “zitta, muta, fai figli e sii contenta”. Ma la vita è fatta di sfumature, di lotte, di ribellione… Questo il transfemminismo ce l’ha insegnato.

Proviamo a fare un punto sulla Legge 194: è attuale o richiede uno svecchiamento?

Attualmente la 194 è una legge profondamente sbagliata che ha compiuto 45 anni. Nasce da un compromesso storico tra i movimenti femministi e i partiti cattolici e si basa sul presupposto che la maternità è il valore sociale su cui si fonda la nostra nazione. Il mio slogan, “ho abortito e sto benissimo” mi sembra la minore delle contraddizioni rispetto a una Legge che impone l’obbligo di 7 giorni di riflessione per una pratica che è assolutamente sicura. Paradossalmente, un intervento alle tonsille può comportare rischi maggiori, eppure l’obbligo di riflessione viene imposto solo in caso di aborto.

Non è contemplato il diritto ad abortire per forme di autodeterminazione: nell’ideologia comune, non scelgo di interrompere volontariamente una gravidanza perché non voglio ma perché non posso, per motivi di natura psicologica, sociale, economica, per catastrofi nucleari… Se non porti avanti una gravidanza, è perché non puoi, non perché non vuoi.

Continuare a dire “nessuno tocchi la 194”, “giù le mani dalla 194” è una condanna per ogni donna che sceglie di non voler proseguire una gravidanza perché nei fatti il diritto d’aborto non è garantito. Dovrebbe esserci maggiore controllo e monitoraggio da parte delle Regioni, andrebbero forniti dati certi da parte di tutte le strutture – cosa che nei fatti non avviene – e ci dovrebbero essere delle soglie obbligatorie di personale non obiettore all’interno delle strutture. Consideriamo che se in un ospedale ci sono dieci medici e uno solo è non obiettore, tecnicamente la legge 194 è rispettata, ma nella pratica le liste d’attesa sono infinite e le donne sono costrette a spostarsi e intraprendere viaggi intra/extra-regionali: se rimanessero in lista d’attesa, e abortissero quando hanno disponibilità d’accesso, il feto avrebbe 14 anni.

Secondo l’ultimo rapporto del Ministero della Salute, le donne che abortiscono in Italia hanno in media tra i 25 e i 34 anni e la metà di loro ha già figli. Eppure, nella narrazione comune a ricorrere all’aborto sono per lo più adolescenti “inconsapevoli e ingenue”…

Sì, secondo la retorica dominante ad abortire sono le fantomatiche ragazzine che non utilizzano la contraccezione e usano l’aborto come se fosse un contraccettivo. La realtà è diversa ed è quella di donne che magari hanno già avuto un’esperienza di maternità e che nel dire “non voglio la maternità in questo momento” disattendono quel modello ideologico e patriottico per cui noi donne nasciamo e se mettiamo al mondo due figli abbiamo fatto un servizio al nostro Paese.

Una delle critiche più comuni all’aborto è: “Siamo nel 2023, si può evitare di rimanere incinte perché esiste la contraccezione”. È una semplificazione. Punto uno, non si rimane incinte per autoimpollinazione: dall’altra parte c’è qualcuno che concorre alla gravidanza ma che non viene mai chiamato in causa. Non si interroga mai l’uomo sulla corresponsabilità contraccettiva e di assistenza (anche economica) nei confronti della partner. Punto due, i costi dei contraccettivi continuano ad aumentare. Non c’è una reale volontà politica di agire sul problema.

La pillola verrà distribuita solo in consultori e ospedali e solo alle donne under 26. È un passo in avanti, o l’ennesimo “contentino” che non risolve il problema?

È l’ennesima presa in giro e la dimostrazione della mancanza di uno sguardo illuminato. Si discute di contraccezione gratuita, solo fino ai 26 anni e solo per specifiche pillole, senza considerare che alcune donne assumono la contraccezione orale per malattie, non solo come metodo contraccettivo. È una misura inutile che non sappiamo quando e in che forme prenderà il via. Le persone sono costrette ad andare in consultorio o in ospedale: auguriamoci che abitino tutte in grandi centri abitati… La vita vera delle donne non viene intercettata.

Sono dei contentini, dell’elemosina per cui dovremmo anche ringraziare e a cui non vengono affiancati, invece, misure di prevenzione come quella dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, definita “una nefandezze” durante l’emendamento del Movimento 5 Stelle.

L’aborto è un tema attuale nel panorama internazionale. Se da un lato arrivano dagli Stati Uniti notizie di diritti che, anziché essere conquistati, vengono persi, dall’altro Macron ha annunciato che la Francia includerà l’aborto nella Costituzione…

Da un lato – ed è una cosa che mi spaventa – gli orientamenti politici legittimano o non legittimano delle pratiche che dovrebbero essere, invece, dei diritti universali. In Italia, ad esempio, la salute è ordinamento regionale: a seconda del partito in carica nella Regione, il diritto mi può essere garantito o meno.

Per quanto riguarda la Francia, l’aborto verrà inserito come libertà, non come diritto. È il tentativo di inserirlo tra i diritti universali intoccabili per la vita delle persone.

Negli Stati Uniti, è stata ribaltata la Roe v. Wade, la legge sul diritto d’aborto: a livello federale il diritto d’aborto si configurava sulla base di una legge del 1973, che è stata rovesciata non in un giorno ma in anni, sulla base di un progetto che non investe unicamente l’aborto bensì tutti i diritti, riproduttivi, civili… Dimostra che ciò che è stato guadagnato a fatica può essere rovesciato da un giorno all’altro.

Abbiamo la necessità, quindi, di agire non solo per tamponare i fenomeni ma per creare una cultura di base. Agire solo sul piano legislativo senza cambiare la cultura d’appartenenza vuol dire che questi diritti saranno sempre rimaneggiabili e ribaltabili.

Si sono appena conclusi a Modena i “40 Giorni per la Vita”, il presidio di antiabortisti durato 40 giorni davanti al Policlinico di Modena per protestare contro l’aborto. Fino a che punto vale la regola del diritto a protestare nel momento in cui si contesta a qualcuno, in questo caso alle donne, il diritto alla salute?

Ho segnalato quello che stava per succedere a Modena prima che questa azione – che definisco vergognosa – partisse, provando a interpellare le voci politiche, ma non ho ricevuto alcuna risposta. In Spagna è stata avanzata una proposta di legge per vietare i picchetti davanti agli ospedali e alle cliniche perché equivalgono a dissuadere le persone da una scelta autodeterminativa. Purtroppo in Italia la violenza viene legittimata dal diritto di opinione, ma non tutto lo è. Quello che lede la libertà altrui, i diritti fondamentali, non è diritto d’opinione, è violenza e come tale deve essere inquadrata. Pensare che ci sia un picchetto di persone che pregano con fiaccole e cartelli con immagini forti contro l'aborto significa agire violenza sulle donne. Allora dobbiamo decidere da che parte stiamo: da parte delle donne e dei loro diritti, o dalla parte di chi quei diritti li vuole negare?

Accanto a noi ci sarà sempre una donna che ha abortito, ma noi continuiamo a pensare di essere le sole perché non lo diciamo, non lo condividiamo, e questa cosa contribuisce a isolare e silenziare.

A livello pratico, se una donna vuole abortire, cosa deve fare?

Nel momento in cui il test risulta positivo, la prima cosa da fare è ottenere il certificato per l’IVG dal medico di base, da un ginecologo privato o in consultorio gratuitamente. Non è necessario che il medico sia ginecologo, perché nella 194 si parla di “medico di fiducia”.

I certificati possono essere di due tipi: normale, che prevede l’obbligo di 7 giorni di riflessione, e d’urgenza, che non prevede la settimana di riflessione. A decidere quale dei due compilare è il medico. Non è necessario effettuare l’ecografia o rilevare il battito cardiaco perché gli esami verranno già eseguiti in ospedale. L’unico compito del medico è accertare attraverso un test di gravidanza positivo o l’esame delle beta che la persona è incinta e vuole interrompere la gravidanza.

Va quindi individuato l’ospedale dove si effettuerà l’aborto, o il consultorio (nel Lazio e in alcune zone della Toscana c’è la possibilità di assumere la terapia farmacologica direttamente in consultorio). Sia l’aborto chirurgico (entro le 12 settimane di gravidanza) che quello farmacologico (entro le 9 settimane) sono in day hospital: nel primo caso si entra in ospedale la mattina e si esce al pomeriggio, mentre la farmacologica prevede che si vada in ospedale due volte a distanza di 48 ore per l’assunzione delle due pillole e si torni dopo 15 giorni per un controllo di follow-up.

Di solito entro le 9 settimane di gravidanza viene consigliata la farmacologica, una pratica sanitaria che non richiede anestesia e, tra le altre cose, abbatte i costi del sistema sanitario pubblico perché non prevede anestesista, sala operatoria, stanza.

Le informazioni fornite su www.wamily.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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