«Io griderò sempre ai ragazzi che non c’è differenza tra uomo e donna, che nessuno ha il diritto di togliere la vita ad un altro essere umano. Siamo nati liberi, dobbiamo rispettare le scelte altrui, anche quando sono dolorose. L’amore non uccide. Ogni istante piccola Laura mia dammi la forza di continuare a sopravvivere, a lottare per te, non sei morta invano, il tuo sacrificio aiuta tutti ad amare di più la vita. Giorno dopo giorno vivrai attraverso me, io sarò la tua voce e griderò per te. Ti amo mia piccola stellina, la tua mamma».
Con queste parole cariche di affetto ma che raccontano un dolore immenso, Giovanna Zizzo introduce le lezioni itineranti, che fa di scuola in scuola sull'affettività e la parità di genere da quando, in una notte di fine estate, la sua vita è cambiata per sempre.
Giovanna era una donna e una mamma come tante, prima che colui che allora era suo marito decidesse nella notte del 22 agosto 2014 di uccidere loro figlia Laura di soli 11 anni e ferire, quasi a morte, Marika, la sorella che le dormiva accanto. Un uomo insospettabile ai tempi per Giovanna, nei cui comportamenti ha riconosciuto, col senno di poi, alcune avvisaglie pericolose, ma che allora credeva di conoscere come le sue tasche.
Poi un giorno la scoperta, proprio tramite le sue figlie:«Mamma, papà si scrive su Facebook con un'amica del cuore». 8 anni di una relazione con un'altra donna, tenuti nascosti a Giovanna e alla famiglia. A questo punto la donna decide di alzare la testa, di non perdonarlo più, chiede una pausa alla loro relazione, per capire cosa prova, che l'allora marito sembra accettare. Ma arriva l'epilogo, in quella notte di fine estate fatta di sangue, grida, dolore e vendetta, Laura, la figlia minore, viene uccisa da suo padre nel sonno.
Da allora Giovanna non vive, sopravvive, per i figli rimasti in vita, per Laura che non c'è più e per tutti quei ragazzi che ci spiega lei, «fin da piccolissimi devono sapere ciò che possono diventare, quello che la mente umana riesce ad architettare». Spera un giorno di poter essere di aiuto per quante più famiglie possibili, per poter essere la mamma di tutti. «Se salvo anche un solo ragazzo, so di aver salvato anche la mia Laura, e allora la mia vita torna ad avere senso».
Com’era la tua vita e quella della tua famiglia prima del 22 agosto 2014?
La mia vita e quella dei miei figli prima del 22 agosto 2014 all’apparenza sembrava la vita di una famiglia come tante. Io e quello che allora era mio marito ci siamo conosciuti quando avevo 13 anni e lui 16. Dopo 8 anni di relazione ci siamo sposati e abbiamo avuto 4 figli, due maschi Andrea e Emanuele e due bimbe, Marika e Laura.
In quello che sembrava il quadretto della famiglia perfetta, in realtà, sono iniziati, un po’ prima del 22 agosto 2014, alcuni problemi. Un giorno le mie figlie, che adoravano giocare insieme al computer, si accorgono di alcuni messaggi su Facebook, tra il loro papà e quella che mi dicono essere "la sua amica del cuore".
Quella donna, però, non era un'amica del cuore, ma un'altra compagna da ormai 7-8 anni. Quando ho scoperto tutto questo i miei sentimenti sono cambiati perché mi sono sentita tradita. È crollato quello che credevo essere il mio matrimonio perfetto, la mia famiglia perfetta. Sono stata malissimo e ho messo in discussione i miei sentimenti per lui, decidendo di prendere una pausa per capire dentro di me se riuscivo ancora ad amarlo. Io a quell'uomo sentivo solo di volere ancora molto bene, era la persona con cui sono cresciuta e senza di lui non riuscivo neanche a immaginarla la mia vita.
So ad oggi, di essere stata una donna e una moglie un po’ sottomessa. Quando ho scoperto il suo tradimento, per la prima volta ho alzato la testa e lui me l’ha fatta pagare nel peggiore dei modi, lasciando che sopravvivessi a mia figlia.
Poi, cosa è successo?
Io e mio marito stavamo vivendo una condizione di crisi matrimoniale, perciò gli ho chiesto per quell’estate, una pausa che consisteva nel lasciarmi i miei spazi, riuscire a stare anche lontano da me.
Continuavamo a vederci, per esempio la domenica prima del 22 agosto eravamo stati al mare tutto il giorno insieme, avevamo dormito nella stessa tenda sulla spiaggia con le bambine, il rapporto insomma non si era chiuso del tutto. Lasciavo aperto uno spiraglio nella nostra relazione, perché desideravo sistemare la situazione dentro di me.
Lui sembrava aver accettato questa cosa ma il 21 agosto di mattina mi chiamò con una scusa, e poi mi disse che sapeva che mi trovavo a casa dei miei genitori da sola e che quindi voleva poter salire un po’ da me, per parlarmi. Oggi, riflettendoci a mente lucida e stabile, dico che quella telefonata doveva già farmi paura: come faceva lui a sapere che mi trovavo a casa da sola, se lui non era lì con me? Ma sul momento non lo capii, e in maniera istintiva gli dissi che poteva salire. Quando appoggiai la cornetta del telefono, una strana sensazione mi pervase e sul momento pensai che fosse il caso di avvisare mio fratello, ma mentre stavo per fare il numero pensai che non c’era motivo per cui avere paura.
Lui arrivò, ci sedemmo l’uno dinnanzi all’altro e iniziò a raccontarmi tutto il tradimento, scendendo nei minimi particolari, fino a che io lo bloccai dicendogli che stavo facendo il possibile per provare a perdonarlo e avevo bisogno di non sentirle certe cose, di chiudere il cerchio.
All’improvviso suonò il campanello, ed era mia zia, in quel momento lui cambiò volto dicendomi «Potevi dirmelo che veniva tua zia» e io gli risposi che non lo sapevo che sarebbe arrivata. Se ne andò contrariato, portando con sé le bimbe a casa, che quella notte avevano dormito da mio fratello. Ancora non lo sapevo, ma sarebbe stata per me l’ultima volta che avrei visto mia figlia Laura viva.
Ti va di raccontarci cosa è accaduto tra il 21 e il 22 agosto?
Quel giorno i miei figli per la prima volta hanno vissuto un papà totalmente diverso dal solito. Lui era un uomo egoista e sempre chiuso in se stesso, difficilmente prendeva iniziativa se non spinto da me. Quel giorno invece, attorno alle 18.00 lo chiamai e sentii dietro alla cornetta le voci delle mie bimbe che scherzavano e ridevano di gusto, gli chiesi cosa stessero combinando e lui mi spiegò che stavano sistemando la spesa, dopo che erano stati insieme al supermercato. Mi disse anche questa frase: «Avevi ragione tu, quante cose mi sono perso dei miei figli» e io gli risposi: «Non è mai troppo tardi per ricominciare», ci siamo salutati ed è finita.
Più tardi ho scritto a mia figlia Marika che mi disse che il papà aveva deciso di portarli tutti fuori a cena a mangiare un panino, un’altra cosa che mi meravigliò. Mio figlio Andrea mi raccontò poi, che vista la strana proposta del padre e consapevole dei problemi economici della famiglia, intervenne dicendo che dopo la spesa, avrebbero potuto mangiare tutti a casa, invece di uscire a cena, ma lui non ne volle sapere. Dentro di me ho pensato che avesse capito l’importanza di essere presenti in famiglia, godersi ogni attimo con i propri figli, fare cose insieme. Sentivo le bimbe felici.
Messaggiando con Marika lei poi mi disse che il papà aveva deciso di portarla insieme a Laura al parco, mentre i due fratelli maggiori erano usciti con i loro amici della comitiva. Anche questo mi stranì e pensai nuovamente a un suo cambiamento.
Lui quella sera si fece vedere in paese con le bambine e chiese a Marika di fare un selfie con lui al centro e le due bimbe una a destra e una a sinistra. Chiese a Marika di pubblicare sui social la fotografia con la seguente didascalia “una bellissima serata col mio papino e la mia sorellina", Marika invece scrisse “Una bellissima serata trascorsa col mio papi e la mia sister”.
Una volta tornati a casa, mi scrissero la buonanotte e le bimbe mi dissero che avrebbero guardato un film nel lettone e si sarebbero poi addormentate lì, insieme al papà. Mi risultò stranissimo, lui mai aveva permesso ai bambini di dormire nel lettone, nemmeno quando stavano male. La mattina successiva lo avrei dovuto aspettare per le 7.00 per andare con lui e degli amici a fare un giro, parlai con lui e gli dissi “ci vediamo domattina”. Poco dopo lui mi richiamò per dirmi che non sarebbe potuto venire a prendermi poiché la macchina aveva un problema. Lo sentii frastornato e nervoso, io gli dissi di non preoccuparsi, che avrei usato la macchina dei miei genitori.
Era tutta una scusa, scoprimmo poi.
E invece di quella notte cosa ti hanno raccontato i tuoi figli?
Mio figlio Emanuele mi raccontò di essere tornato a casa dalla sua uscita con gli amici attorno alle 2.00 e di aver trovato il papà nella loro stanza al pc. Alla domanda sul perché fosse ancora sveglio lui rispose una frase che oggi suona agghiacciante: “vai a letto, domattina vedrai”. Mentre i miei figli dormivano, lui premeditava l’assassinio, vagando per casa alla ricerca di due coltelli molto affilati, che da sempre tenevo nascosti, vista la pericolosità delle lame, uno da pane e l’altro da arrosto.
Scrisse poi un biglietto indirizzato a me: Cara Giò, io ti amavo e non c’era bisogno di farmi passare tutto questo. Bastava solo perdonarmi perché io ti amavo e tu mi hai portato a fare quello che ho fatto e cioè alla follia. Come dicevi tu “la mente è un filo di capello” e, se tu mi avessi perdonato, tutto sarebbe tornato come prima.
Il resto è cronaca. Quella notte lui percorse il corridoio che divideva la sala da pranzo dalla camera da letto, si scaraventò su Laura per prima, colpendola mentre dormiva. Lei riuscì a fare un solo grido, che svegliò Marika che si accorse di essere in un bagno di sangue. Marika cercò di proteggere Laura dal padre, mentre continuava a colpirla, tirandola a sé, Laura cadde a terra e Marika urlò, mentre il padre iniziò ad accoltellare lei.
A questo punto intervennero i due fratelli più grandi svegliati dalle grida. Andrea nel tentativo di disarmare il padre, prese i coltelli dalla parte delle lame, tagliandosi le dita e Marika riuscì a scappare e chiedere aiuto agli zii, al piano di sopra. Emanuele strappò dei lembi di lenzuolo per coprire le ferite di Laura, ma lei morì dissanguata tra le braccia di Andrea.
Adesso, col senno di poi, pensi che ci fossero stati dei segnali della tossicità della relazione?
Ci sono stati dei campanelli d’allarme, ma li riconosco solo ora, un po' perché io e lui siamo stati insieme tantissimi anni e l'abitudine ha fatto sì che, nonostante sapessi benissimo che mio padre aveva cresciuto me e i miei fratelli ben diversamente da come lui stava crescendo i propri, negli anni imparassi a convivere con lui e con i suoi atteggiamenti.
Un po' devo dire che alcuni concetti, come la violenza economica, non li conoscevo nemmeno anche se li stavo subendo. Lavoravo ma i miei soldi andavano tutti a lui e chiedevo a lui delle monete quando mi serviva qualcosa. Se andavo a fare la spesa dovevo lasciare sul tavolo il resto e lo scontrino, tutte cose sbagliate. Io oggi ripeto continuamente alle ragazze di continuare con gli studi, costruire la loro indipendenza economica, questo è già un modo per essere libere.
Poi devo dire che credevo di non poter proprio vivere senza di lui. Alla fine stava con me da quando avevo 13 anni, per questo non l'ho lasciato quando ho scoperto del tradimento e ho cercato di ricucire la nostra relazione. Ero a conoscenza del fatto che non stesse bene a causa della nostra situazione sentimentale, ma nemmeno io stavo bene. Dopotutto eravamo nel pieno di una crisi matrimoniale. Eppure mai prima di quella notte aveva manifestato atteggiamenti di violenza fisica, nei miei confronti o nei confronti dei miei figli, questo ci tengo a dirlo. Capitavano scatti d’ira ma nulla che lasciasse presagire una reazione del genere.
Questo per dire e sottolineare che mio marito non era un matto o uno schizofrenico, era una persona come tante, che vivono un una famiglia come tante, con le sue gioie e i suoi problemi.
Il fatto è che noi ci siamo sempre ripromessi che qualsiasi cosa sarebbe accaduta nella nostra vita coniugale ce la saremmo detti in faccia, senza nasconderci. Lui il coraggio di dirmi cosa stava facendo con un’altra donna non lo ha avuto, e a quel punto io, che non lo avevo mai fatto, ho alzato la testa, non ero più disposta a fare la mogliettina perfetta.
Russo ha lasciato una lettera che ti incolpava dell’accaduto. La violenza psicologica è continuata dunque anche dopo quella fisica?
Nel biglietto c'era scritto "Bastava solo perdonarmi perché io ti amavo e tu mi hai portato a fare quello che ho fatto e cioè alla follia". Il pensiero di Laura, e del senso di colpa che lui ha voluto innescarmi, mi perseguita ancora, mi chiedo spesso "E se io avessi abbassato la testa?", "Se fossi stata zitta, mia figlia sarebbe ancora viva?". Ma quando mi avvilisco con questi pensieri mia figlia Marika, che è a tutti gli effetti una sopravvissuta, mi dice “mamma non è giusto". Lo so anche io che non è giusto, non si può pensare che una donna debba avere paura a interrompere una relazione, perché le sue decisioni potrebbero ritorcersi contro di lei o contro i suoi figli.
Io oggi provo quello che chiamo "ergastolo del dolore" e di questo dolore, questi rimpianti che a volte tornano alla mia mente, ne ho fatto una missione: raccontare ai giovani la nostra storia, per sensibilizzarli, per dare loro un monito. I ragazzi e le ragazze lo devono sapere bene: la mente umana può arrivare fino a lì. Se non si bloccano dal principio certi atteggiamenti, se non parlano tra di loro, se covano rabbia e rancore si arriva a un punto di non ritorno. I ragazzi devono essere educati a chiedere aiuto se provano sentimenti contrastanti, se vivono situazioni che non vanno, altrimenti ciò che resta sono vite distrutte, morte e un dolore che non lascia in vita neanche chi sopravvive.
Si tende a incolpare spesso i genitori, la situazione familiare, se un figlio o una figlia ha atteggiamenti violenti. Cosa ne pensi?
Saremmo allora tutti assassini, se fosse davvero così.
È chiaro che le prime persone con le quali ce la si prende, se un figlio sbaglia, sono i genitori, ma io penso che un genitore cerchi solo di fare del suo meglio per crescere un figlio. Ognuno di noi, però, conosce i propri figli per il tempo e i momenti vissuti insieme tra le mura domestiche, magari anche a scuola se monitoriamo i loro libretti elettronici e ascoltiamo gli insegnanti. Questi ragazzi, però al di fuori hanno tutta un’altra vita, che si può seguire ma non permette di prevedere che il ragazzo sarà violento, perseguiterà o ucciderà una persona.
Io penso che le famiglie stiano vivendo un momento molto difficile, si sfaldano in fretta e temono le ripercussioni delle loro decisioni sui figli, per timore che ai ragazzi manchi l’affetto decidono quindi di accordargli ogni cosa, tutto è sempre sì. Poi i ragazzi crescono, la vita li mette davanti ai “no” e non sanno come affrontarli, arrivano addirittura a pensare che la soluzione a tutto sia la violenza.
Da cosa è nata l'idea di fondare l'associazione "Laura vive in me"? E quali obiettivi si pone?
All'inizio non volevo creare l'associazione, perché mi sembrava l'epilogo sempre identico di tantissimi casi di violenza. A spingermi a crearla è stato il desiderio di portare a compimento uno dei sogni di mia figlia, che ho letto in un suo tema scritto a scuola.
Laura amava molto gli animali, voleva fare la veterinaria e costruire un'immensa fattoria in cui curare gli animali abbandonati o maltrattati. Con i fondi che raccolgo aiuto i volontari che si curano degli animali, gatti e cani abbandonati. Poi sto lavorando per creare un grande oratorio dove poter accogliere tutti i ragazzi. Molti ragazzi già mi chiamano mi chiedono aiuto, ma io vorrei ci fosse un posto dove sanno di potermi trovare, sanno che lì c'è "la mamma di tutti". Se posso salvare un ragazzo, quella per me è una vittoria, così so di aver salvato la mia Laura.
Il governo parla di introdurre l'educazione all'affettività nelle scuole superiori, tu però ti rechi a raccontare la tua storia anche alle primarie. Quanto è importante educare i bambini alla parità fin da piccoli?
È importantissimo iniziare a parlare di affettività ai bambini già da piccolissimi. Se ci pensiamo ai bambini si insegna ad amare gli animaletti, con i racconti o regalandogliene uno, che sia un cagnolino, un gatto, un canarino o un pesce rosso, il bimbo impara a prendersene cura, e cresce comprendendo bene cosa siano l'empatia e l'amore verso gli altri, sentimenti che se ben coltivati, possono impedire a un uomo o a una donna di diventare assassini.
Ti faccio un esempio, il mio nipotino, nato due anni dopo la morte di mia figlia, oggi ha 8 anni e da pochissimo gli abbiamo spiegato bene la verità sull'accaduto. Prima mi accompagnava al cimitero a lasciare un fiore, guardava le foto di Laura ma senza sapere cosa quella notte fosse successo. Quando ha scoperto che a uccidere Laura era stato proprio il suo papà, inizialmente ha avuto paura, manifestando un po' di timore nei confronti del suo papà. Però gli ho spiegato con le parole che un bimbo di 8 anni può comprendere, che ci sono uomini buoni come il suo papà, e uomini che decidono di smettere di essere padri diventando cattivi. Serve sensibilizzare i bambini, anche se piangono, non dobbiamo temere di dare risposte alle loro paure.
Io inizio sempre gli incontri che faccio leggendo una lettera che ho scritto tempo fa a Laura, in una notte in cui non riuscivo a dormire e il ricordo di lei si sovrapponeva alla violenza subita. Mi sono domandata se una lettera dal contenuto così forte fosse adatta ai bambini di 11-13 anni e ho parlato con una preside che mi ha detto: «Se le va facciamo un sondaggio sui ragazzi, per vedere quanto sono esposti a contenuti violenti». Prima di leggere la lettera abbiamo quindi chiesto alla platea quanti di loro avessero visto "Mare fuori" e quasi tutti hanno alzato la mano, poi quanti di loro avessero un telefonino e ancora una volta hanno alzato tutti la mano. Non l'hanno alzata però, quando abbiamo chiesto loro se avessero attivi dei blocchi ai contenuti o il parental control. A questo punto ho pensato che non c'era motivo per il quale avrei dovuto negare ai ragazzi la possibilità di ascoltare la mia storia, dal momento che sui loro cellulari sono continuamente esposti a immagini di dolore. È bene che bimbi e bimbe sappiano cosa possono diventare, per placare istinti legati al bullismo o alla violenza in generale.
Un'altra cosa alla quale può portare questa sensibilizzazione alla parità di genere fin dalla tenera età, è che il bimbo denunci una situazione familiare che non funziona. Se il papà sminuisce la mamma, può succedere che anche il bimbo lo farà e si comporterà allo stesso modo con una fidanzata, se nessuno gli dice che è sbagliato. Se il bimbo riconosce invece che l'atteggiamento è sbagliato, può chiedere il perché, o intervenire.
I tuoi figli hanno sentito l'esigenza di cambiare cognome?
Sì, hanno aspettato che Marika, la più piccola, finisse le superiori, poiché non voleva destare scalpore nella sua classe. Quando lei ha fatto la maturità, tutti e 3 si sono tolti quel cognome ingombrante, che era per loro diventato il cognome di un assassino.
Nonostante questo è come se un'ombra fosse sempre su di loro, capita che qualcuno in paese li additi come i figli del padre assassino. Oppure mio figlio si è fidanzato e c'era chi diceva che avrebbe fatto alla sua compagna ciò che suo padre aveva fatto alla sorella. Queste cose sono davvero pesanti, per fortuna i miei figli hanno tanta voglia di vivere e andare avanti e troveranno le persone giuste.
Hai parlato di un atteggiamento dello Stato che induce a pensare che ritenga alcune vittime "di serie A" e altre "di serie B", cosa intendi?
I miei figli non sono riconosciuti dallo Stato come vittime, nemmeno Marika che è a tutti gli effetti una sopravvissuta e ha sul corpo più di 80 punti. Se però avesse avuto un difetto fisico visibile, a causa della violenza, per esempio sul volto o su parti esposte del corpo, allora sarebbe stata una vittima per lo Stato.
È giusto invece che i miei figli siano riconosciuti come vittime, non perché vogliamo un aiuto economico, ma perché vogliamo sentire le istituzioni accanto quando succedono queste cose. I miei figli hanno visto qualcosa di inimmaginabile e nessuno ha chiesto loro di cosa avessero bisogno. Serve un canale che dia speranza a questi ragazzi che hanno perso una sorella, un padre. Emanuele per esempio non è più riuscito a studiare, dopo l'accaduto ha lasciato le superiori al quarto anno.
Io dopo 9 anni sto ancora aspettando le chiamate da un centro psicologico per fare le sedute, sono stata letteralmente abbandonata, ho dovuto lasciare la casa in cui ho vissuto per quasi 25 anni, i miei figli hanno dovuto abbandonare l'abitazione, la loro quotidianità. Chi vive una tragedia del genere e porta dentro sé tutto questo dolore, non può certo pensare anche che non sa come sfamare i propri figli, come arrivare a fine mese. Io non ho mai chiesto soldi, ho chiesto di poter avere un lavoro, invece ciò che ha commesso quell'uomo, riportato su tutte le prime pagine, ha fatto sì che spesso ai colloqui di lavoro non mi volessero. Io mi sono trovata a non sapere come pagare i libri per i miei figli.
Ci vorrebbe un aiuto psicologico obbligatorio anche per i miei figli, non posso essere io a spingerli ad andare dallo psicologo, altrimenti nascono altri problemi, il dolore non si ferma, logora da dentro se non viene arginato, controllato, compreso. All'apparenza le vittime stanno anche bene a volte, ma la loro mente non può cancellare da sola il dolore subito.
Oggi è la giornata per l'eliminazione della violenza sulle donne, cosa pensi serva fare davvero per sensibilizzare sul tema?
Io il 25 novembre faccio lo stretto indispensabile, a volte vorrei non fare nulla, perché il problema non è sensibilizzare il 25 novembre ma tutti i giorni. Frasi fatte e slogan non servono a nulla se non si interiorizzano. Servono veri e propri cambiamenti, quello culturale, partendo dalle scuole, quello legale, con norme stringenti e l'azione immediata quando una donna denuncia una situazione che la preoccupa.
C'è una modalità di narrazione della violenza di genere o domestica sui social o in tv che non condividi?
Ci sono alcune cose che in effetti non vanno. Quando accadono queste tragedie è importante che i giornalisti abbiano la coscienza di scrivere la verità, senza lasciarsi andare a narrazioni finte o romanzate. Non è neanche giusto mettere titoli sensazionalistici o, peggio, giustificare gli assassini.
Posso raccontarti un episodio, Marika è stata in coma dopo le coltellate subite dal padre, è rimasta poi ricoverata in ospedale un bel po', non l'ho lasciata neanche un secondo, nel reparto di psichiatria infantile ad Aci reale. È stata dimessa di sabato e il lunedì avrebbe iniziato il suo primo anno di scuola superiore. Lei, nonostante la sua fragilità fisica ed emotiva, ha insistito per entrare come tutti gli altri alunni al suono della prima campanella, mi ha proprio detto "Mamma lasciami vivere, perché io so cosa significa morire".
Stava cercando di ricominciare a vivere la vita nella maniera più normale che conoscesse, qualche settimana dopo su un quotidiano nazionale esce un articolo in cui c'è un'intervista di una giornalista che sembrava, dalle sue parole, avesse intervistato mia figlia. Stiamo parlando di una ragazza minorenne, da poco sopravvissuta alle coltellate del padre. Ovviamente è intervenuto il Tribunale dei Minori, mi sono dovuta difendere, volevano togliermi tutti i bambini: l'accusa era che io non fossi in grado di curarmi dei miei figli. Questo per dire che tv, giornali, fonti di informazioni hanno le loro colpe, il lavoro da fare è ancora molto.
Come si fa a ricominciare a vivere?
Io penso che non si ricominci davvero a vivere. Io non vivo, sopravvivo alla morte di mia figlia, sorrido perché devo ma mi perseguita un senso di vuoto.
Il Natale per me non esiste più, ciò che faccio lo faccio per i miei figli, per i miei nipoti e perché penso che alla fine se Laura fosse stata qui avrebbe voluto questo.