La vita di Giulia Lamarca è segnata da un prima e da un dopo. Sulla linea di confine tra queste due realtà c'è una data, il 6 ottobre 2011, quella di un brutto incidente in moto. Da lì, a soli 19 anni, un susseguirsi di operazioni, la speranza di tornare a camminare presto sfumata, la fisioterapia, l'incontro con Andrea, il suo attuale marito, le insicurezze, i viaggi.
Oggi Giulia racconta la sua vita sui social, viaggia per il mondo, cerca di abbattere le barriere architettoniche e quelle culturali nei confronti della disabilità.
Da un po' di tempo a questa parte i biglietti per i voli internazionali da acquistare non sono più due ma tre. Dopo averla a lungo attesa è arrivata Sophie, la loro bimba, che ha mosso i primi passi a Londra e spento la sua prima candelina a Bali, adora il cibo asiatico, i volti delle persone e conosce il valore della diversità.
- 1Il desiderio di diventare una famiglia
- 2L'aborto spontaneo e la condivisione del dolore sui social
- 3La gravidanza e la vita di coppia dopo un aborto
- 4Com'è la vita di una mamma viaggiatrice?
- 5Come incide la disabilità sul tuo essere mamma
- 6Cosa chiederesti alle istituzioni per un mondo che impari a integrare la disabilità
Il desiderio di diventare una famiglia
Terminata l'operazione, dopo l'incidente, Giulia ha avuto una sola domanda per i medici: «La prima cosa che ho chiesto al risveglio è stata se potessi avere figli, sembra oggi una domanda controtendenza, ma io sapevo di voler diventare mamma. Mi sono chiesta questo, ancora prima di chiedermi se sarei mai tornata a camminare».
Giulia e Andrea quindi hanno sempre parlato della possibilità di avere figli e allargare la famiglia, ma hanno avuto una visione lucida durante un viaggio a Raja Ampat, arcipelago tra la Nuova Guinea e l'Indonesia.
Lì tra la natura incontaminata e l'assenza di internet hanno compreso che la loro idea di genitorialità era fatta di presenza, sarebbero diventati mamma e papà se fossero riusciti a dedicarsi al cento per cento a loro figlia.
«Abbiamo capito che avremmo dovuto investire nei social, non perché cercassimo la fama, ma perché così avremmo potuto lavorare insieme e magari da casa. A me le tate non sono mai piaciute, nonostante io stessa sia cresciuta con le tate, penso che spesso con i bimbi si possa anche sbagliare ma se c'è qualcuno che deve commettere degli errori con nostra figlia, quel qualcuno preferisco essere io».
Sophie, però si è fatta attendere parecchio, lei e Andrea l'hanno cercata per più di 4 anni, ma la doppia lineetta sul test di gravidanza sembrava non arrivare mai.
L'aborto spontaneo e la condivisione del dolore sui social
Giulia sui social, in occasione della festa della mamma, ha condiviso con i suoi 361.000 followers per la prima volta un evento molto doloroso per lei, l'aborto spontaneo vissuto prima della nascita di Sophie.
«Non a caso ho scelto la data della festa della mamma, per raccontare il mio aborto. Perché io mi sono sentita comunque madre e ho pensato che tutte le donne che lo hanno vissuto, anche se nessuno lo dice loro, debbano potersi sentire ugualmente mamme».
Sono molte le donne che affrontano questo dolore ma sui social se ne parla molto poco, forse perché lo si scopre spesso in quella fase così delicata della gravidanza, durante la quale ancora nessuno oltre la coppia sa dell'arrivo del bambino.
«Raccontare l'aborto significa dire agli altri che sei stata incinta, quando loro nemmeno lo sapevano, e che poi il bimbo lo hai perso. É difficile pensare che gli altri comprendano un dolore così difficile da metabolizzare».
La gravidanza e la vita di coppia dopo un aborto
«Vivere la gravidanza di Sophie, dopo l'aborto è stato strano, ero felice ma la mia felicità mi sembrava cristallizzata. Avevo paura di crederci troppo».
Giulia ha visto il suo sogno di diventare madre interrompersi, durante la prima gravidanza, al quarto mese, nonostante generalmente il rischio di aborto spontaneo rientri al terzo mese. Da qui la sua forte paura anche quando Sophie ha iniziato a farsi sentire dentro di lei.
«L'aborto è un dolore che ti rimane, ti causa una forte ansia al pensiero di una gravidanza, ti fa provare emozioni contrastanti. Anche oggi che vorrei diventare mamma di nuovo, nonostante io abbia Sophie tra le mie braccia, ho paura».
Il dolore che causa un evento drammatico come un aborto spontaneo è così forte da insinuarsi ovunque, anche tra le crepe di un rapporto di coppia ben consolidato. «Io dopo l'aborto ho avuto un momento di crisi molto particolare, che ha portato me e Andrea, che prima non eravamo mai stati separati per più di due giorni, a rimanere distanti per un mese. Addirittura per una settimana abbiamo vissuto in due case separate».
La separazione deriva dal fatto che l'aborto è un dolore intimo, che chi non prova non comprende e chi prova, anche nella coppia, vive a modo proprio: «Ero devastata perché provavo a raccontare alla gente come mi sentivo e tutti sembravano sminuire, mi sentivo pazza. Non ci capivamo nemmeno io e Andrea, perché ognuno di noi lo ha vissuto a modo proprio».
Com'è la vita di una mamma viaggiatrice?
Per Giulia e la sua famiglia alcuni concetti che per noi sembrano essere ben consolidati e sempre uguali, sono molto diversi. Per esempio casa per la maggior parte di noi sono 4 mura, un nucleo di persone ben definito, per Giulia casa è un po' tutto il mondo.
«Io non ho mai amato stare a casa, per me la vita è fuori. In giro per il mondo mi sento viva, tra 4 mura la mia creatività si spegne e con lei la mia mente. Per me oggi che c'è Sophie casa è tornare in certi posti, dove ho collezionato ricordi con lei, dove ho creato un'abitudine».
Viaggiare poi permette a Giulia di trasmettere alcuni valori secondo lei fondamentali a Sophie.
«Vorrei che lei imparasse l'uguaglianza, la parità, che siamo tutti diversi e tutti umani e a non giudicare. A me viaggiare ha insegnato una cosa che sarebbe stata di certo una medicina per la mia insicurezza se l'avessi appresa in adolescenza, che se qui alle persone non vado bene, potrei però piacere molto dall'altra parte del mondo».
Non mancano le critiche per questa scelta di vita, ma Giulia è convinta che viaggiare per la sua famiglia sia un valore aggiunto, nonostante alcune volte i commenti la mettano in difficoltà.
«Non conosco molte famiglie che trascorrono in serenità intere giornate insieme, noi riusciamo proprio perché viaggiamo molto. Certo a volte ho paura, mi chiedo se sto facendo la cosa giusta, anche se da quando è nata Sophie cerchiamo sempre di scegliere mete con ospedali raggiungibili. Mi criticano anche perché Sophie non va all'asilo nido, ma lei non ha problemi di interazione, ha la possibilità di stare con tanti bimbi e giocare, quindi non penso ne abbia bisogno».
Come incide la disabilità sul tuo essere mamma
La disabilità ha fatto dubitare Giulia di poter diventare mamma e poi, quando ha partorito Sophie, le ha messo davanti una capo reparto che non voleva saperne di far rimanere Andrea accanto a lei.
«Ho partorito in periodo Covid-19, c'erano tanti problemi, lo so. Io, però, dopo il cesareo ero totalmente debilitata, avrei avuto bisogno di una persona con me h24, per poter tenere vicino Sophie, allattarla, muovermi. E le mie richieste nel 2023 sono state considerate un capriccio e non una necessità dalla capo sala, per fortuna però è intervenuta una oss in mia difesa ed è andato tutto per il meglio».
Sophie poi non sa stare sul passeggino, a differenza di altri bambini, perché Giulia da sempre la porta in giro sulle sue ginocchia in carrozzina. In compenso è una bambina aperta alla diversità, che l'accoglie come un dono.
«Sophie interagisce molto bene con la mia disabilità, sa bene cosa posso e non posso fare e mi stupisce sempre. L'altro giorno le ho dato due bambole, una in carrozzina e una senza, per vedere la sua reazione e lei ha giocato tutto il tempo con la bambola in carrozzina, tenendola per mano, non me lo aspettavo, ma è stato bellissimo».
L'unica paura che Giulia ha, a proposito del connubio tra maternità e disabilità, è legata al futuro: «Non ho preoccupazioni legate al mio rapporto con Sophie, temo però che un giorno qualcun altro discriminerà me e di conseguenza lei. Per esempio ho paura che alle elementari lei vorrà invitare a casa un’amica ma i suoi genitori non vorranno perché sono disabile, sarebbe una forte sofferenza».
Cosa chiederesti alle istituzioni per un mondo che impari a integrare la disabilità
Giulia vorrebbe che le persone disabili fossero più presenti in ogni ambito, perché chi vive una certa condizione ovviamente è più competente a riguardo e in un team che funzioni, più si è diversi più si è inclusivi e creativi.
«A volte le persone mi fraintendono, dicono che io voglio mettermi ovunque, per esempio sono anni che lotto per andare a Pechino Express, ma lo faccio perché so di avere un buon bacino di utenza, so che se dico una cosa io, se metto un tag, magari viene visto. Se non dovessero prendere me ma un’altra persona in carrozzina per me andrebbe bene uguale. Vorrei più persone in carrozzina in politica, nella moda. Vorrei delle case costruite su misura per tutti nel 2023. Io e Andrea ne cerchiamo una da due anni e i costruttori sanno rispondermi solo "ma va beh prendi l'ascensore". Vorrei anche delle multe per le compagnie aeree non attrezzate per le persone disabili».
Alla fine anche nelle piccole realtà, quando c'è una persona disabile che si lamenta perché il mondo che la circonda non permette di essere autonoma, allora i parco giochi diventano agibili, si costruiscono le rampe, i posteggi appositi. Perché è solo parlando con chi manifesta un disagio che si impara a risolverlo.
Il mondo ideale per Giulia è quello che già esiste negli occhi di Sophie, così semplici e puri che convivono con i viaggi e la disabilità dalla nascita, che non si fanno domande, ma sanno cogliere la diversità come un'opportunità e mai come un limite.