Pianti, gridolini, sillabe sparse, movimenti degli occhi e parole storpiate, così i più piccoli iniziano a comunicare con noi genitori. A volte non ci facciamo caso, presi come siamo dal desiderio di sentire pronunciare la prima parolina. Anche perché la sorellina a 3 anni parlava benissimo, e i vicini di casa irrompono nella nostra vita chiedendoci: “Ma ancora non parla?”.
Non serve certo fare paragoni o preoccuparsi troppo, come ci spiega la logopedista Camilla Gosti: «indicativamente attorno ai 4 anni il linguaggio del bambino dovrebbe essersi sviluppato ma non si possono fare generalizzazioni, noi usiamo degli intervalli, per regolarci, ma ogni bambino è diverso e ha i suoi tempi, che vanno rispettati».
Come comunicano i bambini in base all’età
Innanzitutto va fatta una distinzione tra comunicazione e linguaggio. Comunicare significa mettere in comune, quindi entrare in relazione con l’altro, senza utilizzare per forza la parola. Se ci pensiamo è quello che fanno i neonati: piangono per dirci che hanno fame, sonno, che non stanno bene.
Solo crescendo i piccoli imparano a comunicare attraverso il linguaggio verbale, che utilizza appunto un codice comune: il linguaggio.
La logopedista Camilla Gosti ci ha fornito una classificazione delle modalità comunicative più comuni in base all’età
10 mesi
Attorno a questa età c’è la lallazione, che consiste nella produzione di suoni o sillabe che servono ai bambini per sperimentare. I piccoli si ascoltano, utilizzano per la prima volta un nuovo livello articolatorio e sono desiderosi di comprendere le reazioni dei genitori. «In questa fase i piccoli non vogliono davvero dirci qualcosa, anche perché interagiscono soprattutto con lo sguardo. Osservano la realtà che li circonda e iniziando ad indicare gli oggetti». Anche la gestualità e, in particolare il pointing, ossia indicare un oggetto, è una forma di comunicazione.
1 anno – 1 anno e mezzo
In questa fase oltre ai gesti, il piccolo inizierà a usare la cosiddetta “parola frase”. «Il bimbo con una singola parola cercherà di esprimere un intero concetto. Per esempio dirà “pappa”, intendendo che ha fame e vuole mangiare. Oppure dirà “dammi”, indicando con la manina».
2 anni
Verso i due anni i piccoli iniziano a comporre le prime frasine, e a poco a poco fanno del canale verbale, la loro modalità comunicativa prediletta.
2-3 anni
Avviene in questo periodo quel fenomeno anche chiamato “esplosione del vocabolario”. «I piccoli iniziano a utilizzare verbi e aggettivi e fanno del canale verbale la loro forma di comunicazione preferenziale».
Questa classificazione è utile agli specialisti per sapere come muoversi, tuttavia è normale che il piccolo tenda a semplificare le parole, mentre le sta imparando.
«Sono semplificazioni fisiologiche, non possiamo aspettarci da un bambino che immediatamente impari suoni difficili come la “r”. Alcune perdurano, altre indicativamente scompaiono intorno ai 4 anni, ma tutto dipende dal bambino e dall’ambiente che lo circonda» ci dice la logopedista Camilla Gosti.
Come possiamo aiutare il piccolo a comunicare
Esistono alcune semplici strategie, che probabilmente già mettiamo in atto senza saperlo, per stimolare la parlantina del nostro bambino. Partiamo dal presupposto che i piccoli ci imitano, quindi parlare a loro ripetendo dei suoni, li stimolerà a provare a fare lo stesso.«Un trucchetto può essere verbalizzare durante la routine, ossia ripetere sempre le stesse frasi quando cambiamo il bimbo o quando gli diamo la pappa. Così il piccolo imparerà le parole anche legate ai singoli contesti» suggerisce la logopedista Gosti.
Poi dobbiamo seguire gli interessi del bimbo stare attenti a cosa fa, cosa gli piace, parlargli di quello, verbalizzando ogni azione.
«Quando inizia a dire le prime parole per invitarlo a parlare sempre di più possiamo porgli delle domande aperte, senza che debba rispondere solo “sì” o “no”, per esempio “vuoi lo yogurt o la mela?”». Sia che il piccolo indichi o ci parli ha davanti più possibilità e avrà comunque sentito più parole, che proverà poi a ripetere.
Spesso quando parliamo con i bambini tendiamo a usare vezzeggiativi, a storpiare noi per primi le parole, la dottoressa Gosti a proposito di questo ci dice: «Semplificare il linguaggio in modo che sia più accessibile al piccolo non è sbagliato, l’importante è fornirgli sempre anche la versione corretta, cosìcché possa impararla».
Essenziale rimane non avere fretta, c’è un tempo per tutto, ascoltare un bambino che inizia a parlare lentamente, con frasi a metà e in maniera cantilenante, non rispetta i nostri standard di adulti che corrono velocissimi. Eppure dobbiamo armarci di pazienza e comprendere che completare le frasi del bambino lo rende solo frustrato e poco consapevole delle sue capacità.
Maschi e femmine iniziano a parlare con la stessa velocità
C’è questa idea diffusa che le bambine si sviluppino prima dei bambini, anche nel linguaggio. La logopedista Gosti, smonta questo falso mito, raccontandoci che il professionista tiene in considerazione altri parametri. Un elemento importantissimo è l’ambiente dal quale arriva il piccolo, la seduta dal logopedista prevede, infatti, nella sua fase iniziale una serie di domande ai genitori.
Serve comprendere la cultura, il livello di esposizione al linguaggio. «Ogni caso viene valutato singolarmente, il genere del bambino non è un parametro del quale tengo conto, anche perché a livello scientifico ci sono studi discordanti riguardo la predisposizione al linguaggio a seconda del sesso» ci dice la logopedista Camilla Gosti.
Quando andare dal logopedista
Dobbiamo sempre ricordare che ogni bambino ha i suoi tempi per apprendere e che la comunicazione inizia con i gesti, ancora prima che con le parole.
Tuttavia, è molto evidente quando il piccolo ha bisogno dell’intervento di un logopedista:
- se non emette alcun suono (neanche i versetti onomatopeici)
- se non risponde agli stimoli
- se non comprende ordini semplici
- se non si muove neanche per indicare qualcosa che desidera
Lo specialista ha una scala di riferimento, se il piccolo tra i 20 e i 24 mesi non conosce almeno 50 parole, è bene fare una visita e studiare la strategia migliore per aiutarlo nell’apprendimento del linguaggio. Nonostante l’evidenza delle problematicità del linguaggio dei casi che prevedono l’intervento dello specialista, la logopedista Gosti conclude così: «Un genitore dubbioso non è un genitore sereno, quindi se qualcosa non ci convince, rechiamoci da uno specialista che ci rasserenerà sicuramente».
In ogni caso, non spaventiamoci troppo, con costanza e impegno, soprattutto se si inizia dall’infanzia, il linguaggio del nostro piccolo può sicuramente migliorare.