Continuano a venire a galla nuovi effetti perniciosi prodotti dalla pandemia da Covid-19 sulla salute, fisica e mentale, e sullo sviluppo dei più piccoli. Un gruppo di quattro psicologi spagnoli, docenti dell’Università Autonoma della Complutense di Madrid, ha recentemente studiato lo sviluppo del linguaggio nei bambini, concludendo che i nati durante l’emergenza sanitaria, o subito prima, hanno più difficoltà a sviluppare le loro competenze linguistiche, rispetto a chi è nato prima dell’isolamento sociale e delle restrizioni e ha avuto il tempo per “esercitarsi" nelle interazioni sociali. I “figli della pandemia”, in sostanza, fanno più fatica a imparare a parlare e hanno un vocabolario meno ricco rispetto a quanto atteso per la loro età.
Il motivo all’origine dello sviluppo rallentato del linguaggio nei piccoli nati durante l’emergenza sanitaria è semplice. Nei primi mesi di vita di un neonato il contatto fisico, il tatto, le espressioni del volto, la condivisione di oggetti e, in generale i messaggi non verbali che prevedono una comunicazione “vis-à-vis ”, costituiscono un prerequisito essenziale per l’apprendimento delle abilità linguistiche, che durante la pandemia è venuto meno. A causa delle restrizioni, i più piccoli hanno ricevuto meno stimoli linguistici, e quelli che hanno ricevuto erano depotenziati o ostacolati dall’uso prolungato delle mascherine e dalle scarse interazioni sociali a cui erano esposti in quel periodo.
Lo studio spagnolo, condotto dai docenti universitari Eva Murillo, Marta Casla, Irene Rujas e Miguel Lázaro, ha analizzato lo sviluppo sia del vocabolario che della morfosintassi (cioè la capacità di produrre frasi complesse) nei più piccoli. Sono stati coinvolti, nello specifico, un totale di 153 bambini di età compresa fra i 18 e i 31 mesi.
I ricercatori hanno confrontato fra loro due gruppi abbinandoli per età, livello di istruzione dei genitori e asili nido frequentati:
- La squadra “pre-pandemia”, costituita dai piccoli nati e valutati prima della pandemia
- La squadra “post-pandemia”, costituita dai piccoli nati fra ottobre 2019 e dicembre 2020, quindi pochi mesi prima o durante la pandemia
Dai risultati è emerso che i bambini appartenenti al gruppo “post-pandemia” erano in grado di usare meno parole distinte, di comporre frasi meno complesse e strutturate e quindi avevano un vocabolario più povero rispetto a quelli nati ampiamente prima della pandemia. Nello specifico, il livello medio dei bambini del gruppo pre-pandemia si attestava intorno al 50° percentile, mentre quello del gruppo post-pandemia ha raggiunto a malapena il 40° percentile sia nel vocabolario che nella complessità delle frasi.
Quali sono le conseguenze? Come hanno spiegato i ricercatori su The Conversation, la questione presenta dei rischi principalmente per i piccoli più vulnerabili. «In un contesto normale – hanno dichiarato gli accademici –, si prevede che gli effetti della pandemia sullo sviluppo del linguaggio si compensino nel tempo. Tuttavia, questa situazione ha rappresentato un ulteriore fattore di rischio per i bambini più vulnerabili, ovvero quelli che corrono maggiori rischi di difficoltà di sviluppo, sia per ragioni biologiche che sociali».
Gli studiosi raccomandano quindi di non sottovalutare le difficoltà nel linguaggio manifestate dai bambini e di impegnarsi attivamente nell’individuare precocemente i casi a rischio in modo da evitare «effetti a cascata nello sviluppo successivo».