Da mesi -ma soprattutto nelle ultime settimane, a dir la verità- siamo subissati da frasi fatte, facili slogan e affermazioni di forte effetto che dovrebbero (forse?) convincerci a far più figli.
Mettendo da parte per un attimo l'uscita fuoriluogo del ministro Lollobrigida sulla sostituzione etnica (tanto grave quanto sbagliata), è indiscrezione di oggi che il Governo vorrebbe reintrodurre una detrazione di 10mila euro all'anno per le famiglie con almeno 2 figli. Fino alla laurea.
Sono di ieri le dichiarazioni della Presidente Meloni e dello stesso ministro Lollobrigida in favore della natalità e dell'occupazione femminile. È necessario investire su "quella grande riserva inutilizzata che é il lavoro femminile e lavorare sull'incentivazione da parte delle famiglie di mettere al mondo dei figli", ha detto ieri Giorgia Meloni all'inaugurazione del Salone del Mobile a Milano. Ancora più preciso è stato Francesco Lollobrigida: "Bisogna aiutare chi intende farlo a mettere su famiglia con figli, attraverso agevolazioni e un sistema di welfare che lo sostenga, che dia la possibilità di acquistare una casa, di coniugare il lavoro e la famiglia".
Ebbene, nessuno potrà mai avere nulla da obiettare. Lavoro femminile, incentivi per chi fa figli, sistema di welfare adeguato, agevolazioni nell'acquisto della casa, supporto nella conciliazione casa-lavoro. Capisaldi della serenità necessaria per pensare di mettere al mondo dei figli.
Però non è su frasi, annunci, slogan e buone intenzioni che le famiglie possono basare la scelta di diventare genitori. Perché dopo quella scelta, c'è la vita di tutti i giorni, che è fatta di cose concrete, problemi pratici su cui ogni mamma e ogni papà si interroga già prima che nasca quel benedetto figlio. Ed è a quei problemi concreti che dobbiamo portare soluzioni altrettanto concrete.
Alcuni esempi? Facilissimo.
Un neonato richiede cure e attenzioni costanti, soprattutto all'inizio della sua vita. Ma in Italia le mamme hanno a disposizione un congedo parentale obbligatorio di appena 5 mesi, solitamente da dividere tra gli ultimissimi di gravidanza e i primi del bambino. E poi? Purtroppo la risposta è ben nota da chi ha già avuto un figlio: finiti i 5 mesi di congedo obbligatorio si deve rinunciare all'interezza dello stipendio. Il primo mese facoltativo è retribuito 80% (e fin qui…), poi si passa al 30% della retribuzione, per un massimo di 10 o 11 mesi di congedo parentale facoltativo per i genitori.
Quindi ci troviamo di fronte a una mamma o un papà che per tirar su questo figlio -ancora di pochissimi mesi, ricordiamocelo-, hanno bisogno di lavorare. E così rientrano in ufficio perché non possono permettersi di rinunciare al 70% di uno dei due stipendi. Ma sto figlio dove lo mettiamo? Al nido! Certo, ma a questo punto sorgono due piccolissimi problemi.
Punto primo: il nido costa, e anche tanto. Che sia privato o comunale, le rette degli asili nido possono arrivare a costare anche 500-600 euro. Al mese.
E dove sono questi nidi? In Italia ce ne sono pochi, mancano le insegnanti, le code di attesa sono infinite e spesso le graduatorie rischiano di escludere molti dei bimbi che hanno fatto richiesta. E ciò può accadere anche dopo mesi di attesa dopo l'iscrizione, quando ormai neanche quelli privati hanno più posti.
Quindi i genitori lavorano, il nido costa troppo o non ha posto. Dove lo mettiamo il bambino? Proviamo dai nonni. Ma anche questa è una soluzione che non sempre va a buon fine e questo perché è molto probabile che in un Paese che invecchia sempre di più e che aumenta di anno in anno l'età pensionabile, i nonni non siano più giovanissimi (come invece capitava alle generazioni passate) o stiano ancora lavorando.
Così a quei genitori non resta che affidarsi a una baby-sitter che, ancora una volta, dovranno pagare di tasca loro (con quei soldi ai quali hanno scelto di non rinunciare tornando a lavorare perché non potevano permettersi di rinunciare al 70% dello stipendio).
E come la mettiamo con le malattie dei bambini? Un figlio che va a scuola, che vede altri coetanei, che va al parco, si ammala. Lo sappiamo benissimo: tra influenze, malattie esantematiche, infezioni virali e chi più ne ha più ne metta, ce n'è sempre una. Chi sta a casa con lui? Certamente non possono farlo a cuor leggero i genitori (per buona pace della coniugazione lavoro-famiglia che citava il ministro Lollobrigida), dato che l'assenza per malattia del figlio non prevede alcuna retribuzione sopra i 3 anni del bambino (dal sesto giorno in poi). Quindi, figli, prendete tutto ciò che dovete prendere, ma fino ai 3 anni. Poi solo 5 giorni all'anno di malattia concessi.
E rimanendo solo per un attimo sulla conciliazione famiglia e lavoro, lo smart working per i genitori di figli sotto i 14 anni è stato previsto in via emergenziale per il Covid e poi rinnovato di 6 mesi in 6 mesi. Ad oggi non è stato ancora strutturato in maniera organica e definitiva.
Quindi, ben vengano gli incentivi, le agevolazioni e la valorizzazione del lavoro femminile. Ma per favore, non facciamo passare il messaggio che bastino questi bellissimi slogan per convincere la gente a fare figli. La denatalità in Italia è un problema serio, molto complesso che va affrontato sotto molti punti di vista: politico, sociale, legislativo. Ma anche con azioni vere, concrete e mirate che non solo puntino a far nascere questi bambini, ma che sostengano le famiglie che poi devono crescerli, nella vita di ogni giorno.