Di fronte agli affetti, ai legami famigliari e alle situazioni personalissime che ognuno di noi vive in prima persona, dovremmo fermarci tutti. Anzi, dovremmo fermarci un passo prima. Appena prima di arrogarci il diritto di giudicare, di dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa una persona dovrebbe fare o non fare, prima di definire un genitore "una mamma vera" o "una mamma non vera".
E questo non perché non esistono genitori veri o genitori "finti" (è completamente senza alcun fondamento la "veridicità" della genitorialità), ma perché le parole hanno un senso, un significato. E un peso. Definendo una persona una mamma vera, contrapponendola poi a una mamma non vera -che, secondo l'azzardata definizione di Ezio Greggio, si occupa del bambino, appunto, ma non è la sua mamma vera- mettiamo in discussione migliaia di famiglie in cui genitori in carne e ossa si occupano dei loro figli che mai nella loro vita si sono posti la domanda se quelli fossero o meno i loro "veri genitori".
Dovrebbe spiegarci, Ezio Greggio, se nel suo concetto di veri genitori ci sono quelli che per anni cercano di avere un figlio in modo naturale e poi hanno necessità di ricorrere a un donatore esterno (di ovuli o spermatozoi, nulla cambia). Ci spieghi anche se rientrano tra i genitori veri le famiglie che decidono consapevolmente di intraprendere un percorso di adozione. Oppure quelle donne che, per motivi personali e che -ancora una volta- nessuno di noi può giudicare, scelgono di ricorrere all'aborto. E ancora, le "mamme" che abbandonano i figli in un cassonetto. E come la mettiamo, invece, con quelle mamme e papà che non hanno un legame biologico con quei figli che non hanno messo al mondo, ma che quotidianamente crescono ed educano?
Nessuno può sapere le ragioni che hanno indotto la mamma di Enea ad affidarlo alle cure mediche dell'Ospedale Mangiagalli di Milano attraverso la Culla per la vita. E nessuno può permettersi di discutere le sue scelte o le sue personalissime considerazioni. Sicuramente la strada da lei percorsa indica che si è informata sulle diverse possibilità e per il piccolo ha scelto una via sicura, grazie alla quale aveva la certezza che nel giro di pochi minuti sarebbe intervenuto il personale medico a prendersene cura.
Questa donna ha scelto, liberamente e consapevolmente, ciò che riteneva più giusto per il bambino che aveva messo al mondo. E lo fatto non solo il giorno di Pasqua, ma prima ancora quando ha deciso di portare avanti la gravidanza, poi quando -tra tante e diverse possibilità- ha preferito quella più sicura che avrebbe garantito al piccolo cure immediate e a lei anonimato.
Quindi, no. Non esistono mamme vere e mamme non vere. L'errore è di chi ancora non riesce a slegare la genitorialità a un mero e semplicistico legame di sangue, mancando di rispetto a famiglie, bambini e genitori reali e in carne e ossa che ogni giorno cercano di svolgere il loro ruolo nel migliore dei modi.