In un Paese in cui in un anno si dimettono oltre 44mila madri, metà delle quali addebita il licenziamento alla difficoltà a conciliare famiglia e lavoro, sempre più genitori scelgono aziende “family-friendly”. Si tratta di un’etichetta convenzionalmente utilizzata per indicare quelle attività che si impegnano a favorire il bilanciamento tra vita privata e professionale attraverso flessibilità lavorativa, benefit, bonus, congedi parentali e un ambiente di lavoro accogliente verso i lavoratori con figli. Le caratteristiche più richieste sono – per citarne qualcuna – flessibilità negli orari, smartworking, nido aziendale. Anche se l’epiteto “family-friendly” è piuttosto riduttivo (davvero garantire il sacrosanto diritto del lavoratore di godere di un salutare equilibrio fra casa e ufficio significa essere un’azienda “adatta alla famiglia”?) mette al primo posto quella che per tanti genitori è oggi una priorità assoluta (anche se di questi tempi pare più un’impresa titanica): riuscire a incastrare le ore dietro a una scrivania con i colloqui a scuola del figlio, il supermercato, la visita dal pediatra e la lezione di karatè. Dall’altro lato, svecchiarsi e diventare un’azienda allettante per mamme e papà è un’ambizione di tante aziende innovative, che riconoscono nel sostegno alla genitorialità e al work life balance uno strumento di promozione dell’impresa (che ne guadagna in buona reputazione) e uno dei mezzi più efficaci per attrarre (e quindi mantenere nel tempo) lavoratori qualificati.
Cosa significa essere un’azienda “family friendly”
Il requisito più comune per essere aziende “family friendly” è la flessibilità lavorativa, che consiste in:
- Orari di lavoro “family friendly” e libera organizzazione degli intervalli di lavoro (come la pausa pranzo)
- Flessibilità in ingresso e uscita
- Disponibilità di permessi
- Disponibilità delle più disparate forme di part-time (orizzontale, verticale, con un orario di lavoro al 30%, al 50%, all’80%…)
- Job-sharing o lavoro ripartito (uno o più posti di lavoro vengono ripartiti tra due o più impiegati, con un solo contratto di lavoro stipulato con due lavoratori, che si coordinano perfettamente e sostituiscono a vicenda in caso di malattia o vacanza)
- Esonero in caso di emergenza familiare
- Pianificazione dei periodi di ferie
- Banca ore: le ore di lavoro non sono su base quotidiana, ma ripartite su un intervallo più lungo (un mese come un anno)
- Rientro agevolato dalla maternità
- Aggiornamento professionale durante il congedo parentale
- Politiche per l'allattamento al seno
- Modalità di lavoro da remoto (o telelavoro)
Servizi come il nido aziendale, seppure poco diffusi in Italia, iniziano a prendere piede in diverse realtà.
Esistono aziende che, intercettando le esigenze delle famiglie del nuovo millennio, colmano il profondo vuoto assistenziale lasciato in Italia dalle istituzioni, restie a investire su maternità, paternità, prima infanzia e servizi per la cura dei figli. Alcune, ad esempio, offrono permessi illimitati, bonus bebè (premi in denaro alla nascita del figlio), bonus nido o bonus babysitter (sostegno economico per la retta dell’asilo o la tata), rimborsi per i trattamenti medici di Pma, per congelare gli ovuli o per percorsi di adozione, servizio psicologico al rientro dopo il parto, accesso alla mensa aziendale anche ai figli del dipendente.
Un’azienda HR italiana ha recentemente introdotto per i lavoratori con figli un “Help Desk” per guidarli a livello burocratico nella richiesta di bonus, benefit e congedi di cui hanno diritto.
Il bollino “family friendly”
Nel 2016 con il sostegno del Dipartimento per le politiche della famiglia è stato esteso a livello nazionale uno strumento inizialmente ideato per la sola Provincia autonoma di Trento. Si tratta del “Family Audit”, un sistema che certifica le aziende attente alla conciliazione famiglia-lavoro dei dipendenti. Secondo l'ultimo aggiornamento, oggi nel registro ufficiale se ne contano 401 (sia pubbliche che private).
Le aziende italiane che, su base volontaria, richiedono di accedere al percorso di certificazione, vengono sottoposte a un lungo processo di auditing («valutazione») secondo una serie di parametri indicati nelle Linee guida del “Family Audit” (come flessibilità oraria, part-time, gender equality). Vengono coinvolti i dipendenti e indagate le esigenze del personale, e vengono forniti all’azienda assistenza tecnica e know-how necessari per diventare un’azienda “family friendly”.
L'obiettivo del percorso di certificazione – che ha un costo parzialmente coperto da contributi regionali – è aiutare imprese e organizzazioni ad adottare politiche di gestione del personale orientate al benessere dei dipendenti e alla promozione del work-life balance.
La diffusione dello standard “Family Audit”, peraltro, è una delle attività previste anche dall’ultimo Piano Nazionale per la Famiglia.
La startup che valuta le aziende per genitori
Proprio per andare in contro all’esigenza dei genitori – e nello specifico delle madri – di trovare un impiego in aziende che favoriscono un equilibrio fra lavoro e famiglia, pochi mesi fa è nata una startup ligure, Promama, che mette in contatto lavoratori con figli con aziende “family friendly”. A quattro mesi dal lancio conta già oltre 3.500 iscritti.
La startup, lanciata da un’ex product manager digitale di Milano, Claudine Rollandin, neomamma costretta a dimettersi per la difficoltà a dividersi fra la professione e la cura del figlio, ha ideato un “family friendly index”, cioè un indice di valutazione qualitativa e quantitativa che indica il grado di attenzione, da parte di un’azienda, alla genitorialità.
Combinare vita e lavoro nel 2024 è una priorità, se non un’urgenza in Italia, complici una serie di fattori: il cambiamento nello stile di vita delle famiglie, l’esigenza di entrambi i genitori di avere un impiego (per l’alto costo della vita e/o per le ambizioni personali della coppia), la carenza sul territorio di servizi per l’infanzia e per la cura dei familiari (oltre che dei figli, tanti lavoratori usciti da lavoro si occupano di genitori o familiari degenti e/o anziani), l’assenza di nonni disponibili a tenere i nipoti (magari per lontananza, magari perché non vogliono, o magari perché lavorano ancora). Le aziende attente ai bisogni delle famiglie sono sempre più attrattive per i dipendenti, e aiutano a colmare quel vuoto assistenziale lasciato dalle istituzioni e a mettere i lavoratori nelle condizioni di "mettere su famiglia", in un contesto nazionale in cui pesa la grave crisi delle nascite.