Ci sono storie di accoglienza che toccano le corde del cuore, e ci fanno pensare che l’Italia sia un Paese pronto a dare il benvenuto a chi raggiunge le sue sponde: è il caso della storia di Martel Talefo Pepabou.
Il viaggio di Martel inizia con un grande sogno: il cinema. Dal Camerun, il suo Paese d'origine, salpa alla volta del Marocco e decide di raccontare con la sua macchina fotografica la vera vita dei clandestini. La polizia marocchina lo scopre, è nei guai, inizia una caccia all’uomo e Martel vuole salvare la moglie e la bambina. Quindi parte, 4000 euro è tutto quello che ha per accordarsi con i trafficanti di uomini, affinché lui e la famiglia viaggino sicuri. Poi l’arrivo in Italia, difficile. Lo ripete di continuo durante la nostra intervista, come a voler dire che i suoi occhi oggi non si bagnano più di lacrime solo perché ha imparato a trattenerle.
È stato difficile quindi resettare tutto, essere consapevoli che doveva ripartire da zero, farsi dei nuovi amici, comprendere una cultura tanto diversa dalla sua. «Partire per terre lontane è un sacrificio che non saprei spiegare, quando capisci che nel tuo Paese non c’è speranza hai due opzioni: o soccombi o vai a cercare quella speranza altrove».
Martel conosce benissimo i racconti di chi nel nostro Paese fa fatica a integrarsi, attorniato da sguardi indiscreti e parole cariche di odio razziale, ma per fortuna non è la sua storia.
Da Milano Martel arriva con moglie e figlia a San Daniele Po, un paesino che nel 2013 contava appena di 1.412 abitanti e incontra una persona che gli cambierà la vita per sempre: il sindaco Davide Persico.
La coppia inizia a fare lavori socialmente utili e si fa conoscere nel paesino. I due iniziano a guadagnare, trovano un altro lavoro, nel frattempo seguono un corso di lingua italiana, prendono la patente, trovano un nuovo lavoro, comprano una casa. Una storia di perfetta integrazione, che non è finita qui.
È il 2019 e Martel alza la cornetta «Pronto, è il sindaco Davide Persico?» è passato un anno dal loro ultimo incontro, ma ha due bellissime notizie che non può più tenere per sé: sua moglie è incinta, è un maschio, si chiamerà Davide Persico Pepabou. Insolito dare a un bambino il nome e il cognome di una persona esistente ma per Martel quel sindaco che bussava alla sua porta, perché voleva essere sicuro che avesse mangiato e stesse bene, doveva essere uno di famiglia.
Ci dice che nessuno, dopo la morte di suo padre, aveva più avuto un comportamento simile con lui e che non vede più distinzione tra la sua famiglia e quella del sindaco. Il suo bambino ha nel nome il racconto di una storia di amore e accoglienza, quella di Martel, sua moglie, la sua prima figlia e anche di sua madre, che è rimasta in Camerun e gli manca ogni secondo di più. Questo vuoto incolmabile che porta nel cuore è l’unico motivo per il quale alla domanda «Sei felice di essere in Italia?» risponde ancora con la voce tremante: «Sì, ma non a pieno».
Martel, raccontaci cosa ti viene in mente pensando alla tua famiglia…
Ringrazierei Dio per tutto quello che ha fatto per noi, perché quando si arriva in un Paese che non è il tuo è sempre difficile. Non hai aiuti, non conosci la lingue, non hai una mamma o un papà dai quali tornare. Poi sono stato il primo della mia famiglia a trasferirsi in Italia, non avevo parenti o amici che mi consigliassero dove andare, a chi rivolgermi e cosa fare.
Sono stato fortunato, perché lungo la strada ho incontrato le persone giuste, quelle disposte ad aiutarmi, mi hanno dato indicazioni, mi hanno aiutato a comprendere la cultura italiana, così diversa dalla mia. Grazie a loro oggi io e la mia famiglia stiamo bene, siamo integrati nella società italiana. Soprattutto devo ringraziare il gruppo di accoglienza Sichem e il sindaco Davide Persico.
Da chi è composta la tua famiglia?
La mia famiglia è composta da 4 persone: io, mia moglie Irene Massa, la mia prima figlia, nata in Marocco, Angela Fortunate e mio figlio che si chiama Davide Persico di nome.
Lo so è strano che un bambino abbia per nome il nome e il cognome di un'altra persona, ma ho voluto che il nome del sindaco, che ci ha accolti e aiutati come fosse un padre per me, diventasse parte della nostra famiglia. Mio figlio avrà una storia bellissima da raccontare, di accoglienza e inclusione, in un Paese che non sempre lo è. Porterà con sé la bella faccia di un Paese che grazie ai suoi cittadini sa accogliere.
In generale ti senti accolto dalla società italiana?
Sì, parlando di me direi di sì, so che però in giro si sentono notizie ben diverse, sono fortunato perché a me qui in Italia non è mai accaduto nulla di brutto. Ho sempre trovato brave persone, che mi hanno accolto con il cuore.
Come si vive con la propria famiglia lontani dal Paese di origine?
É un gran sacrificio, una cosa che non si può spiegare. In realtà quando realizzi che dove sei nato non c’è più speranza per il futuro, per forza devi cercare quella speranza altrove, ma è sempre un sacrificio. Non c’è nulla di più difficile al mondo che abbandonare la propria famiglia, la propria casa, la propria terra.
Alla fine è come resettare tutto e ricominciare da zero, devi imparare una nuova lingua, farti degli nuovi amici, è come incontrare le persone per la prima volta.
Raccontaci la storia del rapporto che hai instaurato col sindaco Davide Persico…
Davide Persico, sindaco di San Daniele Po e professore all’università di Parma, è stata per me una persona speciale. Da Milano io e la mia famiglia ci siamo trasferiti nella comunità di San Daniele Po e mai avrei pensato che un sindaco, che comunque è una personalità, è indaffarato, ha i suoi pensieri, potesse essere così vicino a noi.
Lui veniva a casa mia, mi bussava alla porta, solo per essere sicuro che avessimo mangiato tutti, che stessimo bene, se avessimo bisogno di compilare dei documenti, di vedere un medico. Ho subìto un piccolo intervento mentre ero qui in Italia e non c’è stato giorno che lui, la sua mamma, il suo papà non passassero da me a sentire come stavo.
Mi portavano da mangiare, cenavamo insieme, siamo diventati una famiglia, io non faccio più distinzione tra la mia e la loro, per me siamo tutti insieme. Per me sono stati gesti incredibili. Mio papà è morto da tanto, mia mamma è lontana, non avevo più nessuno così tanto vicino a me. Una persona che si preoccupa se non hai mangiato è una persona che ti ama immensamente e la dimostrazione che non servono legami biologici per essere una famiglia.
Quando sei arrivato in Italia tu non parlavi italiano?
No, non parlavo italiano. Sapevo bene il francese e un po’ di inglese, ma per fortuna mi sono bastati per farmi capire. Poi, io e mia moglie abbiamo seguito un corso per imparare bene la lingua.
Come mai avete deciso di trasferirvi in Italia?
In realtà volevo rimanere in Marocco per studiare cinema, perché sono un appassionato, ho scritto tante storie. In Marocco avevo deciso di fare un film che parlasse della vera vita del migrante, perché tutti parlano dell’immigrazione clandestina, ma la vera vita del migrante non la conosce nessuno.
Mangiano? Cosa e come? Dormono? Dove fanno la doccia? Alcuni passano mesi in ristrettezze incredibili. Mi sono interessato a questo argomento e mi sono addentrato nel mondo degli immigrati clandestini per scrivere questa storia. Ma la polizia marocchina mi ha trovato, avevo una camera, con la quale facevo i video. Hanno notato che scrivevo storie che parlavano male del Marocco, o meglio del trattamento dei marocchini ai migranti, è iniziata una vera e propria caccia all’uomo di cui sono stato il protagonista.
Sono venuti a casa mia, hanno minacciato mia moglie, sono scappato, perché era la mia unica possibilità. Era il 2013, mia figlia era appena nata, non poteva rischiare la vita a causa mia.
Come è stato il viaggio dal Marocco all'Italia?
Per me non è stato troppo difficile ma ho visto un sacco di persone con tante difficoltà. Io in Marocco ho preso tempo per scappare, ho preso tempo per assicurarmi che il viaggio non fosse duro per noi, ho visto cose terribili in Libia e in Marocco. La mia fortuna è stata aver messo da parte dei soldi. Ho speso per la tratta 4.520 euro e grazie a questa spesa noi non abbiamo avuto problemi. Ci sono ragazzi che partono con 250 euro, loro fanno fatica, se tu hai un garante in Italia che ti aiuta è un conto. Quando dal Marocco sono arrivato al confine con la Libia, ho preso coraggio e ho detto che avevo i soldi per pagare, per la mia sicurezza e quella della mia famiglia, mi hanno lasciato passare, con giusto 500 euro per mangiare.
Sei contento di essere in Italia adesso?
Sono contento, ma non al cento per cento. Il mio pensiero va costantemente alla mia mamma rimasta in Camerun, solo con lei qui sarei davvero felice.