A Milano, nel quartiere periferico di Lampugnano, esiste una mini-città dentro la città che da più di 70 anni è abitata da mamme in gravidanza o con i figli. Si chiama il Villaggio della Madre e del Fanciullo e fin dagli anni Cinquanta ospita mamme sole, abbandonate dalla famiglia, in difficoltà economica o vittime di violenza domestica, con i loro piccoli. La fondatrice del Villaggio, Elda Scarsella Mazzocchi, già all’epoca della Seconda Guerra Mondiale si mobilitava nel milanese per assistere le mamme che arrivavano dai campi di concentramento, offrendo loro un rifugio fra le mura di Palazzo Sormani, dove oggi ha sede la Biblioteca Centrale di Milano. Il Villaggio che Elda costruì nel 1957 è una comunità di mamme ostacolate nel loro diritto alla maternità, che la fondatrice ha lasciato in eredità a educatori, professionisti e volontari che ancora oggi lavorano per offrire a mamme e figli un’alternativa all’abbandono sociale. La missione del Villaggio rimane quella di supportare la maternità, al di là delle ristrettezze economiche o dei maltrattamenti subiti dai partner. «Nel Villaggio il rapporto mamma-bambino è sacro – spiega il Presidente del Villaggio, Giuseppe Matteo Talamazzini – l’obiettivo della comunità è portare avanti la genitorialità per il benessere della mamma e del figlio e per il futuro di entrambi, nella convinzione che separare una madre dal proprio bambino sia qualcosa di traumatico, forte, destabilizzante e che compromette la vita di entrambi».
Ad abitare il Villaggio della Madre e del Fanciullo oggi sono mamme in gravidanza, e mamme con figli al seguito. Sono donne che hanno espresso il desiderio di vivere la maternità e di curarsi del proprio bambino, nonostante le difficoltà che la vita o la sorte hanno piazzato sul loro cammino.
«Arrivano da noi mamme con disagi economici o disagi familiari, inclusa la violenza domestica – spiega il Presidente – Esistono casi più rari di mamme ritenute dagli assistenti sociali inadeguate alla genitorialità, le quali però, essendo nelle condizioni di recuperare quell’incapacità, vengono da noi».
La vita al Villaggio non è mai noiosa. Fra le mura della cittadella a misura di madre e figlio – che include, al suo interno, un nido, una cappella consacrata per le ospiti cattoliche e una sorta di supermercato – le mamme crescono i figli e imparano a gestire e curare i pargoli e loro stesse e a relazionarsi con altre mamme. Alcune sono ragazze madri che non hanno ancora terminato il percorso di studi e la mattina, se il Tribunale lo ha disposto, escono dal Villaggio per raggiungere la scuola. Altre lavorano oppure si allontanano dal Villaggio per accompagnare i figli alla scuola dell’infanzia o primaria. Altre ancora non hanno ricevuto il permesso dal Tribunale di uscire e trascorrono le giornate all’interno della comunità, accudendo i figli, pulendo gli spazi personali, cucinando e partecipando ad attività con gli educatori.
Ogni mamma ha la sua stanza per sè e il suo bambino, ma all’interno del Villaggio esiste anche uno spazio comune che funge da centro aggregatore: la cucina. Lì le mamme preparano i pasti su turni le une per le altre, pranzano e cenano insieme ai piccoli e svolgono attività educative di gruppo.
«Nel Villaggio vigono delle regole precise – prosegue il Presidente Talamazzini – abbiamo creato uno spazio dove le mamme fanno una sorta di spesa e scelgono gli alimenti perchè anche il cibo fa parte del progetto educativo e di integrazione tra culture differenti. Abbiamo anche un nido per i bambini e una cappella consacrata, in cui sono stati celebrati battesimi dei piccoli e matrimoni delle mamme cristiane cattoliche, anche se la nostra è una struttura laica».
Attualmente, all’interno del Villaggio vivono 22 famiglie monogenitoriali, composte cioè dalla mamma e dal figlio (o dai figli), per la metà straniere. Dodici abitano all’interno della comunità e sono seguite notte e giorno dagli operatori, mentre le restanti dieci, avendo ormai raggiunto uno standard di indipendenza e autosufficienza, vivono in alloggi di semiautonomia o in appartamenti per l’autonomia (due dei quali sorgono fuori dai confini del Villaggio e vengono forniti da Aler a un canone mensile agevolato).
«Il percorso dura circa due anni ma non esistono regole nè limiti temporali di permanenza, ogni caso è a sé – ci spiega il Presidente – in genere le mamme inizialmente vengono collocate in comunità, dove sono seguite notte e giorno da educatori professionisti, e, quando raggiungono un buon grado di indipendenza, vengono trasferite negli alloggi di semiautonomia e assistite nella fascia diurna. Quando diventano del tutto indipendenti entrano negli alloggi per l’autonomia, dove l’educatore passa una sola volta al giorno per un controllo. Ovviamente capitano casi di mamme già autonome, che “saltano” il periodo di comunità».
Come arrivano in comunità le mamme che vogliono essere aiutate? Non suonando il citofono del Villaggio, né bussando alla sua porta. A introdurle nel percorso di reintegrazione sociale sono il Tribunale per i Minori e gli assistenti sociali territoriali.
«Il nostro obiettivo è rendere la mamma autonoma, consapevole dell’essere genitore, capace di affrontare la vita di tutti i giorni, anche dal punto di vista sociale e professionale» commenta il Presidente.
Per quanto riguarda i contatti con l’esterno, le mamme che hanno ricevuto il nullaosta dal Tribunale o dall’assistente sociale escono dal Villaggio per incontrare i cari. Esistono casi di mamme e figli costretti a incontrare i partner o la famiglia in “spazi neutri” e in presenza di un educatore che sorveglia l’incontro.
«Gli spazi neutri sono zone limbo che non sono nè la comunità nè la casa del parente o del contatto esterno. – precisa il Presidente Talamazzini – Sono utilizzati per esempio da mamme vittime di violenza, i cui compagni non sanno che sono qua, oppure dai piccoli ospiti della comunità, i minori, quando s’incontrano con il papà, sotto la sorveglianza di un educatore che osserva e tutela l’incontro».
Il Villaggio della Madre è del Fanciullo ha istituito in tempi più recenti anche un consultorio familiare aperto alla cittadinanza, che eroga prestazioni sociosanitarie a prezzi agevolati.
«Da dopo la pandemia eroghiamo ben 11.500 prestazioni all’anno, perchè il Covid ha portato la medicina di prossimità al centro e le famiglie han bisogno di prestazioni in tempi brevi e a prezzi calmierati».
Parte delle risorse derivati dal Consultorio, tra l’altro, sono utilizzate per sostenere le enormi spese della comunità. Le rette delle mamme, invece, sono finanziate dal Comune di Milano.
«Viviamo tempi difficili, – conclude Talamazzini – oggi a Milano è complicato trovare casa per le coppie e le famiglie che lavorano, figuriamoci per mamme sole. È un problema a cui le istituzioni dovranno dare una risposta, soprattutto in un centro come Milano, che è competitiva ma per certi versi poco inclusiva. Ecco perchè le comunità come la nostra devono continuare a fare di più».