Un Paese spaccato in due, in cui ceto elevato e medio convivono con 3 milioni di famiglie sotto alla soglia di povertà relativa e 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, costrette ogni giorno a scegliere le scale, perché l’ascensore sociale è rotto. È il quadro allarmante che emerge dal primo Rapporto di Fondazione Cariplo sulle disuguaglianze in Italia pubblicato lo scorso marzo. I veri protagonisti dell’indagine sono i più piccoli, le generazioni del futuro, che si ritrovano al centro di una trasformazione sociale, in cui la scuola dell’obbligo fatica a svolgere il suo ruolo di traghettatore da uno status sociale all’altro per gli studenti più svantaggiati e in cui il contesto socioeconomico di nascita tende a influenzare le attitudini dei più giovani fin dalla scuola dell’infanzia. Nel loro futuro, gioca un ruolo cruciale il livello di istruzione dei genitori. Le vittime delle disuguaglianze fra i banchi? Sarebbero in prevalenza studenti maschi, stranieri, residenti al Sud, provenienti da famiglie con basso livello di istruzione e di reddito, con risultati scolastici bassi o che non hanno frequentato l’asilo.
Il test dell'ovetto di cioccolato
Come riporta il Rapporto, nell’autunno 2022 degli studiosi hanno effettuato una serie di studi su campioni di bambini benestanti e bambini appartenenti a famiglie meno agiate di Milano, tutti nati nel 2018. Uno di quelli, il cosiddetto “Test dell’uovo di cioccolato” – una rivisitazione del “Marshmallow Test”, praticato per la prima volta all’Università di Stanford (Usa) negli anni Sessanta – ha confermato i loro sospetti. L’esame, che mette alla prova la forza di volontà e la capacità di autocontrollo dei piccoli di 4 anni, consisteva nell’offrire un ovetto di cioccolato a ogni bambino, che in seguito veniva lasciato da solo in un’aula vuota con una raccomandazione: “Tu mi aspetti qui, io tra poco torno. Se quando torno tu non avrai ancora mangiato il dolciume, allora avrai diritto a riceverne in dono un secondo. Ma se lo mangi, allora non te ne regalerò un altro: avrai solo questo”.
I risultati sono interessanti: nelle scuole private di contesto socioeconomico elevato di Milano il 73% dei pargoli ha aspettato il tempo prestabilito per ricevere il secondo dolce, mentre nelle periferie popolari a rispettare i tempi è stato solo il 57% dei piccoli. «La probabilità di saper esercitare con successo la propria forza di volontà in vista di un risultato ambito (ricevere il secondo ovetto) è risultata del 28% più alta fra i bambini di un contesto socio-economico elevato – si legge nel Rapporto – Dunque sembra esserci una differenza sensibile nelle attitudini, determinata dall’ambiente sociale nel quale quelli stanno crescendo».
L’ambiente in cui nasciamo e cresciamo, dunque, ci influenza. «Le disuguaglianze di reddito – si legge nel Rapporto – di patrimonio, di livello educativo, culturale, professionale o fra le reti sociali dei genitori sembrano fattori importanti nel formare le attitudini dei bambini prescolari e gli strumenti cognitivi con i quali essi affronteranno il resto della vita».
Marginalizzazione fra i banchi di scuola
Nel mirino della ricerca sulle disuguaglianze in Italia, è finita, oltre alla famiglia, la scuola. In media, chi ha una buona istruzione avrebbe più probabilità di assumere un ruolo attivo in società e di sentirsi realizzato, di godere di una salute migliore e di avere una vita longeva. Al contrario, bassi livelli di istruzione sono connessi ad alti rischi di abbandono scolastico (che in Italia registra uno dei tassi più alti d’Europa, pari al 13,1%) e, quindi, a minori opportunità lavorative.
Secondo la ricerca, gli studenti più svantaggiati tenderebbero a concentrarsi in scuole più svantaggiate, mentre quelli più avvantaggiati frequenterebbero scuole caratterizzate da una migliore condizione socioeconomica e culturale. Ambienti, livelli di istruzione, famiglie di origine, luoghi diversi, che intensificano le disuguaglianze. «Chi ha la disponibilità di tanti libri a casa – si legge nel Rapporto – chi parla abitualmente italiano in famiglia, chi possiede nella propria abitazione un pc e una connessione internet, e chi ha frequentato la scuola dell’infanzia tende a raggiungere risultati di apprendimento migliori rispetto a chi non ha simili caratteristiche». A incidere sul rendimento scolastico e sul futuro dei giovani, si aggiungerebbe il livello d’istruzione dei genitori e di chi li cresce.
Le disuguaglianze, così come i fenomeni di marginalizzazione sociale, si manifestano fin dalla più tenera età. Lo dimostrano i risultati dei test Invalsi, svolti dai bambini al secondo anno di scuola elementare, che mettono in luce livelli diversi di apprendimento in relazione, fra i vari fattori, anche alle condizioni economiche, culturali, sociali delle famiglie in cui quegli scolari sono nati e cresciuti. «Le disuguaglianze iniziali, misurate dalle prove Invalsi di seconda elementare, penalizzano soprattutto i maschi, gli stranieri e gli studenti che provengono da retroterra economico-culturali svantaggiati – continua il Rapporto – i cui genitori hanno bassi titoli di studio e svolgono professioni operaie, così come gli studenti residenti al Sud e, in misura minore, quelli che non hanno frequentato la scuola dell’infanzia e l’asilo nido».
Il vantaggio conquistato già nella prima infanzia diventerebbe irraggiungibile con l’aumentare dell’età. «Osservando gli studenti sei anni più tardi, in terza media, notiamo come la gran parte di coloro che partono svantaggiati non riescano a recuperare i divari con cui si erano affacciati al sistema dell’istruzione. – prosegue – Per loro la scuola dell’obbligo sembra sedimentare le differenze di partenza anziché fungere da ascensore sociale: da scuola delle opportunità a scuola delle disuguaglianze».