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16 Luglio 2023
17:00

La fiaba de Il brutto anatroccolo: trama, curiosità e cosa ci insegna

Il Brutto Anatroccolo è una fiaba di H.C.Andersen dal profondo significato morale. Racconta di una metamorfosi a livello estetico e sociale, da anatroccolo "sbagliato" a maestoso cigno, che ha il sapore della rivincita personale. La storia risente probabilmente dell’esperienza di vita dell’autore, che in gioventù veniva deriso ed escluso.

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La fiaba de Il brutto anatroccolo: trama, curiosità e cosa ci insegna
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Goffo ed emarginato, è il protagonista di una rinascita a livello estetico e sociale. Il Brutto Anatroccolo, nato dalla prolifica penna di H.C.Andersen nel primo Ottocento, è un manifesto fiabesco contro il bullismo.

Storia della fiaba

Pubblicata per la prima volta l’11 novembre 1843, è una delle fiabe più famose dello scrittore danese Hans Christian Andersen, autore di capolavori come La Sirenetta e Il soldatino di Stagno. Sull’ideazione della trama ha influito l’esperienza personale di Andersen, che in gioventù è stato emarginato e vittima di angherie e derisioni da parte dei coetanei.

Trama

Il protagonista è un anatroccolo diverso dagli altri: ha le piume grigie, è più grande della media, ed è goffo nelle movenze. Viene deriso e canzonato dai fratelli, che a differenza sua possedevano tutte le caratteristiche di un anatroccolo modello. Lui, invece, è “strano”, è un Brutto Anatroccolo, tanto buffo da essere escluso dai suoi compagni. L’unica a dimostrargli affetto è mamma anatra. Isolato e oggetto di scherno, decide di fuggire.

Il Brutto Anatroccolo vaga senza meta, rischiando di morire di freddo a causa delle gelide temperature dell’inverno. Ad certo punto, vede uno stagno, nel quale sta nuotando un gruppo di maestosi cigni bianchi. Il Brutto Anatroccolo li ammira e si avvicina, attratto dalla loro bellezza. Si stupisce quando gli affascinanti volatili gli danno il benvenuto e si dimostrano accoglienti con lui, che era sempre stato rifiutato. L’Anatroccolo si guarda di sfuggita nello specchio d’acqua e s’accorge che le sue sembianze sono mutate: è diventato uno splendido cigno nero.

Cosa ci insegna?

La storia racconta la parabola ascendente del protagonista, da Brutto Anatroccolo a magnifico cigno. Una metamorfosi che ha il sapore della rivincita contro le angherie e le derisioni subite fin dalla nascita.

Il Brutto Anatroccolo è una fiaba che affronta una piaga sociale, il bullismo. Racconta di un gruppo che esclude un singolo perchè considerato diverso, estraneo alla massa, sprovvisto dei canoni estetici soddisfatti dai fratelli. In realtà, alla fine si scopre che il suo piumaggio grigio e le sue dimensioni sopra la media erano dovute al fatto che lui non era un anatroccolo, ma un cigno, animale rispettato ed elogiato per la sua bellezza.

Il Brutto Anatroccolo racconta di una metamorfosi che ha il sapore della rivincita

La fiaba viene raccontata per rinforzare l’autostima dei piccoli uditori ed insegnare ad essere fieri delle differenze, che ci rendono unici.

La storia risente dell’esperienza personale di Andersen, vittima di bullismo e di emarginazione sociale, perché visto come “diverso” durante l’infanzia e l’età adulta.

Nella fiaba è importante anche il ruolo della famiglia e il motivo del ritorno all’origine e dell’appartenenza a un gruppo.

Curiosità

Il piccolo diseredato (1939), uno dei due cortometraggi d’animazione realizzati da Disney sulla base della fiaba del Brutto Anatroccolo, vinse un premio Oscar.

Il film Lilo e Stitch ha diversi punti in comune con il Brutto Anatroccolo. Stitch è un essere alieno che viene integrato in famiglia da Lilo. Fu lei a pronunciare la frase diventata celebre: “Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato”.

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Rachele Turina
Redattrice
Nata a Mantova, sono laureata in Lettere e specializzata in Filologia. Antichità e scrittura sono le mie passioni, che ho conciliato a Roma, dove ho seguito un Master in Giornalismo concedendomi passeggiate fra i resti romani (e abbondanti carbonare). Il lavoro mi ha riportato nella Terra della Polenta, dove ho lavorato nella cronaca e nella comunicazione politica. Dall’alto del mio metro e 60, oggi scrivo di famiglie, con l’obiettivo di fotografare la realtà, sdoganare i tabù e rendere comodo quel che è ancora scomodo. Impazzisco per il sushi, il numero sette e le persone vere.
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