Vivere il travaglio di parto è certamente un’esperienza unica e, per tale motivo, anche il dolore che si prova ha delle caratteristiche di irripetibilità. In primis perché possiede la funzione molto precisa di definire una normalità dell’evento nascita ma, in secondo luogo, anche per essere forse assimilato alle potenti forze della natura.
Qualche donna l’ha definito proprio così: “Un ciclone incontrollato che arriva, colpisce e sparisce. Un’eruzione di fatica con una colata finale di gioia e di pace. Un’onda altissima che arriva […] e ti prende e tu la devi cavalcare”. Il tutto fino alla nascita, momento in cui ritornano “il mare piatto e il cielo azzurro e, sulle onde leggere che cullano, si è finalmente in due a riposare”.
Ma proprio parlare di dolore ci obbliga anche a dare delle soluzioni: e se la consapevolezza, l’accompagnamento, la posizione, il movimento e tutta un’altra serie di tecniche non farmacologiche possono costituire dei tasselli essenziali per gestire al meglio la situazione, ciò non significa che anche la farmacologia non possa avere delle risposte adeguate.
Un po' di storia
Potremmo dire che la gestione del dolore in travaglio ha ufficialmente inizio nel 1847, quando il Dr. James Young Simpson somministra per la prima volta il dietiletere ad una donna durante il parto. Ma da quel momento servono quasi quarant’anni per realizzare il primo prototipo di analgesia epidurale. Ed è solo poi a partire dai primi del ‘900 che Aburel riesce a definire la tecnica dell’analgesia epidurale continua in travaglio, rivista, tra il 1940 e il 1950, da Flowers e Dogliotti, sulla cui esperienza si basano le metodologie attuali.
Ovviamente però, sono stati gli ultimi anni a fare veramente la differenza e a permettere l’affinarsi della tecnica e del personale coinvolto. Fino a pochi decenni fa, infatti, era ancora relativamente impensabile che il medico anestesista venisse in sala parto se non per affrontare delle urgenze. Ad oggi, invece, la sua presenza è sempre più indice di uno standard di qualità dei punti nascita che, ormai frequentemente, riescono ad offrire dei servizi di partoanalgesia strutturati ed efficaci.
Abbiamo quindi svelato il nostro primo mistero: le forme più conosciute di gestione del dolore in travaglio di parto sono infatti quelle dell’analgesia peridurale o epidurale e dell’analgesia spinale.
Le due metodiche differiscono per alcuni dettagli essenziali, aspetto che le rende adatte ciascuna ad un evento ben preciso. Ad accompagnare questi due approcci più noti, però, permangono altre tecniche un po’ in disuso come il blocco dei nervi pudendi, metodiche emergenti come l’utilizzo del protossido di azoto o già ben strutturate come l’anestesia locale, utile però solo per procedure eseguibili su di un’area limitata.
Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
Analgesia epidurale o peridurale
Si tratta di una tecnica di anestesia loco-regionale che consiste nell’iniezione di un mix di farmaci analgesici ed oppioidi tramite un catetere sterile che, a partire dalla zona lombare della colonna vertebrale, raggiunge lo spazio epidurale (quello cioè che circonda il midollo spinale).
I farmaci iniettati determinano quindi una interruzione degli stimoli dolorosi provenienti dalle regioni del corpo coinvolte nell’evento parto e l’iniezione viene eseguita a travaglio avviato o, limitatamente ai casi di induzione al parto, prima dell’inizio dello stesso.
Si tratta di una procedura che dura dai 10 ai 15 minuti e che viene effettuata con la paziente seduta o disposta su un fianco. In sala parto anestesista e ostetrica collaboreranno al fine di garantire la posizione migliore per la paziente che agevoli lei e la metodica stessa.
Dopo disinfezione della cute e iniezione di anestetico locale il medico anestesista tramite un ago molto sottile inserisce il catetere fino allo spazio peridurale e poi lo fissa. È importante ricordare che non restano aghi o parti metalliche sulla schiena ma solamente il tubicino di plastica (necessario per i boli successivi) e un grande cerotto e quindi non sono in alcun modo impedite l’assunzione di posizioni diverse o anche lo stare sdraiati supini.
Dopo la somministrazione dei primi farmaci l’effetto di riduzione del dolore inizia con un ritardo di 10-15 minuti ed ha una durata di circa un'ora o un’ora e mezza. Ovviamente la somministrazione è ripetibile.
Cosa si prova durante l'anestesia?
Può succedere di sentire caldo alle gambe e prurito sul corpo: in questo caso non si tratta di un'allergia ma dell'effetto dei farmaci stessi. Il farmaco iniettato, sempre a piccole dosi, rimane comunque confinato nella zona e non si diffonde in tutto il corpo né arriva al feto … aspetto che garantisce una notevole sicurezza della procedura dal punto di vista ostetrico.
La madre dopo l’infusione dei boli di farmaco viene monitorata in modo più intensivo per alcuni minuti, passati i quali, se i parametri vitali lo consentono, è libera di muoversi come crede o di riposare.
Quali sono i rischi
Come per ogni procedura esistono comunque dei rischi che devono essere presi in considerazione. Tra questi, ad esempio:
- Maggiore incidenza nell'uso della ventosa e quindi di un parto operativo;
- Prolungamento del secondo stadio del travaglio (fase espulsiva);
- Ipotensione lieve e transitoria (10-40 donne su 100), solitamente trattabile con infusione di liquidi;
- Vasodilatazione materna e calo delle catecolamine con effetti sul feto il cui battito può decelerare in modalità transitoria;
- Dolore alla schiena che può durare alcuni giorni;
- Rialzo termico transitorio (7-36 donne su 100);
- Insufficiente e non adeguato controllo del dolore (1-3 donne 100) per malposizionamento o dislocazione del catetere o problemi anatomici;
- Cefalea post puntura durale (0,2-3 donne 100) dovuta alla puntura accidentale del sacco contenete liquor che fuoriesce. Si tratta di un tipo di dolore che irradia al collo, regredisce in 4-5 giorni con il riposo a letto, liquidi, caffeina e antinfiammatori;
- Disturbi neurologici: persistenza di formicolio e/o debolezza alle estremità inferiori (0,7- 3,7 donne su 100000);
- Ematoma compressivo midollare che potrebbe richiedere trattamento chirurgico (1 donna su 200000);
Per la maggior parte abbiamo a che fare con percentuali molto basse e quindi spesso trascurabili.
Nonostante ciò la peridurale per essere eseguita necessita, come per molte altre procedure invasive, della firma di un consenso informato e di una visita da parte del medico anestesista, il quale visiona anche i valori ematochimici di emocromo e fattori della coagulazione. Non tutte le donne, infatti, riescono ad accedere a tale prestazione anche se le controindicazioni assolute sono pochissime e riguardano principalmente i disturbi della coagulazione, l’assunzione di farmaci anticoagulanti o l’allergia agli anestetici.
Molti aspetti, invece, dal punto di vista ostetrico costituiscono al contrario una indicazione al suo utilizzo: l’induzione al parto, le malposizioni fetali o alcune patologie riscontrabili in gravidanza sono infatti fattori favorenti l’utilizzo della partoanalgesia che aumenta il benessere materno-fetale attraverso una riduzione dello stress e della secrezione ormonale ad esso associato, migliora la ventilazione materna e conseguentemente l’ossigenazione fetale, controlla l’acidosi metabolica materna e riduce la produzione di catecolamine e ormoni dello stress, migliora il circolo placentare, riduce l’ansia ed aumenta il livello di collaborazione della donna.
Analgesia spinale
L’anestesia spinale viene praticata nella stessa zona di vertebre lombari. In questo caso però non risulta necessario posizionare un cateterino perché si esegue il tutto tramite monosomministrazione di anestetico direttamente nello spazio subaracnoideo del midollo spinale, ovvero quella zona, compresa tra la meninge aracnoide e la dura madre, in cui fluisce il liquido cerebrospinale.
In questo caso, quindi, la donna perderà completamente la sensibilità di addome e arti inferiori e dovrà essere movimentata dagli operatori. Sarà necessario inoltre posizionare un catetere vescicale per drenare l’urina dalla vescica considerando che non si percepirebbe neppure una eventuale vescica troppo piena.
Date le caratteristiche di questo tipo di analgesia è evidente come sia quella utilizzata per il taglio cesareo: se da una parte, infatti, l’addome è completamente anestetizzato e permette ai chirurghi di lavorare con tranquillità, dall’altra la madre rimane vigile e cosciente, riesce a muovere braccia e mani e, qualora fosse possibile, anche a fare il pelle a pelle con il proprio bambino.
Una volta, in caso di taglio cesareo emergente, la paziente veniva spesso addormentata con anestesia generale. Oggi, invece, si è visto che la pratica dell’anestesia spinale è ottimale anche in questo tipo di situazioni. Pertanto anche nei codici rossi è altamente improbabile che una mamma venga addormentata completamente per eseguire un taglio cesareo.
Blocco dei nervi pudendi
Si tratta di una tecnica ormai poco utilizzata che sostituiva l’analgesia peridurale quando questa era poco diffusa o nei casi in cui, data la repentinità del parto, non ci fosse sufficiente tempo per procedere a posizionare un catetere peridurale.
La procedura consiste nell'iniettare un anestetico locale attraverso la parete vaginale, in modo che il farmaco raggiunga il nervo pudendo nel punto in cui incrocia la spina ischiatica.
Questo blocco anestetizza la porzione inferiore della vagina, il perineo e la parte posteriore della vulva lasciando libera invece la porzione anteriore della stessa la cui innervazione deriva da punti diversi. Le complicanze del blocco pudendo sono poche e comprendono principalmente l'iniezione intravascolare di anestetici, gli ematomi e le infezioni.
Tuttavia per tale tecnica serve una notevole manualità che, come accaduto per altre procedure via via cadute in disuso, è stata persa dalla maggior parte degli operatori che attualmente sono attivi nei punti nascita.
Protossido di azoto
Il protossido d’azoto è stato approvato in Italia solo a partire dal 2010 ma ha una storia ben più radicata in altri paesi come il Canada e il Regno Unito, luoghi in cui è una pratica diffusa.
Si tratta di un agente analgesico (e quindi non un anestetico) che viene somministrato per via inalatoria.
Probabilmente molti lo hanno conosciuto dal dentista: nelle pratiche odontoiatriche, infatti, è sempre più utilizzato. In sala parto, però, la quantità di protossido non viene regolata sul paziente come accade nei centri dentali ma risulta una formulazione precostituita fatta dal 50% di protossido e dal 50% di ossigeno.
Questo aspetto, assieme al buon profilo di sicurezza del gas rispetto alla salute materno-fetale (non sono noti, infatti, outcome negativi nei confronti di mamma e bambino e le controindicazioni all’utilizzo rimangono limitate ad una instabilità emodinamica ed una ridotta capacità di ossigenazione) permette di utilizzare la modalità delle inalazioni “su richiesta”.
Alle mamme in travaglio, cioè, viene data una mascherina dalla quale possono inspirare il protossido nella modalità e nella quantità che preferiscono.
A questa concentrazione il protossido ha un effetto principalmente sedativo ed agisce aumentando la soglia del dolore: ovviamente però l’azione dipende molto dallo stato psicologico della paziente stessa.
La sua funzione è quella di favorire la produzione di endorfine endogene, della dopamina e di neuromodulatori del midollo spinale; inoltre aumenta il rilascio di prolattina riducendo favorevolmente la risposta ormonale allo stress. L’effetto analgesico dovrebbe comparire dopo circa 4-5 inalazioni ed avere il suo picco massimo al raggiungimento dei 2-3 minuti.
Se si smette l’inalazione l’effetto analgesico scompare nel giro di pochi minuti assieme ad eventuali effetti collaterali quali vertigini, stordimento o sensazione di torpore. D’altro canto si tratta di un gas esilarante che determina una lieve alterazione di percezione spazio-temporale.
Anestesia locale
L’anestesia locale, a differenza delle altre, può essere praticata direttamente da chi esegue poi la procedura.
Solitamente, con un ago molto sottile, si inietta dell’anestetico locale direttamente nei tessuti su cui poi si deve agire: è ciò che succede, per esempio, quando si devono suturare le lacerazioni perineali post partum. In questo caso la zona viene prima anestetizzata e poi si procede alla riparazione con ago e filo da sutura.
Anche per eseguire l’episiotomia, però, viene prima fatta una infiltrazione di anestetico locale. Negli aspetti più piccoli, quindi, questa modalità si configura sicuramente come la più rapida ed efficace oltre che praticamente priva di complicanze a meno di allergie ai farmaci stessi.